Questi versi estrapolati da una poesia in dialetto veneto di Andrea Zanzotto ci fanno capire lo spirito libero e profondo di questa raccolta di testi in versi e in prosa, per e sul cinema, sapientemente raccolti e introdotti da Luciano De Giusti.
La lettura, oltre ad essere diventata nel frattempo quasi un omaggio e un arrivederci al poeta scomparso nel 2011 a 90 anni, è così densa e interessante da illuminare non solo un lato meno noto della sua produzione: quello delle collaborazioni alle sceneggiature felliniane (Casanova, E la nave va, La città delle donne) ma anche far riflettere con parole acuminate sulla produzione di Fellini e sull’ontologia del cinema.
Il regista riminese lo aveva interpellato per il Casanova scrivendogli: “vorrei tentare di rompere l’opacità del dialetto veneto che, come tutti i dialetti, si è raggelato in una cifra disemozionata e stucchevole, e cercare di restituirgli freschezza”.
E’ nota la ricchezza barocca e la raffinatezza sonora dei film di Fellini, che li lavorava in fase di sincronizzazione lontano dal realismo e dalla presa diretta, con un impasto di fisicità vocali di cui Zanzotto scrive: “voci-visceri, ventriloquie, movimenti muscolari e nervili”.
Per l’attenzione di Fellini ai dialetti, il poeta parla di “un excursus quasi gaddiano”.
Zanzotto aveva scritto anche i cori de E la nave va, film che il poeta analizza nel bellissimo scritto del 1983 Stramba crociera , dove individua come tema principe della pellicola “la Voce”, “ora la Voce è morta (si suppone) e al suo posto si è formato un rumore di fondo sempre più disarticolato eppure invadente e invasivo, una schiuma anonima di chiacchiere e suono-sound, congiunta ad un lampeggiare e scoppiettare di lustrini altrettanto orgiasticamente fasullo, entro l’unità dell’audiovisivo.”
La collaborazione per La città delle donne lo aveva condotto nel grande circo di eros e thanatos felliniano e per la scena del ring aveva scritto una canzoncina da cui mi permetto una ulteriore citazione: “E’ d’affanno ogni sospiro/ ogni bacio è di vampiro/ ogni letto è di fachiro/ ogni carezza è ortica/ ogni amplesso è fatica/ ca ca ca zzo fi fi fi ca/ chissà come finirà!”
Nell’opera di Zanzotto (e di Fellini) si mescolano felicemente i registri alti e bassi e nel 1998 a proposito di Bresson e del futuro della mercificazione del linguaggio visivo, il poeta di Pieve di Soligo scriveva:”entreremo in un paradiso di pura visualità in cui scomparirà completamente il logos. Non parleremo più, ma avremo dei loghi“.
Andrea Zanzotto, Il cinema brucia e illumina. Intorno a Fellini e altri rari, a cura di Luciano De Giusti, Marsilio, 180 pagine, 18 euro
L’umiltà dei maestri del nostro cinema di un tempo che si affidavano alle sceneggiature del meglio della nostra letteratura. Ora registi/e ben minori scrivono il loro libro (o lo fanno scrivere alla moglie), poi sul loro libro scrivono la loro sceneggiatura e poi la dirigono. E i risultati di questo egotismo sono sotto gli occhi di tutti.