Il dovere primo e deontologico di ogni giornalista è di informare ovvero mettere al corrente, fornire notizie, se possibile ulteriori, al già noto. Lo sport preferito dei quotidiani italiani è invece quello di seminare vento, caricare in prima pagina titoli che funzionano come munizioni per bocche da fuoco costantemente fumanti.
Così il caso dell'ipotesi di ricostruzione de La rabbia di Pasolini esploso ad arte in questi giorni in laguna. La scintilla: le dichiarazioni di Giuseppe Bertolucci a un giornale di Parma. Secondo il regista autore di un tentativo di montaggio delle parti mancanti del film pasoliniano (con le voci dello stesso Bertolucci e di Valerio Magrelli a far le veci di quelle di Bassani e Guttuso), La rabbia di Giovannino Guareschi contiene argomentazioni razziste. Opinione personale, legittima e per nulla originale né tanto meno peregrina. Guareschi, infatti, già nei trailer dell'epoca metteva le cose in chiaro: "La differenza tra me e lei" diceva rivolgendosi a Pasolini " è che se lei vede un negro scannare un bianco dice: povero negro. Mentre io dico: povero bianco!". E continua all'interno del film: difende le colonizzazioni asserendo che "dove prima vi era solo sabbia ora sorgono città" e mostra le immagini della città di Algeri, teatro pochi anni prima della tremenda repressione francese. Non fu la rivelazione di un segreto. Monarchico dichiarato, Guareschi non rinnegò mai la bandiera dei Savoia neanche quando, nel settembre del 1943, fu costretto a scegliere tra la Repubblica di Salò e un lager polacco: scelse la prigionia pagando con la salute.
Non vi sarebbe dunque alcuna eccezionalità nelle dichiarazioni del regista, se non fosse che Giuseppe Bertolucci sia, da diversi mesi, parte del comitato scientifico per le iniziative del centenario della nascita di Giovannino Guareschi (Roncole di Parma, 1 maggio 1908): è dal mancato rispetto delle responsabilità istituzionali di questo ruolo che deriva la richiesta delle sue dimissioni da parte dei figli dello scrittore, Alberto e Carlotta, subito accolta da Bertolucci.
Tutto poteva finire qui, ma sarebbe stato veramente un peccato perdere il treno giusto per la polemica che, condotta nel nome della pacificazione e dell'unità nazionale, è in realtà faziosa: pone sotto accusa Bertolucci e, a questo punto, anche la Cineteca di Bologna e il Ministero per aver “premeditatamente” emarginato, tagliato, occultato il "visto da destra" di Guareschi. Non a caso sul Corsera si legge che, nel 1963, il bellissimo progetto de La rabbia sarebbe fallito perché Pasolini si rifiutò di mischiare il suo nome con quello del reazionario Guareschi.
È veramente un peccato non averlo saputo prima. Perché da quando, ormai qualche anno fa, le pizze del film sono state ritrovate, con su un'etichetta intitolata "L'Arabia", sono stati in molti a chiedersi come mai questo film di montaggio altamente innovativo fosse così precocemente sparito dalla circolazione. Un'opera che , allora, sia nella parte di Pasolini che in quella di Guareschi, spostava di molto i limiti del documentario rispetto allo stile neorealista dei cortometraggi di recupero erariale che accompagnavano le uscite in sala dei lungometraggi (e che furono palestra per i nostri migliori registi), sperimentando l'uso dei versi poetici, l'inserzione di pitture moderne e contemporanee tra le immagini dei cinegiornali, utilizzando la tecnica del collage e del ritaglio. Se lo sono chiesto in tanti la sera del 27 ottobre 2007 quando il film restaurato, sia nella parte di Pasolini che in quella di Guareschi, fu presentato durante la seconda edizione della Festa di Roma (in una sala piccola e lasciando fuori decine di spettatori). Se lo chiesero Giuliano Ferrara, Massimo D'Alema e da ultimo Tatti Sanguineti, storico del cinema, sicuramente non un anticomunista di professione, che da quella sera avviò una collaborazione bipartisan con la fondazione Pasolini, la fondazione Guareschi (e il comitato per i festeggiamenti del centenario), la fondazione Guttuso, la cineteca di Bologna e il festival del Cinema Ritrovato che quest'anno ha dedicato una serie di proiezioni sui travagliati rapporti tra Guareschi e l'odiato mondo del cinema.
Frutti di questa collaborazione sono stati: un saggio intitolato Da Umberto D. a Dina M. Il neorealismo secondo Guareschi, contenuto nel catalogo della retrospettiva (presentato nella nuova sede romana del Ministero in una conferenza disertata dalla stampa), inteso a svelare qualche taciuto "segretuccio" sui rapporti tra lo scrittore emiliano e i maestri del neorealismo; un documentario presentato al Cinema Ritrovato dal titolo La rabbia 1, la rabbia 2, la rabbia 3…. L'Arabia! inteso a ricostruire la travagliata vicenda del film viaggiando dal progetto assegnato a Pasolini, all'idea della partita doppia, al mandato di riesame del montaggio affidato a Ugo Gregoretti, alla scomparsa del film (film e documentario usciranno a novembre per Rarovideo). Nonostante le tante testimonianze e documenti, non tutti i nodi sono sciolti: non è esclusa la possibilità che il film fosse sparito a causa delle affermazioni e dei contenuti della parte guareschiana. Proporre, da parte di Luciano Sovena (fresco del suo quinto mandato all'Istituto Luce), la riesumazione degli scarti del creatore di Don Camillo è una forzatura, un atto dovuto che rischia solo di replicare le trovate di un giovane Teodoro Buontempo che pare girasse, negli anni Sessanta o Settanta, il nordest proiettando la sola Rabbia di Guareschi.
Pasolini e Guareschi condivisero l'avventura de La rabbia facendo buon viso a cattivo gioco, il primo costretto dal produttore, il secondo da esigenze economiche (7 milioni di lire mai interamente riscossi). Al pari, condivisero anche destini simili: entrambi figure fondamentali del Novecento italiano, entrambi maltrattati in vita con Pasolini oggetto di pesanti linciaggi mediatici per la sua omosessualità e Guareschi attirato (e caduto) in un tranello che gli costò oltre un anno di carcere per vilipendio e diffamazione a mezzo stampa di Alcide De Gasperi. Ed entrambi, irenici e credenti di fedi diversi, oggi impossibilitati alla pace dalle umane interpretazioni.