Il teletrasporto è il sogno della scienza contemporanea, la frontiera che la fisica quantistica tenta di raggiungere da anni nei più importanti laboratori di ricerca di tutto il mondo. Tecnicamente consiste nella scomposizione di un corpo e nella sua ricomposizione in un altro spazio. In un laboratorio di ricerca di Ginevra un’equipe di scienziati è riuscita a teletrasportare le proprietà di una particella da un laboratorio ad un altro. La cosa è stata considerata una conquista epocale. Ciò dà la misura di quanto sia lontana in realtà l’applicazione sul corpo umano di un’idea tanto suggestiva quanto irrealizzabile. Mentre fisici, scienziati, e ricercatori lavorano alacremente a questa seducente utopia, ottenendo risultati infinitamente minori rispetto ai loro sforzi, la cultura popolare se ne è appropriata già da molti anni, facendone un dispositivo proprio.
Jumper è l’ultimo prodotto cinematografico di una lunga serie di libri, film, serie TV, cartoni animati che hanno assunto il teletrasporto a simbolo supremo del progresso tecnologico. Ogni passo scientifico avvicina l’uomo a Dio e quello del teletrasporto è una corsa verso i poteri dell’ubiquità. L’uomo sarà in cielo, in terra e in ogni luogo, basterà attendere due o tre secondi, il tempo necessario per la smaterializzazione e il riassemblaggio. Nell’infinito serbatoio della cultura pop la serie TV Star Trek rappresenta l’opera di culto che rese popolare il teletrasporto. Come dimenticare l’allineamento ieratico dell’equipaggio nelle apposite cabine, mentre un fascio di luce fosforescente li smaterializzava per teletrasportarli in un pianeta sconosciuto? Il tutto era ottenuto con effetti speciali archeologici ma pieni di verità e fascino visivo. La scena, nel telefilm, veniva rappresentata con tratto solenne e ritualizzato. Era il momento in cui il capitano Kirk e i suoi uomini si accingevano a esplorare pianeti che sovente nascondevano grandi pericoli.
In Jumper la presenza del teletrasporto ha un significato diverso. Non è giustificato da un mondo tecnologicamente avanzato. La realtà rappresentata è quella dei giorni nostri. Il protagonista David è un adolescente timido e impacciato, tipico nerd americano costantemente preso di mira dai bulli della scuola. Innamorato di una ragazza molto bella e molto dolce, un giorno si scopre in possesso di un potere enorme. Fin qui la storia è chiaramente ispirata (se non saccheggiata) all’Uomo Ragno, icona massima della cultura pop americana. In effetti la sensazione è che questo film tenti di forzare la porta di entrata per intrufolarsi (senza invito..) nel mondo sacro dei supereroi. Ma l’inciampo arriva presto, appena il tempo di capire che David, un angelo biondo dal sorriso televisivo, interpreatato da Hayden Christensen, utilizza tale potere all’insegna del più avido individualismo. Usa il teletrasporto per rapinare banche, per spostarsi anche solo di mezzo metro e, di fronte alle immagini televisive di New Orleans sommersa d’acqua e disperazione, si gira dall’altra parte ostentando un’indifferenza da brivido e sorridendo compiaciuto del proprio cinismo. Ci si aspetta un evento che gli svegli un po’ la coscienza e invece niente. Se ne va a prendere il sole sulla sfinge e un attimo dopo lo vedi surfare in pieno oceano, prendere un caffè a Parigi, flirtare a Londra, girare per Shangai. Finché scopre l’esistenza di un gruppo di fanatici religiosi, capeggiati dal cattivissimo Samuel Lee Jackson (ma quasi quasi si tifa per lui) che gli dà la caccia (perché solo Dio è onnipotente). Il pericolo si fa sempre più incombente e allora meglio entrare in azione perché anche la sua ragazza ora è a rischio.
Dunque un ego-eroe capace di muovere i poteri soltanto per difendere il proprio orticello minacciato. La storia va avanti punteggiata da banalità imbarazzanti e dialoghi da seconda elementare. Il resto è azione estrema, iperbolica e vittoria finale. Effetti speciali mirabolanti e location d’impatto (il colosseo, le piramidi). Jumper si potrebbe definire un nuovo modello di supereroe, lontano anni luce da quelli coscienziosi alla Spiderman. La figura del supereroe è un simbolo endemico nella cultura americana. Ha l’incombenza di caricarsi sulle spalle il riscatto di un’intera collettività assediata dai propri sensi di colpa. E’ una figura salvifica, che vive i propri superpoteri come una condanna. Un supereroe non ha diritto alla debolezza e all’anonimato. E’ condannato a fare del bene. La bellezza etica del supereroe passa attraverso il travaglio della propria umanissima coscienza, divisa dal grande dilemma: cercare il bene collettivo pagando un prezzo personale o fregarsene degli altri e raccogliere avidamente i frutti del proprio potere? Peter Parker al riguardo non ha dubbi. Sconcerta l’inizio di Jumper: una voce fuori campo, quella del protagonista, si rivolge tracotante agli spettatori in sala: “Prima di scoprire questo potere ero un imbranato, proprio come voi!!!”. Poi, commentando le immagini in cui si teletrasporta in una banca per un colpo, spara sicuro: “Perchè, voi cos’altro avreste fatto?”. Volete mettere con Peter Parker/Uomo Ragno nel primo numero del celebre fumetto (1962)? Lì diceva: “Per qualche motivo ho ricevuto un grande potere, e un grande potere porta grandi responsabilità.
“Povero quel paese che ha bisogno di eroi” diceva Brecht. Soprattutto se di questo genere.