Kynodontas, che in greco significa dente canino, è un film inquietante, secondo lungometraggio di Yorgos Lanthimos, giovane regista di indubbio talento. Unico film greco presentato quest’anno al festival di Cannes, Kynodontas è stato ricompensato con il primo premio della prestigiosa sezione Un certain regard e con il “Prix de la Jeunesse”. Acquistato da MK2 speriamo di vederlo presto nelle nostre sale.
Uno strano fascino è emanato da questo film insolito che sa associare un tono volutamente leggero ad un contenuto sinistro. Yorgos Lanthimos ci presenta il ritratto di una famiglia singolare. Questa famiglia è composta da un padre, una madre e tre figli, un ragazzo e due ragazze tutti sulla ventina. I genitori, di comune accordo, li tengono reclusi in una grande villa con giardino, isolata e circondata da un’alta palizzata facendo loro credere che nel mondo esteriore li attendono dei pericoli mortali. Il padre, direttore di fabbrica, è l’unico che può uscire dalla dimora. A parte un telefono nascosto nella stanza dei genitori, non c’è nessun modo di comunicare con l’esterno. I ragazzi potranno lasciare la casa solo quando perderanno i loro denti canini e saranno diventati degli adulti, cioè mai…
Questo soggetto ha fatto la sua comparsa nella cronaca di questi ultimi anni con due casi particolarmente gravi accaduti in Austria. Il primo, venuto alla luce nel 2006, è stato quello di Natascha Campusch, una giovane donna sequestrata da un uomo all’età di dieci anni e tenuta prigioniera in uno scantinato. Natascha, alla quale era concesso di uscire talvolta in giardino, riesce a fuggire dopo otto anni di reclusione. L’aguzzino della ragazza si toglie la vita il giorno dopo l’evasione della sua vittima. Il secondo caso, rivelato all’opinione pubblica nel 2008, è ancora più sconcertante. Joseph Fritzl ha rinchiuso sua figlia, che aveva 19 anni all’epoca, in un appartamento sotterraneo per vent’anni. Ripetutamente violentata la donna ha partorito sette figli durante la sua cattività. L’affare è trapelato quando il padre ha permesso che uno dei ragazzi, gravemente malato, fosse condotto in ospedale. Joseph Fritzl è stato nel frattempo condannato all’ergastolo.
Eppure, nonostante le apparenze, Kynodontas non è un film su un caso di cronaca, né sulla follia di un singolo, ma è un film soprattutto politico. Il regista parte dalla messa in discussione del modello familiare e della figura paterna per costruire una parabola complessa ed agghiacciante sul totalitarismo. Kynodontas ci propone un tuffo in un universo repressivo, dominato dall’assurdo, da regole velleitarie, da una manipolazione continua, da una crudeltà sottile e perversa, da un lavaggio del cervello permanente, da una distorsione sistematica del significato delle cose. La censura e la privazione delle libertà più fondamentali sono mascherate sotto l’apparenza di una quotidianità armonica ed ordinata perché in realtà – e questo è il tratto più insidioso di ogni sistema totalitario – tutto in teoria è fatto per il nostro bene.
Il film si apre sul primo piano di un vecchio magnetofono: una voce spiega il significato di varie parole. Gli “zombie” sono dei piccoli fiori gialli, il “telefono” è la saliera, la “carabina” è un uccello bianco, la “vagina” è una lampada e cosi di seguito.
Come spiegare ai ragazzi, che non sanno che esiste un mondo al di là del loro giardino, la presenza degli aerei nel cielo? La distanza li rende così piccoli da far credere ai tre fratelli che si tratti di giocattoli. Come giustificare l’isolamento totale, la reclusione? Evidentemente attraverso lo spauracchio di un nemico esterno: chi esce di casa a piedi rischia la morte, solo l’uso della macchina permette di mettersi in salvo dall’attacco di una bestia pericolosissima. Nel corso del film verremo a scoprire, in una scena macabra e assurda, che si tratta dei gatti! Una sera il padre propone ai ragazzi di ascoltare un disco del loro “nonno”: si tratta di un disco di Frank Sinatra… L’uomo fa una traduzione simultanea che distorce completamente il significato della canzone trasformandola in un inno alle regole della famiglia.
