Direttamente dal Festival di Venezia, arriva nelle sale Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek. Accolto al Lido da fischi e applausi: numerosissimi i primi, alla proiezione riservata alla stampa, altrettanto numerosi, dieci minuti, gli applausi alla proiezione ufficiale nella Sala Grande. Un film che divide, ma anche un autore che indubbiamente continua a possedere un forte appeal. Purtroppo con i suoi ultimi film, il regista italo-turco ha contribuito a far crescere un sempre più forte pregiudizio nei suoi confronti, dopo il vacuo misticismo di Cuore Sacro, e quella sorta de “il grande freddo delle fate ignoranti” rappresentato da Saturno Contro. Per ripartire Ferzan si affida dunque, per la prima volta, ad una sceneggiatura non originale, tratta dal bel libro di Melania Mazzucco, “commissionatagli” dal patron della Fandango Domenico Procacci. Racconta il dramma familiare di Antonio ed Emma fino al suo tragico epilogo, la disperazione di lui che non accetta la fine di un amore e il tentativo di lei di andare avanti nonostante sia ancora fortemente e ambiguamente attratta da un uomo violento, suo malgrado, e da cui subisce umiliazioni e soprusi.
La storia è forte e il tentativo di Ozpetek di metterla in scena si rivela solo parzialmente riuscito perché non sembra possedere la forza e il coraggio necessari per avventurarsi fino in fondo negli abissi dell’animo umano. Il risultato è una tragedia che sembra vista e analizzata non attraverso l’obiettivo della telecamera ma attraverso un vetro, come da un acquario, che lascia fuori lo spettatore, abbandonandolo ad una sensazione di gelido distacco rispetto a quanto ha assistito. E questa sensazione appare tanto più forte quanto più il regista carica di una eccessiva tensione ogni minimo dettaglio, ogni sguardo, ogni gesto, ogni battuta, come se quel giorno (im)perfetto raccontato non avesse altro senso se non alla luce del dramma finale. Pensiamo ad esempio allo sguardo carico di funesto presagio che Serra Yilmaz, questa volta nel piccolo ruolo di una gelataia, rivolge a Isabella Ferrari, quasi a comunicarle (chissà con quali facoltà preveggenti) quello che di lì a poco avverrà. Ozpetek inserisce inoltre la storia principale in un mosaico più ampio di personaggi secondari e storie parallele e in questo si riconosce il suo stile e quella ricerca della coralità tipica di quasi tutti i suoi film. Una famiglia allargata, basata non su legami di sangue, ma sull’incontro di anime affini che si danno forza e sostegno reciproco, come il rapporto che si crea casualmente tra Isabella Ferrari e la professoressa della figlia, interpretata da un’intensa Monica Guerritore. Purtroppo però queste storie secondarie sembrano malamente collegate alla vicenda principale: ne deriva un mosaico di situazioni le cui tessere non trovano la giusta combinazione. Un magma alla deriva nel quale la regia si perde in un film dal sapore televisivo, riscattato solo in qualche punto, come nella scena molto intensa che vede protagonisti Antonio e Emma, dove lui tenta di violentarla; in quei momenti il regista sembra non aver paura di scandagliare la bestialità umana attraverso gli sputi, il sangue, la carnalità intensa dei due attori, una scena così poco comune nel perbenista panorama cinematografico italiano, sicuramente la più apprezzabile e coinvolgente del film. Insomma Un giorno perfetto è un film non cattivo che tuttavia presenta più di una falla e che lascia perplessi, anche se non mancano spunti significativi e degni di nota, come l’intensità e la bravura degli attori che lo popolano, non solo i due protagonisti, Mastrandrea, credibile in un ruolo così lontano da quelli a cui ci aveva abituati, e Ferrari, ma anche Stefania Sandrelli e Monica Guerritore, di cui abbiamo già accennato. Il nostro augurio è che Ferzan Ozpetek ritorni a solcare terreni più vicini alla sua sensibilità, terreni nei quali il suo sguardo e la sua bravura possano far germogliare nuovi e interessanti frutti.