Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.
Leggere un diario è un po’ come incontrare una persona, ascoltarne i racconti e le confessioni. Il primo fugace incontro con L’immaginario dal vero, diario di Henri Cartier Bresson, è avvenuto una prima volta quest’estate, in un vagone ferroviario.
Come gli incontri che si fanno in viaggio è stato veloce e fugace. Stavo andando al più importante festival cinematografico italiano e l’amico con cui viaggiavo mi passa il quotidiano che sta leggendo: tra i tanti libri segnalati, mi colpisce proprio questo. Segno, così, sul mio diario d’appunti, il titolo e la casa editrice. E poi me ne dimentico. Non ne parlo mai più con nessuno. E un mese fa il secondo, definitivo incontro… Sempre tramite un’amicizia: questa volta è l’amica di più vecchia data che mi regala proprio questo libro…
Un piccolo libricino nero… 100 pagine per viaggiare nello spazio e nel tempo della vita e dell’arte di un uomo straordinario che ha girato il mondo col bagaglio leggero della sua fedele Leica (pur sostenendo di non saper viaggiare, perché amava muoversi con lentezza e arrivato in un paese avrebbe voluto rimanerci per partecipare completamente alla vita del paese); che ha inventato il fotogiornalismo (perché la fotografia è testimonianza del mondo che ci circonda) fondando nel 1947 insieme ad altri amici fotografi la famosa agenzia Magnum Photos; che ha attraversato la storia del secolo scorso sotto i suoi aspetti sociali, filosofici, culturali e politici (è stato, tra l’altro, amico dei surrealisti, è stato il primo fotografo a poter entrare in URSS dopo la morte di Stalin, ha incontrato Fidel Castro, Che Guevara e Gandhi, ha fotografato il Maggio parigino, il passaggio in Cina da Kuomintang alla Repubblica Popolare…).
Particolare era il suo rapporto con il cinema: confessa, infatti, di aver imparato a vedere proprio con i film di Griffith, Stroheim, Ejzenstein, Dryer; ha fatto l’aiuto regista di Renoir e ha girato numerosi documentari.
In fotografia l’istante è al tempo stesso la domanda e la risposta.
Ossessionato da ciò che vedeva e dalla realtà, Henri Cartier Bresson è stato l’uomo invisibile tra la folla che ha saputo cancellarsi per meglio cogliere l’istante, utilizzando la fotografia perché è l’unico mezzo d’espressione capace di rendere l’eternità dell’istante, di dare senso all’istantaneo.
Quello che mi appassiona e che mi guida in fotografia è che il gesto e il pensiero coincidono. La sua scrittura andrebbe letta e riletta come una vera e propria arte poetica: a proposito di fotografia, dell’estetica del meraviglioso quotidiano, del reportage, della scelta del soggetto, del ritratto, della composizione, della tecnica, della responsabilità, del rapporto tra il fotografo e i giornali che pubblicano le sue fotografie.
Il libro riunisce scritti usciti in tempi diversi e si compone sostanzialmente di due parti: L’istante decisivo del 1952 con post scritum del 1985 e L’immaginario dal vero, inframmezzati da appunti scritti a mano dall’autore (inchiostro a china e grafia elegante) e fotografie.
Anche lo stile della sua scrittura riflette la sua arte, il suo essere “visuale”, osservatore che comprende con gli occhi. Con poche pennellate dà un ritratto profondo e significativo degli amici (Alberto Giacometti, Robert Doisneau, Robert Capa, Romeo Martinez, Chim Seymour, Sam Szafran, Georg Eisler, Hernst Haas, André Breton, André Kertész) e dei luoghi visitati (Cina, URSS, Cuba, Messico, New York, Italia ecc…)
Bellissimo libro, l’ho finito di leggere ieri sera. Lo rileggerei all’infinito!
Ciao!