Quattro stagioni per parlare di amore, quattro stagioni percorse da Juno, una ragazzina della provincia americana, per affrontare un dibattito interiore troppo lontano dalla spensieratezza dei suoi 16 anni. American teenager, va bene, ma donna, ragazza, che si ritrova con un concepimento inaspettato e soprattutto indesiderato: con questi presupposti, neanche a 40 anni e vivendo nel centro di New York, la scelta diventa facile.
Juno pomicia sovente con un suo coetaneo, molto delicato, dai pantaloncini giallo brillante… e apparentemente ancora ragazzino (dai suoi ormoni riproduttivi si capisce però che “organicamente” è già uomo).
Un giorno Juno, come molte ragazzine 16enni, decide di volere le gioie del sesso e travolge l’insospettabile amante. Dopo un po’ (veramente siamo all’inizio del film) scopre irrimediabilmente di essere incinta. La notizia viene resa nota alla migliore amica e alla sua famiglia. Nulla di più facile per Juno, i genitori non sembrano sconvolti, addirittura pensavano a qualcosa di più “grave” tipo droghe, espulsioni, ecc.
E qui si apre il dibattito.
Interiore si intende, ma anche mediatico, se vogliamo. A chi si rivolge Juno?
A un giornale per annunci. Un passo indietro: prima, però, passa per una specie di consultorio dove offrono preservativi al lampone e offrono soluzioni immediate per l’aborto. La 16enne Juno decide che non vuole interrompere la gravidanza, ma trasformare il suo problema.
In realtà il suo atteggiamento è quello di una persona che si ritrova ad avere un problema inaspettato e pensa a come rimediare per affidare il “fagiolo” che le cresce dentro a delle persone che lo desiderano. Lei “il fagiolo” non lo sente né suo, né del suo ragazzo. Insomma non si sente pronta.
Comincia la ricerca della coppia che aspetta da sempre quella “cosa” che è capitata a lei, e la trova, su una rivista per annunci. Il resto è per chi vorrà godersi un’ottima commedia al cinema.
L’ambientazione “da commedia” di questo film ci porta comunque verso il secolare dibattito sull’aborto, anche se la stessa protagonista del film, Ellen Philpotts Page, ha tenuto a precisare che non è un film nato per questo scopo. D’accordo, ma lo spettatore invece questo interrogativo se lo pone. Juno non è cattolica, ma sceglie comunque di non interrompere la gravidanza. La maturità interiore di questa ragazzina si sviluppa insieme al suo stato interessante. Juno raggiunge un grado di conoscenza che non tutti raggiungono: non esistono solo i problemi personali e il proprio grado di disperazione. In questo caso, quello che per molti può risultare tragico, per altri può risultare un tesoro. Ed è fondamentale maturare la consapevolezza di poter condividere un evento importante come la maternità con chi è sfortunato almeno quanto chi non vuole il bambino che aspetta. Usciamo dai binari del senso di colpa, usciamo dalle nefandezze pronunciate per scindere le opinioni tra laici e cattolici. Questa ragazzina è laica, non cattolica, eppure raggiunge un livello di consapevolezza della vita, e del valore che ha la gravidanza, che pochi sono riusciti a trasmettere nei loro linguaggi politichesi e sterili. E’ riuscita a infondere l’idea che la gravidanza, anche quando è indesiderata, non è una malattia o una vergogna.
Purtroppo le circostanze anche tragiche di un concepimento variano da donna a donna, ma c’è una considerazione che tutte dovrebbero fare: la gravidanza non mortifica la donna, ne esalta il ruolo primordiale. Anche istintivamente. Senza mai dimenticare le altre donne che non riescono ad arrivare alla gestazione. Se questi due mondi potessero parlarsi, quante cose cambierebbero? Juno sceglie la madre di suo figlio e capisce che muore dalla voglia di accogliere qualcosa che lei vuole scartare. Questi dovrebbero essere i nuovi fronti del dibattito. Dovrebbero parlare tra di loro le donne che vogliono abortire con quelle che non riescono a divenire madri. Uno spirito di condivisione così forte sarebbe d’aiuto per entrambe le categorie e sarebbe un esempio di dignitosa e umana convivenza. Perché questo aspetto non è mai stato affrontato? E se sì, da chi e in che modo, visto che io, donna 30enne moderna, non ne ho mai sentito parlare? Perché intraprendere fiumi millenari di dibattiti sul diritto all’aborto e non sul diritto alla maternità? E soprattutto perché non interrogarsi più a fondo sul perché molte donne decidono di abortire?
Quali sono i pensieri a cui vanno incontro le odierne gestanti, che siano felici o disperate?
