Il futuro non è scritto: parole sante, direbbe Celestini, e coraggiosamente adeguate ai nostri tempi. Parole che giungono direttamente dall’eco dell’energia vitale di Joe Strummer: penna, chitarra e voce dei Clash, stroncato da un infarto il 22 dicembre del 2002 ad appena 50 anni di età. Il lavoro è firmato Julian Temple, regista esperto di documentari musicali e videoclip: al suo attivo ci sono due lungometraggi sui Sex Pistols (La grande truffa del Rock and Roll, del 1979, e Sex Pistols – Oscenità e Furore, del 2000), uno sulla storia del festival di Glastonbury e video per Depeche Mode, Culture Club, The Kinks, Rolling Stones, David Bowie, Neil Young e altri. E Julian Temple, amico di Joe negli ultimi dieci anni della sua vita, riesce a restituirci parte delle emozioni di questa enorme avventura umana in cui si intrecciano cultura hippy e occupazioni londinesi degli anni Settanta; cultura e attitudini punk con radicalismi politici e terzomondismo.
Figlio di un diplomatico, John Graham Mellor inizia a suonare a Newport, con i Vultures, nel 1973 e prosegue a Londra dove l’anno successivo forma i 101ers: John all’epoca si fa chiamare Woody, in onore di Woody Guthrie, colui che sulla chitarra portava scritto “this machine kills fascists”. Il cambio in Joe Strummer (strimpellone) risale a poco dopo la formazione dei 101ers, quando John ancora suona senza usare tutte le corde, e poco prima dello shock dei Pistols: il concerto del novembre 1976 insieme alla band di Johnny Rotten fu un evento decisivo per Joe. L’incontro con Mick Jones e Paul Simonon e il successivo passaggio dal rock al punk fu radicale: una trasformazione che non investì solo il look e le sonorità, ma anche le amicizie personali e i rapporti affettivi. Nel film di Temple la figura del bassista Paul Simonon, tuttora attivo con alcune recenti produzioni insieme a Damon Albarn, aleggia come un fantasma: non compare né viene fornita alcuna spiegazione sulla sua assenza.
L’omonimo album d’esordio dei Clash esce nel 1977, il singolo è White riot e il punk è il fenomeno del momento. Come nella storia dell’eterna diatriba tra Bealtles e Stones, i Clash raggiunsero l’apice del successo artistico e commerciale dopo lo scioglimento della band rivale dei Sex Pistols, riuscendo non solo a uscire indenni dal ciclone del fenomeno punk, terminato con la morte di Sid Vicious, ma musicalmente maturi. London calling, terzo album, uscito in doppio vinile nel dicembre del 1979, fu il disco dell’emancipazione dalle sonorità monocordi che li avevano resi celebri. All’interno del gruppo, Mick e Paul sono i musicisti mentre Joe è il poeta e il filosofo; l’energia trascinante e la mente pensante; l’anima politica e l’orecchio attento alle influenze musicali non occidentali. Una sorta di sciamano che rifiuta “il successo”, ma che cerca ineluttabilmente la visibilità spinto da un’ambizione autodistruttiva.
Il film è visivamente ricchissimo, ma non dispersivo e il materiale scelto riesce sempre a rievocare le atmosfere citate. Il repertorio comprende immagini tratte da If (1968) di Lindsay Anderson; da La fattoria degli animali (1954) di Joy Batchelor e John Halas; filmini di famiglia che ritraggono Joe con il fratello maggiore David, toltosi la vita in adolescenza; dai videoclip della band; dalle riprese dei concerti e perfino dall’animazione di alcuni disegni dello stesso Strummer. Queste immagini sono amalgamate dalle voci di circa settanta testimonianze, ben orchestrate nel creare un racconto corale.
I Clash si sciolgono definitivamente nel 1985. Per Joe Strummer inizia un percorso individuale fatto di musiche per il cinema, ruoli attoriali più o meno importanti (il più rilevante sicuramente in Mistery Train di Jim Jarmusch), alcune apparizioni come chitarrista dei Pogues, musica techno, esperienze da dj nei rave illegali e lunghi periodi di solitudine. Solo nel 1998 Joe riesce a dar vita a un nuovo gruppo, i Mescaleros, con i quali pubblica tre album. Nell’ultimo concerto, tenuto a beneficio dei pompieri di Londra, Mick Jones si unisce per un'ultima volta a Joe Strummer e ai suoi Mescaleros per la cover di White Riot.
Julian Temple ha sviluppato il lavoro attorno a due soggetti principali: la voce di Joe Strummer e quelle delle persone che lo hanno amato, frequentato, conosciuto e aiutato. La prima giunge principalmente dalle registrazioni della trasmissione radiofonica London calling tenuta da Strummer dal 1998 al 2002 sul canale World Service della BBC e ascoltata da circa 40 milioni di persone. Gli estratti presentati dal regista lasciano intuire l’ampiezza della ricerca musicale perseguita: si ascoltano brani di gruppi africani, sudamericani, di lingua araba e i sempre amati padri della musica jamaicana.
Le testimonianze di amici e familiari sono invece organizzate su quattro location (Londra, Dublino, New York e Los Angeles) e ogni set vede gli ospiti seduti attorno ad un fuoco. Non si tratta solo di un’invenzione di sceneggiatura, né semplicemente di una trovata estetica efficace anche dal punto di vista delle riprese in notturna. Julian Temple usa i falò come un escamotage narrativo e lascia attendere lo spettatore fino alla fine del film prima di svelare la ragione della loro presenza: ma per Joe i falò erano una pratica che rispecchiava una sua personale visione del mondo. Un atto, un gesto materiale concepito sull’assenza di una gerarchia, sull’orizzontalità dello sguardo, con le fiamme che bruciano e trasformano: i falò di Strummerville, divenuti leggenda a Londra come ai festival di Glastonbury, erano per Joe l’unico luogo di comunicazione rimasto, una sorta di “rete” ante litteram.
Il futuro non è scritto è l’occasione per scoprire come Joe Strummer non fosse solo la star che aveva sempre sognato di essere: egli era anche un creatore di prospettive, uno secondo il quale “ai non fumatori dovrebbe essere vietato comprare qualsiasi cosa prodotta da un fumatore”. Un animatore di immagini e di emozioni, un enzima del sogno: uno per cui il futuro non poteva, in nessun modo, essere già scritto.