Tre ore di film raramente scorrono e rapiscono senza lasciare tracce diverse da una piacevole sensazione di evoluto avvenuto intrattenimento, anche se lo spettatore non è già pregiudizialmente ben disposto dall’avere ben vissuto esperienze precedenti confezionate dallo stesso Nolan-regista, che ha nella propria cifra di stile e gestione del messaggio la complessità e multiversionalità dell’approccio alla percezione.
Memento esplorava anni e mesi fa la psicopatologia della memoria a brevissimo presente, Inception alcuni giorni or sono il contatto incarnato tra vita sognata e vita vissuta, con le interconnessioni delle dimensioni soggettive e anche fisicamente interagenti di molteplici universi individuali onirici condivisi.
Interstellar si pone oggi-ora come rapido (in senso relativo) apologo su di una vita di oltre 120 anni, che lascia l’internauta siderale giovinetto come quando era partito, mentre i figli invecchiano e muoiono decrepiti dopo aver salvato il mondo dall’apocalisse climatica che genera polveroni soffocanti per gli umani e le colture, vuoi di grano, vuoi di okra (?), vuoi di mais.
Apprendiamo che le guerre in tale mondo terrestre futuribile non esistono più, perché l’uomo è principalmente impegnato a coltivare una terra matrigna sempre più avara di alimenti, per cui persino gli ingegneri – vanto dell’umano genere – non studiano più in tanti presso università ormai scarsamente popolate (e in drammatica carenza di pane e companatico).
L’ottimo Ing. (fu giovane astronauta) Cooper vive dunque-comunque al margine di un minacciatissimo ‘corn field’ americano con i due figli, uno maschio adolescente, l’altra la decenne Murph.
Murph, soltanto leggermente imbronciata per esser stata nomata dall’agnostico genitore dalla universale Legge di Murphy – per la quale ciò che può accadere finirà per accadere – è molto anzi moltissimo intelligente, molto affezionata al padre, poco disposta a lasciarlo vagolare per galassie dopo che il suadente Professor Bard lo alletta e persuade a ciò fare, in compagnia della figlia di lui stesso Bard e di altri multietnici astrofisici.
In nome di un fuligginoso piano A (salvare il mondo recuperando imprecisati ‘dati quantici’ dallo spazio profondo) e di un subordinato plan B che tende a trasferire alcuni coloni umani su abitabili pianeti situati nel non-si-sa-dove, il moderno naviglio spaziale parte dunque, si aggancia in orbita a una stazione rotante, entra con essa in un ‘wormhole’, specie amica di nerobuco che curva lo spazio e lo tramuta in imbuto d’accesso a una galassia invisibile inesplorabile sinora, alla ricerca di precedenti Bard-spedizioni dirette al conseguimento degli stessi A-B-obiettivi.
Alla barba degli shock generati da luci, atmosfere, ultraboreali effetti speciali spazioprofondi e dell’aspetto superficiale dei pianeti da ‘Coop’ e Miss Bard visitati, delle ore che ‘relativamente’ parlando costano decine di anni a chi sui pianeti non scendono, delle sorprese che gli scienziati relitti – quelli presenti, quelli assenti – riserveranno a Coop e Missie B : i Nostri vanno, vedono, lottano tornano.
E noi con loro, verso Terra. Anzi no, anzi non solo. Altro meglio non dire.
Nolan si conferma lontano dal compiacimento (anti)gravitazionale di Cuaron, distante dall’afflato precursore di Kubrick, sideralmente distaccato dalla complessità geofilosoficopolitica di Scott quanto dalla paccottiglia purissimamente sci.ficcionale di personaggi quali Riddick, Robocop, vari di casa Marvel. Rispetto a quanto Coop e Miss B sui planetoidi trovano, immangono e spaventano molto di più le onde distruttrici di Petersen e Weir, o i tornado di Nichols (la JC dell’ottimo Take Shelter qui appare nei panni di Murph adulta).
Una vena intimista nel disegno del rapporto padre figli/a sopravvive, seppure annegata da indimostrabili incalcolabili richiami alla meccanica quantistica tradotta in codice morse (:?:).
Lacrime fluiscono ampiamente sull’happy ending ‘salvamondo’ (libero-bello-americano)e fioccano confusi richiami alla multidimensionalitàdei viaggi spazio temporali, istradati da una misteriosa civiltà superiore che tratta la gravità come un passe-partout tra le galassie
Restano apprezzabili ma non indimenticabili le panoramiche spaziali di viaggio, di atterraggio e scoperta di superfici ora oceaniche (ma camminabili) ora fatte di calanchi ghiacciati e sprofondanti in ammoniacali fenditure.
La recitazione di buon livello soffre della vitrea fissità degli sguardi e della mimica, motivata forse dalla necessità di far trasparire il sacro fuoco di salvezza interplanetaria che alimenta i vari personaggi, raffigurati come orgogliosi miti ma determinati americani, bravi nelle coltivazioni intensive come nella fisica quantistica, nel baseball come nella lettura di voluminose librerie domestiche. La sceneggiatura, a volte lacunosa, si attaglia a figure umane che vivono su piani spazio-temporali diversi e divergenti..e quindi a buon titolo possono dirsi fuori fuoco e sincronia emotivo-comunicativa.
Un film da vedere, non da rivedere, da ricordare comunque senza particolari brividi come cimento e complemento delle fiabe ultramoderne di Nolan, se non di Batman, entrambi pionieri indagatori, per mezzi e fini, dell’Oscuro Disorientamento.
Proprio ieri ho visto il film, e durante la proiezione mi dicevo “sono propio curioso di leggere cosa potrà aver recensito Luca…”.
Mi ci ritrovo nella tua rilettura, si capisce che non sarà per te il film dell’anno. Si coglie in effetti un sottilissima (forse sottile) ironia di fondo, che non arriva a condannare, ma certamente non celebrare un lavoro che sembra invece, per quanto scrivi e io interpretato, di buon spessore cerebrale da genere intrattenimento. Forse mi sono divertito un pochino più di te (il buon intrattenimento può essere un valore). Complimenti, difficile leggere recensioni di livello come le tue!!