In occasione della proiezione a BIMBI BELLI – la rassegna curata da Nanni Moretti al Nuovo Sacher – ripubblichiamo la recensione scritta in occasione dell’uscita in slaa del film [***] Dopo una lunga militanza nel mondo del videoclip, Giuseppe Capotondi approda al lungometraggio. Il salto, si sa, nasconde più di un’insidia, prima fra tutte la mancanza di abitudine a confrontarsi con le regole più o meno codificate che la narrazione impone e accettare il restringimento della libertà espressiva, che invece offre il videoclip musicale. Paradossalmente (azzardiamo) un film di genere può aiutare, perchè costringe l’autore a muoversi dentro una serie di steccati che inibisce possibili tentazioni licenziose. La bontà di questo esordio sta nella precisione con la quale l’autore manovra l’operazione, legando ogni filo della complessa trama per riordinarla fino a completare un tessuto perfetto. Il film ha il suo punto di forza nella sceneggiatura a orologeria, che inganna lo spettatore il quale, depistato continuamente, scoprirà a poco a poco che la realtà è tragica, come dentro un incubo.
Il doppio è il tema del film: doppi sono i protagonisti, con il loro passato oscuro, i silenzi foschi, gli sguardi circospetti, esemplificati nella bella scena in cui i due protagonosti si inoltrano nel bosco a passeggiare. Doppia è la dimensione narrativa del film – che taglia in due la storia tra realtà e incubo – nella quale il senso di colpa produce i fantasmi che assediano ciò che rimane della coscienza di Sonia, in coma in seguito a un incidente subìto durante una rapina male orchestrata. Ottimamente interpretata dalla Rappoport (anche Timi è molto bravo), Sonia si fa carico di un altro tema sviluppato nel film: l’impossibilità di piegare il destino e la sua ineluttabilità, la sofferenza del vivere nel tentativo di respingere i sensi di colpa per le azioni del passato, la tragica consapevolezza che una volta varcata la linea che separa il bene dal male non è più possibile tornare indietro. La tenuta del film è garantita dalla combinazione alternata di generi narrativi ai quali Capotondi fa ricorso per apportare una tensione efficacissima, che non abbandona mai lo spettatore durante la visione.
Un film di sceneggiatura si è detto, perchè attraverso i dialoghi si racconta l’opacità della realtà che ci circonda, l’ambiguità di ciò che appare familiare, vicino, ordinario, al punto che persino il male veste i panni fragili di una donna che pulisce le stanze di un albergo, in una città che soltanto un frammento di dialogo tra i due protagonisti rivela essere Torino. Una città sordida come un luogo qualsiasi, animata da fantasmi che frequentano squallidi locali per single in cerca di un’anima gemella; teatro di strani suicidi, come quello dell’amica e collega di Sonia, comunicato al personale dal direttore dell’albergo come niente fosse: “Si è buttata dalla finestra. Ora tornate al lavoro“. I produttori del film, presentato a Venezia 66 e vincitore della Coppa Volpi per l’interpretazione di Ksenia Rappoport, sono gli stessi del pluripremiato La ragazza del lago, altro apprezzato noir d’autore: entrambi film che lasciano ben sperare per il nostro cinema.