Opera teatrale ad atto unico, è un anello di congiunzione tra la vita e la morte, un tentativo vigoroso e passionale di non lasciare andar via i nostri cari defunti: la madre che torna a rincuorarci, il figlio prematuramente scomparso, le sorelle, perdute per gioco o per caso, il padre. E le sette sorelle restano comunque in sette.
Sobria la scena, che si apre sul funerale di una delle donne appena morta, anche se non esiste una verità più concreta dell’illusione che, nell’oscurità del lutto, viene illuminata fino al punto da non permettere più di distinguere tra realtà ed irrealtà. Perché è uno schema inutile pensare che vi sia una differenza, una prevalenza dell’una sull’altra, della morte o della vita, dove il sentimento, il ricordo, l’emozione, il pianto e la rabbia, riempiono il vuoto della scomparsa fondendosi insieme indissolubilmente. E tentare di separare esistenza e trapasso è decisamente perdente.
Le sorelle Macaluso sono una cosa sola e rimangono una cosa sola, la morte non deve neanche provarci a fermare quel singolare cuore formato da sette differenti respiri, dove neanche padre e madre hanno accesso – anche se quella formata dai genitori sembra una coppia avvinta in uno di quegli abbracci esclusivi che finisce per lasciare fuori persino i figli. Per le sorelle, così, la vita del gruppo è l’unica grande ragione di esistenza, e loro si bastano e si compensano -tutte o nessuna.
Il nero delle vesti di lutto viene alternato, sulla scena, alle fantasie dei costumi da bagno e degli abiti leggeri, dove i caldi e vivaci momenti in comune, puntellati dal mare del sud e dal sole, penetrano, bagnano e scaldano così tanto le sorelle che anche lo spettatore, per così dire, sembra beneficiarne. Ed è nell’acqua che sopraggiunge la morte accidentale di una di loro, nei guizzi di scherno e nelle risate scambiate fino a poco prima tra le onde, la battigia e la sabbia calda. Sul palco, divenuto una spiaggia, le attrici/sorelle si rotolano, ridono sguaiate di una felicità fine a se stessa, un’allegria da bambine e ragazze abituate ad avere poco dalla vita, anche se quel poco, le donne, se lo godono e se lo tengono stretto. Ed emerge tra le maglie della storia il Sud più tipico, dove povertà e spregiudicatezza di intenti si fondono in una condizione femminile che deve sempre patire. Eppure la risposta delle sette sorelle è comunque vincente. La bellezza e la forza, l’orgoglio, la rivalsa a tutti i costi, la beffa delle regole persino se dettate da un dio, ingigantiscono le sorelle così come anche la rabbia, che finisce per seguire gli stessi percorsi delle risate perché le emozioni, in fondo, sono tutte uguali. Ed è così anche per l’amore e l'odio verso il padre tanto assente, che indirettamente, proprio con il suo distacco, sembra aver contribuito alla scomparsa della figlia. Ma la morte è un caso e non esiste. La sorellina esanime è viva e resta con le sei sorelle, balla nelle tenebre e parla tra tutte.
Il padre, nominato e deriso, compare ad un certo punto e si confronta con la figlia che più ce l’ha con lui. Il padre ride e sembra un ragazzo quando narra della sua sussistenza disgraziata, dove il puzzo della fogna che il giovane è costretto a pulire per pochi soldi, e lo sterco che lo imbratta, viene raccontato come uno sfogo a dimostrarci che chi è vittima può produrre involontariamente altre sventure, come la figlia che muore e quella che lo accusa. In fondo, anche in questo, non v’è confine, tra martire e colpevole -stessa persona. Nel racconto emerge il dolore per la moglie amata e scomparsa troppo presto, un dolore che toglie il respiro al padre e lo rende vecchio ed orribile in poche, decise espressioni del viso. La moglie perduta ritorna quindi a consolarlo e ad amarlo tra le splendide musiche che accompagnano l'abbraccio passionale di questa unione, suggestivamente interpretata da ballerini/angeli che si muovono su un palco/sfondo esistenziale che non distingue la materialità dall’evanescenza. Come tornerà pure, in un ballo ai confini della concretezza, il ragazzino morto – che l’attore interpreta magistralmente lasciandoci leggere, attimo per attimo, la vita che abbandona il fisico, il sangue che pulsa nelle vene e poi non più, il sudore e l’odore che emana dal corpo. Morto per aver troppo amato il calcio, uno sport che non avrebbe potuto praticare per la sua gracilità fisica.
Fino a un certo punto resta il dubbio di un funerale celebrato da poco, di una donna morta che non si vuole rendere nota –ma in fondo, quanto è necessario?
C’è la sorella più grande, quella che si occupa di tutte, quella che voleva diventare una ballerina. Glielo devono far capire le altre che il funerale era il suo, quasi come l’ufficializzazione di uno status. Ma la defunta sorella, ribelle, esiste e continua a ballare. E’ suggestiva e struggente l’immagine della donna che volteggia sul filo sottilissimo del trapasso, dove i visi delle vive appaiono lontani, quasi spettatori da un’altra dimensione, e dove lei, dotata di una potenza che la morte non riesce ad indebolire, balla, balla, si spoglia dei vestiti della vita e, nuda, prosegue fino a spezzarsi nel corpo e scomparire nelle tenebre. Ed anche il pubblico, nel finale, resta nel buio del teatro a riflette. Molti spettatori hanno sicuramente il cuore gonfio di un sentimento profondo che l’opera suscita, un amore che non si può più distinguere, se terreno o della dimensione che noi vivi non conosciamo ma tuttavia percepiamo. Il filo sul quale la sorella defunta ha ballato -quell'abbraccio di vita e di morte, di accoglienza e di violenza- finisce per avvolgerci ben oltre la fine dello spettacolo.
Artista di rottura, senza mezze misure e dalle emozioni forti, il tema della morte domina le scene e le opere di Emma Dante. Ed è forse anche per questo che gli attori della sua compagnia, sul palco, siano tutti poderosamente incisivi e vivi.
Un po’ deludente la mancata presenza fisica sul palco della regista nell’ultimo giorno di programmazione del Palladium, teatro romano che chiuderà i battenti per mancanza di fondi. Resta il comunicato, breve e commovente, degli attori, in un finale alla grande. Il teatro è così, vive di niente, quando ce la fa a sopravvivere, regalandoci tantissimo. L’estrema rappresentazione de “Le sorelle Macaluso” sembra quasi tagliata apposta per questa chiusura che, vogliamo credere, non sia definitiva.
Queste le prossime date in programma:
Palermo, Teatro Biondo 25 febbraio – 2 marzo 2014
Torino, Fonderie Teatrali Limone 29 aprile – 4 maggio 2014
Milano, Piccolo Teatro Grassi 6 – 18 maggio 2014
Romania, Sibiu International Theatre Festival 11 – 12 giugno 2014
Ho visto lo spettacolo a Fano in febbraio. Concordo con gli elogi della recensione: uno spettacolo molto emozionante e fisico. Una conferma per chi come me della Dante aveva visto solo il bello e sottovalutato Via Castellana Bandiera.
In risposta al suo commento, avendo nominato il film, aggiungerei che la Dante, con Via Castellana Bandiera, ha voluto rilanciare una sfida nell’ambito cinematografico, da donna coraggiosa quale è.Contrastanti i pareri sul film: pochi lo hanno trovato bello, molti non lo hanno capito, altri apprezzano la regista maggiormente nell’ambito teatrale.