Ho sempre protestato contro la parola memoria, ma non contro la parola immaginario, né contro la parola coscienza

(Resnais)

E’ un cinema che a forza di evitare il presente impedisce al passato di degradarsi in ricordo…

(Deleuze)

di Salvatore Iervolino/ “La guerra è finita” (La guerre est finie) è un importante film di Alain Resnais del 1966, su soggetto parzialmente autobiografico di Jorge Semprun, con protagonisti Yves Montand, Ingrid Thulin e Genevieve Bujold. E’ il racconto di tre giornate di Diego, un militante spagnolo rifugiato in Francia (“rivoluzionario di professione” si definisce da sé Diego, col gergo della scienza politica, con Lenin), che clandestinamente fa spola tra i due paesi utilizzando passaporti falsi, raccorda e organizza azioni di lotta contro la dittatura franchista, vive due storie d’amore, una fugace, l’altra matura, discute appassionatamente e nervosamente sia con i suoi compagni spagnoli di una vita, sia con un gruppo di giovani militanti francesi.
Semprun ha fornito a un tempo la base esistenziale e ideologica a Resnais per il film. La fraseologia marxista-leninista non può spaventare in un’opera dove quello che rileva è il dramma autentico di un rivoluzionario che, nonostante “pazienza e ironia”, non vedrà mai la rivoluzione. Scrittore spagnolo, antifascista, comunista del clandestino PCS fino all’espulsione per divergenze con Carrillo, Semprun è figura fondamentale per tutto quel cinema di sinistra francese che va da La guerre est finie sino al suo seguito ideale, Les routes du Sud (Le strade del sud) di Joseph Losey del 1978. In mezzo ci sono soprattutto le opere di Costa-Gavras sceneggiate da Semprun, girate in Francia e con lo stesso gruppo di attori (su tutti Montand, ma non bisogna dimenticare l’engagement cinematografico di importanti interpreti come Jean Bouise, Paul Crauchet e Bernard Fresson, quest’ultimo anche protagonista del corto di Resnais nel film collettivo Lontano dal Vietnam). Un cinema, questo, radicalmente democratico, popolare, a volte didattico. Erano gli anni della nomenklatura brezneviana e dell’esasperazione tatticistica, della fine del sogno comunista e del dilagare capitalista, del Vietnam e dei carrarmati sovietici a Praga. Anni sintetizzati in maniera insuperabile nel documentario-fiume Le fond de l’air est rouge di Chris Marker, dove peraltro è presente un montato di una intervista a Semprun medesimo.
Fin qui, la storia, il contesto.
Resnais, può sembrare curioso, si ribella alla memoria in nome dell’immaginario, anche in un film immediatamente politico. Per questo La guerra è finita è un capolavoro: la dialettica storia-memoria, le due concentrazioni di “passato”, si dipanano tutte nell’esistenza, nella coscienza e nei desideri di Diego/Montand. E’ tutto il primo Resnais a esercitare questa possibilità del cinema-tempo, attraverso il montaggio. A rigore, per i personaggi di Resnais non esistono “collezioni di ricordi”, essi non si fermano a “ricordare”. Tutta la loro esistenza è sprofondata nel desiderio e nel vissuto, il passato (“falde di tempo” le chiamava Deleuze) minaccia continuamente il presente e il futuro. Con Resnais il cinema mostra quello che la letteratura, compreso Proust, non ha mai potuto raggiungere per insufficienze interne: la parola non è l’immagine, dopo tutto. E così mentre nella grande letteratura è necessario il meccanismo della memoria involontaria, col cinema di Resnais non ce n’è bisogno: per così dire, grazie al montaggio, il linguaggio cinematografico perfeziona quelle tesi proustiane e bergsoniane sulla memoria, in fondo sulla vita, che la letteratura solamente attraverso “reminiscenze” riusciva a restituire. E un aspetto poco indagato, nel cinema di Resnais, è questo suo innervare la coscienza di desiderio: il sogno a occhi aperti ha una funzione importante, diremmo costitutiva dell’immagine (L’amour a mort, 1984).
“La Spagna è il sogno dei turisti e la leggenda della guerra civile, col condimento del teatro di Lorca, di cui ne ho abbastanza…” dice Diego, che ha consacrato la vita alla sua Spagna. A Resnais e Semprun va dato merito di aver restituito un uomo intero, con le sue debolezze, le sue spigolosità; si avverte il senso tragico della storia, l’idea di essere dei sopravvissuti fortunati, la rabbia e la vergogna di esserlo. E che fare, se il mondo è cambiato, se la Spagna non è più il sogno del ‘36? Cosa fare di Auschwitz dopo Auschwitz (Nuit et Brouillard, 1956) ?
Il film di Losey citato in precedenza, Le strade del sud, girato in Francia, è il seguito ideale de La guerra è finita. Si raccontano gli ultimi giorni di Francisco Franco dal punto di vista di un militante antifranchista divenuto sceneggiatore in Francia, egualmente interpretato da Montand. Anche qui ritornano alcuni vecchi temi, lo scontro generazionale tra militanti, le sbandate d’amore…ma il film in definitiva è mancato. Nell’opera di Losey si assiste essenzialmente al rimpianto di Jean (il protagonista) di non aver ammazzato Franco durante la militanza clandestina ma di averlo (loro, gli antifascisti) lasciato morire nel suo letto. Un personaggio il cui passato, cristallizzato nel fallimento della rivoluzione, si degrada in ricordo, in tragico souvenir. Tutto all’opposto del film di Resnais, dove il passato arricchisce a dismisura il destino di Diego e dei suoi compagni, sconosciuti che ti aprono una porta e ti riconoscono e che riconosci.

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