Esce sugli schermi il film di un altro artista meridionale, Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, palermitano, regista ed interprete dell’originalissimo La mafia uccide solo d’estate. E non si può che esultare per la compagine di nuovi registi impegnati nelle complesse ed importanti problematiche del sud che si legano, indissolubili, alla storia del nostro paese (pensiamo a Fabio Mollo, ad Alessandro Rak e a Emma Dante, tra gli altri).

La nascita e la vita di Arturo, il protagonista, viaggiano in parallelo alle vicende degli anni più densi di lotta alla mafia – il periodo stragista – arrivando fino al 1992, anno dell’uccisione di Paolo Borsellino. Nella stessa notte del suo concepimento, veniva infatti ucciso Michele Cavataio, pregiudicato legato a Cosa nostra, eliminato da Riina, Bagarella e Provenzano, nomi che diverranno presto brutalmente noti. Il film, tuttavia, rimane sempre a cavallo tra il registro ironico e quello drammatico degli eventi – come dire distacco e partecipazione.

L’esistenza di Arturo, il quale si racconta restrospettivamente in età adulta, trascorre apparentemente come quella di ogni bambino. A poco a poco capiamo, però, che la sua famiglia, nell’intento di proteggerlo, gli nasconderà i problemi al punto da favorire in lui il radicamento di una mentalità passiva – “la mafia uccide solo d’estate”, sarà la risposta, insensata e ostinata, del padre alla paura del figlio di fronte all’evidente tragedia dei frequenti omicidi cittadini. D’altro canto la stessa città, ammutolita e complice, non aiuterà per parecchio tempo il ragazzo a comprendere l’importanza della reazione individuale e della partecipazione collettiva a determinati avvenimenti – della possibilità di incidere sul reale. Il mondo di Arturo si riallaccia, nella quotidianità -e questo aspetto rende gli eroi anche più alla nostra portata -, alle presenze reali e illustri di personaggi come il commissario Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia nel 1979, con il quale il ragazzino si incontrerà casualmente in una pasticceria ricevendone in regalo un dolce. Come pure al generale dei carabinieri Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, massacrato nel 1982, che Arturo intervisterà, per ultimo, prima dell’uccisione, e come infine anche al magistrato Rocco Chinnici, ucciso nel 1983 in un’auto imbottita di esplosivo. Il bambino scambierà con Chinnici momenti di empatia per via della passione verso Flora, compagna di scuola e primo ed unico innamoramento del bambino, alla quale, fino all’epilogo finale, il ragazzo cercherà di rivelare il proprio amore. Proprio inseguendo Flora, Arturo verrà coinvolto anche nella campagna politica a favore di Salvo Lima, allora parlamentare siciliano della Democrazia Cristiana, ucciso nel 1992. Arturo sembra quasi un Forrest Gump più politico, con una coscienza…

Nella vita di Arturo grava, nondimeno, la presenza sinistra e magnetica di Giulio Andreotti, che il bambino (e purtroppo non solo lui…), affascinato dalla sua dialettica ironica, identifica come risolutiva di ogni problema.  Importante, quindi, la figura del giovane giornalista che, nell’intento di aprire gli occhi al bambino, cercherà di creare un elemento di autenticità e di scontro portando allo scoperto la figura di Andreotti, tanto mitizzata da Arturo, inducendo quest’ultimo ad una vera rilettura delle vicende. Ma la storia del ragazzo si svolgerà, almeno fino ad un certo punto, nell’accettazione dello stato dei fatti, persuaso di dover acconsentire a svolgere incarichi svilenti e di dover ubbidire ad individui squalificanti.

Con l’attentato ai magistrati Giovanni Falcone, nel maggio del 1992, e Paolo Borsellino, nel luglio dello stesso anno, eclatanti stragi che coinvolsero molti altri innocenti, si formò, finalmente e a caro prezzo, un’importante crepa nel muro di omertà dell’opinione pubblica siciliana, quando non in quella nazionale. E’ da quest’ultima morte scioccante e violenta, la strage di via D’Amelio, che Arturo, ormai adulto, deciderà di rendersi protagonista della propria vita, iniziando a combattere, anzitutto, proprio quell’omertà che, fin da bambino, gli aveva impedito di conoscere la mafia. In primo luogo il giovane capirà che la famiglia ha una grande responsabilità nel fare da tramite rispetto alla creazione di consapevolezza nelle nuove generazioni. Inoltre, il medesimo desiderio di verità sarò quello che, nella relazione con Flora, la quale nascerà da un bacio disperato e vitale tra la folla esasperata di Palermo per l’ennesimo eccidio, fungerà da colonna portante nell’intesa dei due.

Il film si conclude con un toccante viaggio della coppia, e del loro bambino appena nato, tra i monumenti della città che ricordano e celebrano il sacrificio delle persone immolate nella lotta alla mafia. Persone che Pif ha reso così umane e indimenticabili – di più, diremmo vere– tanto da arrivare quasi a rimetterle fisicamente al centro della discussione, del resto mai terminata, e nonostante le “alte omissioni” avvenute in questo senso. Un invito, il suo, attuato con semplicità ma anche fermezza, a non dimenticare chi è morto e chi ancora vive lavorando per un mondo migliore.

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