Di Fabrizio Funtò / Ho visto The limits of control di Jim Jarmush sullo schermo del Detour di Roma.

Un film lento, meditativo e ripetitivo. Un altro film dove apparentemente non accade nulla, e dove un messaggio giace per forza tra le pieghe delle inquadrature. O nella struttura stessa del racconto.

Messe su un filo lineare, le sequenze portano da un meeting del mandante di un omicidio, dove incontra ed incarica un killer (entrambi neri, mediati da un bianco) della uccisione finale di un superprotetto (Bill Murray) uomo di potere, non meglio specificato. In mezzo, una serie di sequenze, atti e gesti ripetitivi, dove non accade nulla.

Il Killer gira dei posti in Spagna, siede ai tavoli di bar, ordina sempre due tazze separate di caffè, scambia scatole di fiammiferi The boxer con improbabili membri di una organizzazione criminale. In ogni scatola un bigliettino con istruzioni in codice, correlate a opere d’arte su cui il Killer va a meditare; bigliettino che poi viene ingoiato e trangugiato grazie ad uno dei due caffè espresso.

Tutti cosi, tranne l’ultimo bigliettino, completamente bianco, che rimanda all’opera velata e negata, il Grande Lenzuolo di Antoni Tàpies che annuncia la fine. Il biglietto è bianco. Non viene trangugiato. E’ la fine, il nulla. La morte, l’assassinio.

La struttura è quella del Bolero di Ravel. Ovvio che sia tutto ambientato in Spagna. Ovvio che il Killer non parli spagnolo, lui l’alieno: nero, omicida, amerikano di importazione. Muto.

Il leitmotiv del ciclo delle ripetizioni è che la vita non ha valore e per perpetuarsi deve necessariamente ripetersi. Non ascendere verso un ideale, una aspirazione, un fine verticale. Nella ripetizione orizzontale trova il suo significato, ma appunto non la sua sostanza: noi facciamo tutti i giorni la stesa cosa, ripetiamo e ripetiamo esattamente la nostra giornata inseguendo dei codici imposti da oscuri mandanti e trangugiandoli di malavoglia. Ma queste istruzioni, provenienti da un indecifrato architetto delle nostre esistenze, ci guidano verso la ripetizione ossessiva delle nostre vite. Verso la moltiplicazione.

Non sono un seguace del nulla. I nullisti mi infastidiscono. Il nulla, come la morte, come il buio, il nero e l’assenza, sono il limite dell’esistenza umana. E del pensiero. Sono l’altra faccia della pedissequa ripetizione, un capolinea oltre il quale non si passa, non interpretazione e cognizione.

L’arte, nella visione di Jarmush, sembra fare completamente da specchio della vita: una linea parallela che accompagna la ripetizione su un piano diverso ma coordinato. La anticipa, la illustra, la previene. Il nostro criminale nero, prima di agire, va a consultare nel Museo della Reina Sofia l’opera corrispondente.

Non a caso l’arma del delitto finale è la corda sottratta dal Killer ad una bellissima e famosissima chitarra acustica. Lo strumento musicale è anche uno strumento di morte e di possibile liberazione o redenzione.

Il ritmo del film è ridottissimo, le ripetizioni sono lunghissime, il tempo occupato da sequenze banali è dilatato, ingigantito. Viene immediatamente alla memoria quello che disse a Ravel una signora del pubblico, alla fina della prima rappresentazione dell’opera: “Lei e un pazzo!”. Al che, Ravel confidò: “Finalmente: questa signora ha capito tutto!

Solo che qui i pazzi siamo noi, i ripetitori delle nostre stesse esistenze.

E a sottolinearlo è quel piccolo, apparentemente inspiegabile particolare: il doppio caffe. L’insonne Killer ne beve sempre e soltanto uno. Ma l’altro per chi è? Chi deve svegliare? Chi “si” deve svegliare?

Vediamo se siete bravi voi, ora.

Segnalo solo la seguente chiave d’interpretazione: una delle differenze fondamentali dalla civiltà della Grecia antica dalla nostra, è il rapporto che abbiamo con il concetto di replica, di ripetizione. Per i Greci, il numero (la quantità) è una categoria risibile, del tutto insignificante. Non c’è un solo greco che abbia basato un proprio ragionamento sulla quantità numerica.

Per noi i numeri sono invece tutto. La moltiplicazione, la percentuale, gli interessi, lo scopo della società mercantile, ha nella quantità la sua origine e la sua fine.

Per i Greci, come per il nostro Killer, vale invece il concetto del doppio. Nella sua esperienza di vita, l’Eroe greco deve fare attenzione al suo doppio. Al Kolossòs. Il doppio contiene le qualità e i pregi che tu non hai; è la tua proiezione ideale nell’altro opposto e capovolto. E’ come la materia e l’antimateria: quando si incontrano, uno dei due deve morire e cedere la sua energia all’altro. Mi fermo qui, per non divagare oltre.

I due caffè sul tavolino, non sono identici, lo sono solo apparentemente. Il secondo è sempre per il doppio, il Kolossòs, l’altro: come l’arte che si muove su un piano parallelo e diverso, ma speculare.

Tanto per capirci, riporto una boutade di colui che per me è il massimo scrittore dei nostri tempi, Borges: “Gli specchi, e la copula, sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini”. Non creano dei doppi, agiscono nel regno della quantità non della qualità.

3 Replies to “Jarmusch: La ripetizione e il doppio”

  1. Bel pezzo Fabrizio, complimenti! Grazie per avermi fatto cogliere in maniera così chiara un possibile senso del film.

  2. bella e interesante riflessione. però il cinema senza specchi e senza copule sarebbe una noia mortale! come anche la vita senza un po’ di purulenta carne cristiana (qui lo dico e qui, ovviamente, lo nego…).
    mi viene da pensare e aggiungere che nei greci oltre il doppio, che può prestarsi anche a un tipo di conoscenza non nullista ma aristocratica, come secondo me è quella di jarmusch, appunto molto legata all’arte, molto meta, situata per forza di cose dalle parti del sublime, nei greci, dicevo, c’è anche il valore progressivo (non circolare) del maestro che insegna e trasmette al discepolo, senza macerazione della carne né confessione né soprattutto rinuncia a cercare di migliorare l’umanità attraverso l’insegnamento della libertà (che non è la contemplazione elitaria del labirinto)

  3. Grazie, Stefania. Apprezzo MOLTO.

    Concordo con Alessia, rilevando che secondo me Jarmush sta facendo il verso ad una società che gira letteralmente su se stessa, in tondo, senza andare da nessuna parte.

    Senza “crescere” in verticale. O Accrescere.

    Come avrai notato, attraverso le persone che si incontrano col killer, Jarmush allude alla “globalizzazione”: perfino l’asiatica su treno gli chiede se parla spagnolo. Cioè: dicono tutti la stessa cosa, cioè niente. “Parli Spagnolo” corrisponde alla sincronizzazione dei parlanti “prima” di iniziare la comunicazione.

    Ma la comunicazione non c’è più. Quindi dilaga il nulla. L’atroce, dilaniante ma (e qui sta la genialità della ripetizione) “rassicurante” nulla.

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