A Darkly Scanner, Un oscuro scrutare, è un romanzo che appartiene all’ultima fase di Philik K. Dick, e che è molto poco “fantascientifico”.
Meglio: è un romanzo che usa un moderato contenuto di invenzione tecnologica, come necessario corollario narrativo di “effetti speciali”, e che è soprattutto basato sulla familiarità dell’autore con l’ambiente dei “junkie”, dei tossicodipendenti.
Perché questo è un libro che parla di droga e drogati, oltre a contenere alcuni motivi dickiani classici, come la “compromissione del vero col falso” (è la definizione del critico Gabriele Frasca), o quello, più tardo, del rapporto tormentato con la divinità.
Il romanzo di Dick – uscito nel 1977, cinque anni prima della morte, e ambientato nel 1994 – comincia raccontando proprio il mondo con l’occhio di un tossico in delirio, convinto di essere infestato dai pidocchi. E continua come un poliziesco, perché il protagonista della vicenda è un agente, Fred, incaricato di incastrare uno spacciatore della pericolosissima sostanza D (Death, Morte).
Per farlo, Fred assume proprio l’identità di colui su cui indaga, Bob Arctor. E a un certo punto il lettore, che già lo sospettava, capisce che non solo Fred è Bob, dunque lo spacciatore, perché a forza di assumere sostanza D il suo cervello è andato in pezzi e le due identità ora sono antagoniste; ma anche che la droga è messa in circolo, è diffusa sulle piazze, proprio da chi ufficialmente la combatte.
Questo primo livello, quello di fanta-thriller meta-politico, può già essere sufficiente a fare di Un oscuro scrutare una lettura interessante. In fondo, c’è un riferimento diretto a una fortunata teoria (del complotto?) secondo cui tra la fine anni 60 e l’inizio dei 70 fu il governo Usa a portare la droga nei ghetti neri, per domarne la protesta.
Dopo di che, Dick non assolve l’abuso di droga e chi lo pratica. Nella nota che segue il romanzo, scrive che esso “riguarda alcune persone che sono state punite eccessivamente per quello che hanno fatto”. L’abuso di sostanze è infatti, spiega l’autore, una “decisione”, non una “malattia”. Un’accelerazione della “ordinaria esistenza” di ciascuna persona. Uno stile di vita che recita “sii felice oggi, perché domani morirai”, anche se in questo modo il “domani” mortifero, appunto, finisce solo per avvicinarsi.
Ma per leggere il romanzo non c’è solo questa chiave. Nell’ultima parte della sua esistenza e del suo lavoro, infatti, Dick è interessato in particolare dalla religione e dal rapporto con la divinità, che svilupperà poi in Valis e Divina Invasione.
Il titolo “Un oscuro scrutare” rimanda infatti a San Paolo e alla Prima lettera ai Corinzi, in cui viene usata l’espressione “per speculum in aenigmitate”. Si tratta della condizione dell’uomo attuale, quella di poter conoscere solo in modo invertito, oscuro, indirettamente, almeno fino a che il Regno di Dio non sarà venuto. Ma la condizione in cui si trova il tossicodipendente da sostanza D, alla fine, quando la droga ha prodotto il danno irreparabile, è quella di guardare contemporaneamente in faccia e in modo indiretto la verità. E l’unico risultato, è la demenza.