L’Armata dei sonnambuli è il classico romanzo fiume che può far riscrivere un po’ a tutti il proprio record personale di tempo necessario per finire o innamorarsi di un libro di quasi ottocento pagine. Già con Q, il primissimo e folgorante esordio di quindici anni fa, il collettivo di scrittori anonimi Wu Ming (allora Luther Blissett) ci aveva fatto sprofondare in un giallo storico ricco di suggestioni filosofiche sul senso dell’eterodossia e la forza del libero arbitrio ai tempi della Controriforma. Nei numerosi riferimenti di quel romanzo alla reazione cattolica di Roma contro le nuove chiese radicali nel cinquecento, molti hanno visto un chiaro riferimento a quello che rappresentò – negli anni ’80 – l’avvento di Reagan o del neoliberismo per il disfacimento di tante utopie controculturali fiorite nei due decenni precedenti.
Con L’Armata dei sonnambuli, lo scenario si sposta ora negli anni della Rivoluzione Francese e – solo apparentemente – gli autori rinunciano a sovrastrutture teologiche o mappe teoriche per raccontare il dissenso nelle sue forme più istintive e viscerali. Da questo punto di vista, la spinta della fame, la disoccupazione e la precarizzazione soverchiante del popolo francese di fine ‘700 sembra richiamare da vicino la condizione sull’orlo dell’implosione della realtà italiana di oggi. I riferimenti alla storia incompiuta del nostro paese però, sembrano ancora più voluti nei numerosi passaggi in cui emerge il rimpianto di alcuni protagonisti per l’occasione mancata del governo di Robespierre e Marat. Nello specifico ci si riferisce alla presunta incertezza della Convenzione nel proclamare una serie di leggi più severe contro gli aristocratici e i brissottini e capaci quindi di avviare un rinnovamento radicale e autenticamente egualitario nella Francia post-rivoluzionaria. Indirettamente però sembra che gli autori alludano – con tutto questo – anche agli effetti della pacificazione sociale dopo la guerra civile nel nostro paese al termine della seconda guerra mondiale. Una sorta di tregua che ha arrestato le spinte al cambiamento che – per una volta – sembravano animare tutta l’Italia. Pur cedendo ad una scrittura più dinamica e veloce rispetto a Q, ne L’Armata dei sonnambuli il collettivo Wu Ming non rinuncia certo ad un tracciato narrativo complesso dove inserire innumerevoli suggestioni letterarie e spunti di critica sociale.
Molto interessante il tema che ci induce a considerare la vita politica come ad una metafora di quella sul palcoscenico e a rappresentare il consenso elettorale come una variante della fama che può investire un semplice attore. Nel vortice della storia, Leo passa dai teatri popolani alla gloria delle azioni dimostrative rivoluzionarie. Gli spunti narrativi però conducono a riflessioni profonde sulle maschere che si indossano per conquistare consensi o su come il successo personale preceda sempre l’affermazione di un movimento più grande di cui si pretende essere i veri rappresentanti. Ad un livello più alto, con la figura di Scaramouche/Leo poi, gli autori sondano soprattutto le potenzialità e la funzione del Teatro ai tempi della rivoluzione. Oltre l’arte, con i personaggi di D’Amblanc e Laplace si traccia anche una lucida metafora di come la scienza o la ragione può essere messa a servizio o compromettere il cambiamento. Con il pretesto del mesmerismo o le pratiche dell’ipnosi, il collettivo Wu Ming procede ad una satira feroce sulla dimensione del controllo, l’affabulazione, l’inconscio e la malattia.
Citando Foucault, il postmoderno e i Van der graaf generator, L’armata dei sonnambuli, procede come quell’indimenticato live degli Area a Parco Lambro, quando tramite cavi elettrici scoperti collegati al sintetizzatore di Tofoli poi srotolati tra il pubblico, il gruppo di Stratos procreò una jam session collettiva, liberatoria e autenticamente condivisa.
Lasciando alla molteplicità delle voci del foborgo di Sant’Antonio le redini del racconto, i Wu Ming impostano una prospettiva non solo corale, ma che si alimenta visceralmente delle contraddizioni e gli umori del popolo. Specie nei momenti contraddittori ed esaltanti di una rivoluzione.
Così come Q, L’Armata dei sonnambuli restituisce dignità al romanzo storico, non solo perché evita di aggrapparsi in maniera troppo scenografica e scontata all’incedere degli eventi del passato, ma perché riesce a proporne un’analisi lucidissima e inedita, postmoderna, ma sempre incredibilmente epica e inarrestabile.
giuraddio, cento e multicento pagine da leggersi assolutixxximamente.. alla faccia del capeto, del nano e del ribaldofarfuglio, voi del foborgo, oh gente!!