Ci sembra di ricordare che gran parte di tutte le produzioni trasmesse in ambito Rai avessero spesso come minimo comun denominatore molti protagonisti in abito talare. Caso vuole che anche al cinema la prima pellicola con alle spalle la partnership di viale Mazzini a cui ci è capitato di assistere dopo molto tempo, Io Don Giovanni, sia una dedicata proprio alla storia di un abate, sia pure se noto come libertino e massone. Presentata recentemente anche al Festival di Roma, l’ultima fatica del maestro spagnolo Carlos Saura ha sicuramente i nomi (Storaro) e le credenziali per presentarsi come una discreta produzione internazionale. Alla luce delle oltre due ore incentrate sui vizi privati di Lorenzo dal Ponte, il librettista di uno dei capolavori più conosciuti di Mozart, non sono pochi gli elementi però che ci insinuano il dubbio che l’opera sia molto più adatta per essere distribuita nei circuiti delle fiction che non in quelli cinematografici.
Almeno da Bunùel e le tavole di Re Salomone in poi è assodato ormai che la filmografia del regista spagnolo Orso d’oro a Berlino nel 1981 per In fretta, in fretta si sia ormai radicalmente allontanata dal fulgore di Cria Cuervos e Il Giardino delle Delizie. Sicuramente Saura negli ultimi venti anni non è mai stato molto felice nella scelta dei suoi attori stranieri (Valeria Marini, Francesca Neri), ma questa volta, persistendo nella scelta di volti televisivi noti come Tobias Moretti (Il commissario Rex) e Lorenzo Balducci (Ris, Delitti imperfetti) per impersonare due caratteri come Casanova e Lorenzo da Ponte, ingolfa e ammorbidisce più del dovuto la funzionalità di una struttura rappresentativa già poco incisiva nel rendere l’impeto sentimentale di due libertini spregiudicati nelle corti di Venezia e Vienna alla fine del ‘700. L’attenzione di Saura sembra concentrarsi soprattutto nel rendere e subliminare il principio secondo cui la vita reale è un’opera teatrale. In un certo senso il lavoro di Storaro, l’utilizzo costante dei teatri di posa e un ottimo gioco di luci nel traslare lo spostamento dei protagonisti dalle vicissitudini personali ai movimenti sul palcoscenico è assolutamente emozionante. Il fatto che però Saura colleghi quasi atto per atto la stesura del Don Giovanni alle circostanze fortuite che capitano di volta in volta a Lorenzo da Ponte tende a banalizzare incredibilmente l’opera di Mozart oltre che tutto il film.
E’ assolutamente lecito il fatto che secondo la visione del regista sia stato molto più incisivo il contributo del librettista che non quella del genio austriaco alla resa di un capolavoro così importante. Alcuni passaggi nodali come l’incontro del protagonista con l’imperatore Giuseppe II o l’ipotetica redenzione sentimentale di da Ponte che abbandona il sesso ramingo per l’amore puro sono trattati con fin troppa casualità e sciatteria anche per chi abbia voluto seguire la strada della rappresentazione calligrafica a tutti i costi. L’omaggio sincero comunque a uno dei più grandi capolavori di tutta la storia dell’umanità nobilita inevitabilmente tutti gli sforzi dell’autore, di cui attendiamo sempre il ritorno ai fasti degli anni passati.