Questa società non è in grado di aiutare la vita. Di svilupparla con qualità. Si ricorre a mezzi arbitrari e inutili senza andare a fondo nella lettura dell’ambiente ostile che si è costruito. Una donna oggi non ce la fa. Tutto qui. Non si riesce a mandare avanti famiglia e lavoro, sia economicamente che fisicamente. Non ci sono diritti per le donne. Se rimani incinta fermi la tua vita e il mondo non t’aspetta. Siamo totalmente disorganizzati per accogliere i nuovi italiani nascituri. Ogni cosa ha un dannato prezzo e, a meno che non sposiamo “Mister MantienimiTu” non possiamo lasciare che il caso o la fortuna arrivi a garantirci almeno un anno di pappette e pannolini.
Il dibattito resta aperto e forse da svilupparsi in altre sedi.
Io, 30enne del 2008, queste cose me le sono chieste.
Tornando al film, Juno ha capito dove poteva arrivare lei e dove dar vita ad un dono verso una donna sfortunata quanto lei. Entrambe avevano ancora voglia di vivere e di innamorarsi.
Cara Annalisa, semplificare dicendo che chi abortisce sente la gravidanza come una mortificazione mi sembra poco rispettoso nei confronti di chi ha dovuto fare questa scelta dolorosa.Porre la questione sulla mancanza di dialogo tra chi vuole abortire e chi no, pure. Tu parli della maternità come dono e non accenni nemmeno un momento a tutte quelle complicazioni che si possono verificare quando si realizza(comprese le sofferenze di un feto malformato). Il problema è semmai nel conflitto di interessi tra chi c‘è (la madre) e chi ancora non c‘è (il nascituro). E su questo, francamente, non credo possa metterci becco nessuno. La maternità è un “dono” per chi crede in qualcosa di trascendente, per chi cerca, con umanità, di comprendere è qualcosa di più complesso. Ma sai, questa è solo la mia opinione, senza alcuna pretesa assolutista.
Ho parlato della scelta di Juno.E ho chiarito che il dibattito deve essere approfondito in altre sedi. Non credo di aver chiuso l’articolo dando delle soluzioni “semplificatorie”, ma credo fortemente nel ruolo delle donne anche come madri e, sì, credo nella pari dignità tra chi dovrebbe nascere e chi concepisce. ho detto che ci sono molte storie e che le circostanze cambiano da donna a donna, ma difendo l’idea che oggi la gravidanza sia vissuta come una mortificazione, non solo perché indesiderata, ma anche perché inadeguata alla donna immersa in questa società. se diventi madre devi fare scelte che vanno ben oltre il sonno perso o le notti brave con gli amici. mi riferisco al lavoro, ad esempio, e al fatto che la precarietà colpisce prima di tutto le donne, mortificando le loro scelte tra cui quella di diventare madri. rispetto tantissimo le donne che decido di abortire o che hanno avuto storie tragiche legate all’aborto, ma ci sono troppe voci che starnazzano nella mente di una donna che deve decidere e nessuna che suggerisca una via che non passi per l’aborto ovvero per la fine di una vita, che è la scelta di Juno. ribadisco che mettere insieme donne che vogliono abortire con donne che non riescono a diventare madri possa indebolire il dolore di entrambe.
Io non ho visto il film ma anche io credo che la soluzione trovata da Juno – offrire il proprio figlio indesiderato a una coppia che invece lo desidera tanto ma non riesce a concepirlo – sia davvero una buona idea. In questo modo Juno risparmia a se stessa un’esperienza davvero brutta (lo è comunque per tutte, anche se la si sceglie volontariamente) e nello stesso tempo compie un gesto di una generosità incredibile permettendo ad altri di realizzare un sogno. Così, anziché compiere un gesto doloroso verso se stessa e fatale nei confronti del nascituro, accompagna nel primo tratto di vita (quella nella pancia è comunque vita!) una creatura che poi sarà cresciuta da qualcuno che, al contrario di lei, è pronto per accoglierla. Tutto questo, oltre a essere accettabile per un credente, è molto laico, è molto pragmatico, ed è anche molto poetico.
Certo, poi bisogna fare i conti con la realtà: le società organizzate in genere non concedono molte libertà agli individui e sicuramente non lascerebbero avvenire un simile “scambio” senza trasformarlo in un percorso ad ostacoli. Soprattutto in Italia, dove per esempio è possibile adottare solo dopo aver attraversato una sorta di calvario. Il nostro paese da questo punto di vista è pieno di contraddizioni perché gli stessi strenui oppositori dell’aborto, dunque soprattutto i cattolici, sono spesso gli stessi che poi vogliono rendere difficilissima la vita alle persone che non riescono ad avere figli naturalmente. Di qui le restrizioni alla procreazione assistita, di qui le difficoltà per l’adozione. Il motivo per cui ci si oppone all’aborto (rispettare la volontà di Dio) sembra – sottolineo SEMBRA – essere lo stesso per cui ci si oppone alla possibilità che gli sfortunati che non riescono a diventare genitori risolvano il loro problema senza attraversare un calvario. E temo sia sempre questo il motivo – per rispondere alla domanda che pone Annalisa – per cui in Italia non abbiamo mai sentito parlare della terza via, ovvero quella di Juno. Troppo facile, troppa libertà, troppa felicità!