Premessa necessaria per chi si accinge alla lettura di questa breve riflessione. Per le considerazioni che seguiranno su Irrational man è impossibile non svelare tutta la trama del film e oltre.
L’ultima fatica di Woody Allen si presenta da subito come un’opera stratificata nei vari piani, narrativo, filosofico, filmico. Difficile da sbrogliare una matassa che forse risulta troppo carica e aggrovigliata. Per motivi pratici si privilegerà l’Allen-affabulatore.
E’ come se l’ottuagenario regista avesse voluto proseguire il suo discorso morale congegnando a tavolino un piccolo saggio filosofico sapiente e intelligente ma esangue, privo di anima. E’ da vedere poi se questa risulti una scelta stilistica consapevole o un limite di fondo.
Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di filosofia la cui fama lo precede alla piccola università di provincia, in Rhode Island, nel college Brailyn. L’uomo è in profonda crisi esistenziale, anche se le ragioni per cui lo sia (è stato lasciato dalla moglie che lo ha tradito per il suo migliore amico, un suo caro amico è stato ucciso durante la guerra in Iraq) e le modalità con cui lo manifesta (tira fuori continuamente e in pubblico la borraccetta di scotch, si atteggia a pensatore maledetto estraneo e disincantato, gioca alla roulette russa durante una festa con i suoi studenti) sono esplicitati drammaturgicamente al limite del ridicolo. Come se non ci fossero già abbastanza motivi nella vita per la sua insensatezza. I personaggi da cui verrà circondato non assumono uno spessore narrativo maggiore: la sua collega Rita e la studentessa Jill (Emma Stone), con cui esperirà incontri amorosi, sono scialbe, banali e la loro condizione di donne borghesi in cerca di emozioni intellettuali non ha mai un sussulto di profondità o di passione. Ma tant’è.
A quanto detto fa da contraltare lo sviluppo narrativo della tesi sostenuta da Allen-Abe che nel film assume una puntualità rigorosa e indiscutibile: durante le sue lezioni con gli studenti Abe Lucas cita cotanta filosofia illustre per arrivare ad un punto definitivo. Nelle scelte umane non esistono imperativi categorici che tengano, non si può agire per principi. Di fronte a scelte difficili è il senso pratico che conta, l’istinto (l’irrational appunto) che ci fa fare ciò che è opportuno fare. L’argomentare filosofico è una forma di masturbazione mentale. Ed è proprio il rimuginare senza agire ciò che ha gettato Abe in un abisso senza ritorno, privandolo di qualsiasi interesse verso l’esistenza. Finché un giorno, mentre si trova in compagnia della sua allieva più sensibile, ascolta per caso la conversazione di una donna con alcuni suoi amici- l’unica testimonianza credibile nel film di sofferenza e dolore – in cui questa racconta di un giudice corrotto, Thomas Spangler, che le toglierà l’affidamento dei figli perché amico dell’ex marito.
Ecco allora accendersi una scintilla in Abe: il progetto di uccidere quell’uomo realizzando il delitto perfetto lo rimette in contatto con la vita; fare qualcosa non verso una generica umanità ma per aiutare qualcuno, eliminare un malvagio riducendo il male nel mondo, scegliere di fare ridarà senso alla sua vita, lo risveglierà da un nichilismo esistenziale irreversibile.
E così parallelamente al congegno del suo piano, vediamo Abe farsi coinvolgere dall’amore di Jill e dal desiderio di vivere. Una volta portato a compimento il suo delitto, risulterà al di sopra di ogni sospetto, tranne che per l’istintiva Jill, che pian piano comincia a configurarsi tutt’altro che scialba. Questa, una volta scoperta la verità e venuta a conoscenza che un innocente rischierà l’ergastolo al posto di Abe, gli intimerà di costituirsi, emancipatasi finalmente rispetto al personaggio iniziale. Abe esce così allo scoperto in tutto il suo istinto di sopravvivenza (senza alcuna ragione morale) che denuda e liquefa il suo radicalismo intellettuale. Progetterà un nuovo delitto. Quello di Jill.
Ed è qui che Allen mostra la sua grandezza sia come autore che come intellettuale: ci troviamo di fronte a un cambiamento ulteriore nella sua visione morale del mondo. In Crimini e misfatti l’omicidio impunito di Martin Landau, che si autoassolve nella confessione che ne fa a Woody Allen alla fine, mostra la schiacciante differenza tra un dio cristiano che ascolta e assolve, e il dio degli ebrei lontano dall’uomo; in Match Point, morto dio, irromperà invece il Caso a determinare l’impunità di Chris Wilton, condannato però ad una vita vuota e infelice; in Sogni e delitti l’evoluzione ulteriore sarà quella della coscienza personale che produrrà un rimorso rispetto al calcolo perfetto dei due fratelli McGregor – Farrell. Qui, in Irrational man, a determinare la morte di Abe subentra sì il Caso, ma questa volta sembra accompagnato da un elemento in più.
Durante la colluttazione con Jill che sta per essere gettata nella tromba dell’ascensore, Abe scivola su una piccola torcia, caduta dalla borsetta – dono che la ragazza aveva scelto al Luna Park per una vittoria di Abe a un gioco di roulette – e sarà questa la causa del suo precipitare nel vuoto. Quella torcia, definita da Abe stesso “il senso pratico” di Jill, rotola sì a terra per caso, ma è intenzionalmente scelta da Woody Allen come causa della morte di Abe. Cosa rappresenta? Un caso teleologicamente determinato? In Match Point c’era un delitto senza castigo, qui al delitto segue invece un castigo. E’ possibile allora che Allen ci dica che al male segue necessariamente altro male, che in esso vi sia iscritto un destino di dolore ontologicamente determinato? Oppure, seguendo un’altra strada, quella torcia può rappresentare il simbolo di una saggezza pratica che alla fine Jill recupera, abbandonando Abe al suo destino e con lui ogni fascinazione romantico-intellettuale? Stando a questa seconda ipotesi, il caso cieco e baro, ricostituito l’ordine originario, non compromette nulla: la prudenza borghese risulta vincente, e ogni cosa ritorna al suo posto.
Rimaniamo volutamente con questo interrogativo in sospeso, persino le note dello swing giocoso che accompagna tutta la narrazione determina uno spaesamento che fa da contrappunto a tutta la storia e lascia nello spettatore la sensazione di essere finiti in una scatola cinese.
Non lo avevo approfondito come hai saputo fare tu, ora mi è molto più chiaro il senso del film che non mi era piaciuto molto.
Una notevole recensione, anche soprattutto perchè si macchia con coraggio di spoileraggio selvaggio:)
Amiamo e compatiamo il povero Lucas, intellettuale schiavo del proprio falenante intelletto. Chapeau a Woody affabulatore e allo swing ricorsivo sonoro : temi filosofici profondi si celano spesso sotto il velame dei dialoghi e delle situazioni, come delle luci e delle musiche woodiane. Uno dei suoi (di Woody) migliori ‘minori’, dopo tutto. Insieme a Pallottole su Broadway, ove addirittura si postula un codice morale svincolato dalle comuni convenzioni e interdetti, dettato da una Legge che vincoli solo e solamente gli uomini di genio, a tutela dell’arte creativa che nasce e vive a discapito della vita di creature fatte di ‘semplice’ carne.