[°] – Negli anni cinquanta a Parigi l’americana, rilassata e simpaticissima signora in età da fiere ed eleganti rughe, allegra e genuina, servita e riverita è Meryl Streep, che nel film si chiama Julia. Julie è anche una trentenne che vive nel duemila a New York. Oltre ad avere quasi lo stesso nome, le due donne hanno entrambe un marito/compagno e, soprattutto, sono tutte e due pazze per la cucina. Meryl è Julia Child, la protagonista serafica e pacifica – a tratti goffa – di un programma in bianco e nero su ricette di cucina francese di sua invenzione ed è famosa per il modo di parlare, tra l’estasiato, l’enfatico e l’idiota (è uno di quei casi in cui si gradirebbe la versione originale per la curiosità dell’espediente traduttivo). La Parigi che vive è tranquilla e silenziosa, e quasi deserta. Julie, impiegata e aspirante romanziera, è stremata in una New York stereotipata, tra metropolitane affollate, buste di plastica che galleggiano per aria e uffici a scomparti, tipici dei call center. Cerca un modo per svoltare, per emergere, cerca l’idea e la trova in Julia Child e, ispirandosi a lei e al suo libro di ricette, apre un blog di cucina che, via via, acquista una notorietà tale da finire nelle grazie del – attenzione! – New York Times.
A fare da tramite, da punto di collegamento fra le due, una collana bianca di perle e poco altro (tra cui figura un raccordo su un piumone).
L’innocua riflessione massmediologica (se massmediologico non appare già termine troppo desueto) sui due mezzi – la televisione del secolo scorso e l’attualità del blog – è qui rivisitata in chiave culinaria e si sposta principalmente sul versante degli effetti. La trentenne Julie da un lato usufruisce della televisione come spettatrice, creando allo stesso tempo il mito della “diva julia” che appare diva proprio nella misura in cui comunica in modo discreto (non continuo) una vita che ha anch’essa le sue difficoltà; dall’altro agisce – al contrario – nel suo blog da persona comune perché: “chi mi legge?”. Comunicando i suoi stati d’animo e i suoi problemi e tutto ciò che le passa per la mente – “un blog sono io io io tutti i santi giorni”- abolisce la possibilità della creazione del suo stesso mito.
Con una sceneggiatura sorretta da un improbabile e, ciononostante, costantemente ricercato parallelismo tra le due donne, peraltro reso con l’alternanza di spezzoni lunghissimi, o dall’assenza di veri subplot o, ancora, da momenti di comicità spesso preannunciati da una voce narrante che ne anticipa il contenuto suscitando una puntuale ilarità data forse dalla sola ripetizione, il film va ad inserirsi senza incisività in quel filone di “racconti della cucina”, passione per i fornelli, in quello sperimentato filone di storie di cibo e baci.
L’andamento piatto che non si limita al solo primo tempo, l’assenza totale di veri e propri momenti di “crisi” che pure sono tipici delle commedie, conducono legittimamente ad interrogarsi sugli ipotetici sviluppi della narrazione e sulla reale necessità di alcune storie. Ma quando arriva il finale, o nella fattispecie i titoli di coda, con colpo di scena (e i colpi di scena, in questo caso, ce li ha lo spettatore che, come chi scrive, va al cinema ignorando ogni informazione sul film), improvvisamente tutti i conti tornano e ogni cosa, se non può essere illuminata, almeno è legittimata. Ma anche in quel caso, nella migliore delle ipotesi, la legittimazione della storia raccontata si ridurrebbe, al più, a un realmente esistito trafiletto di giornale. Qui invece si prende un eventuale trafiletto di giornale, lo si dilata, gli si cambia la forma espressiva, dando contemporaneamente al cinema quella chance troppo riduttiva di esistere per mostrare visi, meglio ancora se di celebrità.
Tutto questo senza considerare il fatto che i finali sono sempre facili perché preludono al vuoto, accolgono il nulla, nulla che, per la stessa ragione di esser tale, sacralizza quello che v’è di precedente. E anche se la meta ha il suo peso, il viaggio ne ha ancora di più e chi scrive tenderebbe a dubitare di film che si appoggiano alla ciliegina sulla torta.