Quando fu presentato al TorinoFilmFestival nel 2008, la critica ne parlò come una delle pellicole più interessanti della ventiseiesima edizione. L’Onda, film di produzione tedesca, punta dritto all’obiettivo suscitando una serie di domande inquietanti: può nascere un regime totalitario oggi? Possiamo essere certi che le democrazie occidentali dispongono degli anticorpi costituzionali in grado di debellare il virus della dittatura? E ancora, il sempre più crescente fenomeno dei gruppi di estrema destra (molto diffuso nei paesi dell’Est europeo) foraggiato dalla crisi economica internazionale, dalla globalizzazione, dai flussi di immigrati che arrivano in Europa, può ancora essere considerato un male sociale che scorre dentro i sicuri argini delle democrazie europee? Nel 1967, Ron Jones, docente di storia presso un liceo nello stato della California, con l’intento di spiegare l’origine del nazional-socialismo sperimentò con la sua classe le dinamiche germinative che possono condurre alla nascita di un potere dittatoriale. L’esperimento ispirò un romanzo e una serie televisiva. Ora Dennis Gansel, su quell’esperimento, ha realizzato un film. Geometrico e semplificatorio ma tutto sommato convincente per come il regista lucidamente ha attualizzato il tema.
“L’Onda”, conviene precisarlo subito, è un’opera pretenziosa nel suo tentativo di dimostrare una tesi le cui conseguenze sono infinitamente più complesse di quanto il film, seppur con apprezzabile sforzo, non provi a spiegare. Il tema ha uno sviluppo narrativo fluido ma durante la visione ci si può distrarre da un dubbio: è un film o un trattato di antropologia sociale? Opportunamente Gansel aggira il nucleo tematico spostando lo sguardo verso gli adolescenti di oggi, usando un linguaggio contemporaneo, globalizzato, che li rappresenta dentro un mondo di segni, codici e comportamenti e che fanno il corredo salvifico del film, il livello-due in grado di sottrarre peso al teorema “origine di una dittatura” e facendo conseguentemente slittare, seppur di poco, la sua centralità. Quali sono le fondamenta nella società occidentale contemporanea, che potrebbero costituire l’humus perfetto per la nascita di un nuovo regime totalitario? Sono noti, e il film ce li (di)mostra tutti: la crisi economica, il consenso delle masse, un capo carismatico, il senso di appartenenza, la disciplina, il fascino del potere, la necessità di un nemico da combattere.
Un monito per le generazioni a venire o una gratuita suggestione drammatizzata e tesa unicamente a insinuare una paura compiaciuta, quella del ritorno di un incubo storico pronto a disturbare di nuovo i nostri sonni democratici? Il confine tra l’autocompiacimento e l’induzione alla riflessione in questo film è piuttosto sfumato. Francamente è poco credibile il programmatico tentativo di riprodurre il simulacro di una dittatura, un regime totalitario artificiale concepito nel chiuso di un laboratorio scolastico. Ma a volte capita che un film sia oltre ciò che si propone di dimostrare perchè ha regole salde e un suo linguaggio coerente. Per questo al di là degli intenti saggistici, sempre duri da digerire per uno spettatore mediamente smaliziato, il film possiede una lucida profondità analitica specie quando indaga le fragilità degli adolescenti contemporanei, il loro vuoto ideologico, educativo ed emotivo.
L’incertezza nella quale naufragano inesorabilmente i giovani nella società occidentale contemporanea, ci dice il film, può assumere declinazioni imponderabili e il limite oltre il quale può spalancarsi l’abisso minaccioso di un’ideologia fosca e sinistra, capace di impossessarsi del potere, può sfuggire al controllo poco vigile della politica di oggi, e condurre ad una deriva che può portare consenso a un nuovo regime totalitario. Il finale è una chiosa didascalica ma coerente: l’esperimento sfugge di mano a chi lo ha portato avanti e le conseguenze saranno rovinose.