Varie strategie di controllo e di sottomissione vengono messe in atto dai genitori che allevano i loro figli nel culto della performance e della competizione. Il migliore viene sempre ricompensato con un regalo magnifico: un adesivo! In questo mondo a prima vista perfetto, i tre figli, in realtà già quasi degli adulti, vengono mantenuti in uno stato di regresso, in un’infanzia prolungata. Il comportamento dei ragazzi che sono in fondo ingenui ed inesperti é complesso e ambivalente. A prima vista sembrano non rendersi conto della situazione peculiare in cui vivono: li vediamo, apparentemente contenti, fare dello sport nel parco della villa, correre, nuotare, in piena armonia con il mondo che li circonda. Una specie di innocenza primigenia e di disinvoltura distaccata caratterizza anche il loro rapporto col corpo e con la sessualità che affrontano come un atto fisiologico naturale. Paradossalmente l’incitazione dei genitori ad intrattenere dei rapporti incestuosi fra di loro trova sbocco in scene che non sono mai scabrose, ma testimoniano piuttosto del loro disinteresse e di una sorta di apatia affettiva. Sulla vita di famiglia plana però anche lo spettro della scomparsa, o meglio della fuga del fratello maggiore… Sotto una parvenza di perbenismo e di conformità alle regole cova un’aggressività mal dissimulata. Il malessere inconscio dei tre fratelli s’insinua, attraverso dei comportamenti devianti, nell’ordine prestabilito del cosmo famigliare. La figlia minore, appassionata di medicina, propone spesso dei giochi sadici e crudeli: “Chi riuscirà a tenere più a lungo il dito sotto l’acqua bollente del rubinetto, vincerà!”, “Chi si sveglierà per primo dopo avere respirato dell’etere vincerà!”. La vediamo seduta tranquillamente in giardino mentre taglia con delle grosse forbici i piedi della sua bambola Barbie, poi le mani, poi il naso. Il ragazzo trascorre delle lunghe ore, immobile, davanti alla palizzata nella speranza di percepire un segno di vita del fratello scomparso. La figlia maggiore riesce a sottrarre ad una ragazza, che viene una volta alla settimana per garantire l’attività sessuale del fratello, due cassette video: Rocky e Lo Squalo, un materiale, si intende, altamente “esplosivo”.
Kynodontas è filmato con dei lunghi piani fissi che scrutano i movimenti dei personaggi nello spazio riflettendo, attraverso l’immobilità dell’obiettivo, la staticità della loro vita. Il montaggio segue il trascorrere monotono e ripetitivo delle giornate dei ragazzi attraverso un ritmo fluido e misurato. La fotografia, optando per
una luminosità molto forte ed un’immagine estremamente nitida, contribuisce in maniera decisiva a creare l’atmosfera molto particolare del film. La scenografia è curata nei minimi particolari. L’arredamento della casa è caratterizzato da mobili un po’ datati, opulenti, ma al contempo scialbi: nella camera del figlio maggiore la testata del letto è piena di adesivi, in quella dei genitori i mobili sono di legno grigio, un colore molto in voga in Grecia negli anni sessanta. Lo stesso tenore è ripreso nel vestiario dei tre fratelli che portano degli abiti sciatti e fuori dal tempo o girano in pantaloncini corti ed in costume da bagno prigionieri in un eden sinistro dove splende sempre il sole.
Eccellenti i tre giovani attori: la loro gestualità volutamente maldestra e legnosa, il loro modo di parlare staccando le parole e articolandole con eccessiva lentezza, il tono volutamente monotono della voce e l’uso costante di espressioni desuete sprigionano un fascino singolare. Soprattutto le due ragazze sanno giocare con grande bravura sul filo teso tra sottomissione e fermento interiore. Lanthimos ha scritto una sceneggiatura molto riuscita sia nella sua struttura generale che nei dialoghi inventivi e taglienti, pieni di allusioni, di distorsioni semantiche e di trovate linguistiche esilaranti
Kynodontas solleva una questione di fondo: fino a che punto si può tollerare l’oppressione? Una notte la figlia maggiore decide di fuggire. Ha capito finalmente che il suo canino non cadrà mai, lo spacca quindi con le proprie mani e poi si rifugia di corsa nel bagagliaio della macchina. Noi restiamo col fiato sospeso fino alla fine… Lanthimos, anche con il finale del film, dimostra di avere del talento da vendere.
Splendida recensione, che quoto in pieno.
Il ventaglio di riflessioni che innesca questa pellicola è potenzialmente infinito.
Una bomba di celluloide come non ne esplodevano dai tempi di “Salò”.
Talento un cazzo. Fa cagare.
Ma i canini da latte cadono, non capisco. Forse non li consideravano già canini? Help!