Diciamolo subito chiaramente: Le ferie di Licu è un film utile, che vale davvero la pena di vedere. Non sono molti i film italiani di cui lo si potrebbe affermare con altrettanta spavalderia, certi di non eccedere in “protezionismo”. Il film che Vittorio Moroni ha girato seguendo per due anni e mezzo un giovane immigrato bengalese nella sua vita quotidiana, e trasformando poi le 130 ore di documentario realizzate in una storia di un’ora e mezza che non ha nulla da invidiare ai ritmi narrativi della finzione, appartiene di diritto a quel cinema di indagine, di riscoperta della realtà e nello stesso tempo d’autore che spunta sporadicamente come un fiore nel deserto nell’Italia degli ultimi anni. Saimir, Terre di mezzo, Vento di terra, Pater familias, Ballo a tre passi, Anche libero va bene, Private… un pugno di film di autori giovani (ma non giovanissimi, tra i trenta e i quaranta) che propone un cinema al confine fra pedinamento neorealista e documentario fatto per lo più con attori non professionisti e che spesso e volentieri ha per protagonisti bambini/adolescenti, immigrati o emarginati. Dunque un cinema di esplorazione, che illumina angoli d’Italia e aree sociali per lo più in ombra.
Le ferie di Licu, forma ibrida fra documentario e finzione che segue la vita di due persone reali cercando di non modificarne il corso naturale, racconta molto meglio dei dibattiti, degli editoriali e dei telegiornali, che cosa è in gioco quando si parla di conflitto di civiltà. Licu e Fancy, giovani sposi bengalesi, vivono a Roma in un appartamento nel quartiere Prenestino: mentre Licu è impegnato con il suo doppio lavoro, Fancy sta a casa, cucina e soprattutto, mentre il televisore rimanda DVD con immagini del suo paese d’origine, guarda dalla finestra. Licu non le permette di uscire da sola, neanche per recarsi alla scuola di italiano, perché una buona moglie musulmana non deve avere occasione di incontrare altri uomini. È così e basta, la cultura del paese in cui vivono non ha influenza sul loro modo di pensare, di relazionarsi, sui valori con i quali sono cresciuti: Licu e Fancy continuano a vivere con le regole dei grandi clan familiari-rurali del Bangladesh anche nel centro di una metropoli occidentale. Il conflitto di civiltà sta tutto nell’immagine di Fancy con il suo sahri rosso fregiato d’oro che osserva dalla finestra le donne vestite all’europea che girano sole e sicure nella strada sottostante. È un’immagine quotidiana, normale, ma struggente. Licu, invece, il cui volto nella prima parte del film è sempre sorridente e leggero nonostante la fatica, dopo l’arrivo della moglie si fa scuro, teso, lo sguardo basso. Non sappiamo come andrà avanti il loro matrimonio, di certo è in questo terreno apparentemente privato che si gioca la partita, che si condensano i conflitti, le sfide del nostro tempo.
Prima di concludere è necessario raccontare qualcosa, però, delle particolari ma significative modalità distributive che il regista-autore-produttore ha adottato per assicurare una visibilità alla sua opera, modalità per altro già sperimentate con buoni risultati (26.000 spettatori) per il suo film d’esordio Tu devi essere il lupo: una volta realizzato il film con la sua 50N, nata con il fine preciso di produrre Le ferie di Licu, Moroni infatti ha proposto la distribuzione del film alla Lucky red, alla Bim e alla Tandem di Nanni Moretti. Tutti hanno mostrato apprezzamento, persino entusiasmo, ma alla fine hanno gentilmente declinato l’offerta giudicando Licu troppo “rischioso”. Allora Moroni, cui non mancano di certo né tenacia né l’italica arte di arrangiarsi, ha trasformato il film in una sorta di società per azioni su cui persone di buona volontà hanno investito dei soldi in cambio di una quota sugli incassi. Così ha potuto finanziare la stampa delle 8 copie e la promozione. Poi ha organizzato una sorta di prevendita dei biglietti al pubblico per convincere gli esercenti delle principali città italiane a tenere il film in sala per almeno una settimana. Ci è riuscito: sarà il passaparola tra gli spettatori a garantire un’eventuale permanenza. Per tutto il resto d’Italia ci sarà il LICU TOUR, ovvero un furgoncino contenente le bobine del film e i principali membri della troupe che porterà Le ferie di Licu presso tutti i cinema, le sale, le associazioni, i cineclub, le scuole dei comuni che vorranno proiettarlo. Un paradosso: come se un film non fosse riproducibile tecnicamente e richiedesse, al pari di uno spettacolo teatrale, la presenza fisica dei suoi interpreti. Sembra un’idea incredibile: in fondo, a pensarci bene, il cinematografo agli inizi del ‘900 aveva superato il teatro proprio perché consentiva di mettere in scena lo spettacolo una volta per tutte. Ebbene, nell’Italia di oggi, un secolo dopo, a questo bisogna ricorrere perché la lobby della distribuzione, come tutte la altre lobbies che operano in Italia, agisce in senso protezionista e conservatore impedendo l’accesso a tutto ciò che è nascente, giovane, vivo. Moroni fa benissimo a cercare la sua strada ma è consapevole, come sembra anche a noi, che si tratta di una soluzione disperata, dovuta ad una situazione molto pesante che non può essere sconfitta con singole iniziative quasi eroiche.
Per sapere quando sarà proiettato Le ferie di Licu nella tua città visita il sito www.leferiedilicu.it