Odette Toulemonde è l’improbabile – in quanto naïf e disneyana – protagonista della favola di Eric-Emmanuel Schmitt, pluripremiato drammaturgo francese, autore tra l’altro di Monsieur Ibrahim e i fiori del corano, alla sua prima prova di regia in Lezioni di felicità. E proprio di favola francese si tratta, non solo per la levità e il bonheur che ispira ma anche per il tratto tipicamente d’oltralpe che la contraddistingue. Ancora una volta, infatti, è impossibile non sottolineare, di fronte alla storia semplice, all’ intreccio quasi banale e a un sentimentalismo da soap-opera – oltreché al buonismo disarmante che l’attraversa – l’abilità del cinema francese di rendere tali “ingredienti” veicolo di contenuti nient’affatto dozzinali.
Odette è una commessa del reparto cosmetici di un grande magazzino, vedova con due figli per mantenere i quali, oltre a questo lavoro, fa la “piumaia”: ossia cuce piume da applicare ai costumi di scena dei ballerini da rivista parigina (Lido, Folies Bergère). La sua è una vita ordinaria, fatta di piccole gioie e dispiaceri domestici ma attraversata da una serena felicità che la donna ha scoperto, dopo la morte del marito, leggendo i libri di Balthazar Balsan, scrittore fascinoso e famoso di libri cult per un pubblico di massa composto soprattutto da donne di ceto medio-basso, attratte dalla semplicità delle trame e dei contenuti dei libri di questa Susanna Tamaro al maschile, interpretata magistralmente da Alberte Duponte. Grazie a lui Odette riesce a dimenticare ogni problema, a librarsi lieve e leggera sul quotidiano come fosse la protagonista di un romanzo unico: la sua vita. Odette scrive una lettera a Balsan, il classico messaggio della lettrice ammirata e anche un po’ innamorata dello scrittore dei suoi sogni, per esprimergli la gratitudine e la gioia che i suoi libri hanno portato nella sua mediocre esistenza. Questa lettera finisce nelle mani dello scrittore proprio in un momento di depressione e svalutazione di sé sia come uomo che come artista, creando il coup du destin proprio delle favole, per cui l’eroe entra nella vita della sognante ammiratrice e… il resto è il coronamento del sogno: la sua imprevedibile e magica realizzazione. Scandita da una sfiziosa colonna sonora di Nicola Piovani e da intermezzi alla Mary Poppins, nei quali la protagonista balla e piroetta apparecchiando la tavola sulle note di Josephine Baker, la commedia di Schmitt regala, oltre a due piacevoli ore che lasciano una scia di serenità allo spettatore, diversi spunti riflessivi che toccano corde sottili dell’animo umano. Anzitutto impossibile non accorgersi della trama semi-autobiografica, attraverso la quale il regista/drammaturgo sembra interrogarsi sul mestiere di scrittore, sulla diffusione di massa di opere forse non eccelse dal punto di vista letterario, ma toccanti per una vasta fetta di pubblico forse poco colto ma pur sempre capace di emozionarsi sulla pagina di un libro.
Cosa significa scrivere? Qual è la funzione sociale di uno scrittore? È tutto legato al livello culturale veicolato in un testo o piuttosto alla quantità di persone che riesce a raggiungere? E quanto la quantità è legata alla qualità dell’opera? La risposta che sembra darsi Schmitt – e forse anche lo spettatore – è che ciò che conta è il potere evocativo ed emozionale contenuto in un testo. Regalare sogni, suscitare emozioni: forse questa è la chiave, il senso dell’arte. Lezioni di felicità è anche un compendio di quel semplice buonsenso forse scontato eppure troppo spesso lontano dal vivere sociale, dalla quotidianità di tutti: un suggerimento a cogliere la felicità nell’amore per noi stessi, nell’accettazione dei nostri limiti aprendo, paradossalmente, le serrature alle gabbie dei ruoli e alle aspettative nelle quali risiede – esclusivamente – l’infelicità degli esseri umani. Una storia d’amore: anche questo c’è nella – a tratti esilarante – commedia di Schmitt, forse stucchevole e perbenista ma pur sempre emozionante. Forse per un pubblico di “shampiste”, simile a quello dei libri di Balsan, ma capace di regalare lacrime e risa autenticamente umane, per quanto culturalmente discutibili.
Cosa significa scrivere? Un autore per prima cosa è uno che fa qualcosa in autonomia: Osservare con i propri sensi, cercare con la propria anima.