L’ultima fatica di Woody Allen, You Will Meet a Tall Dark Stranger, attualmente nelle sale italiane a contrastare, tra i pochi titoli “d’autore”, il consueto strapotere natalizio di cinepandori di ambientazione più o meno esotica, cartoni animati e harrypotterismi vari, è un film francamente imbarazzante.
Si farà subito notare, e a ragione, che già da un po’ il maestro è appannato, la qualità media dei suoi lavori assai scemata (vedi qui) [1]. Probabilmente imprigionato in un meccanismo produttivo – e forse anche in un personalissimo e peculiare habitus mentale – che continua a imporgli la realizzazione di un film all’anno a fronte di un estro che gli consiglierebbe invece di diradare la produzione e distillare la creatività in più parche (e perciò più preziose) episodiche dosi, nell’ultimo decennio il 75enne cineasta ha prodotto pochi titoli degni di nota, se rapportati a una filmografia che tra gli anni ’70 e il 2000, sia a livello qualitativo che quantitativo, ha conosciuto pochi eguali. Eppure, dentro questo quadro biofilmografico che va consolidandosi, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni riesce a toccare una vetta negativa imprevedibile, rendendo arduo il compito anche agli estimatori più affezionati, che si erano sforzati di trovare del buono pure nel penultimo Basta che funzioni (2009) e persino nel turistico Vicky Cristina Barcelona (2008). Fiacchi e superficiali, mai divertenti, i 98 minuti che vedono protagonisti, tra gli altri, Anthony Hopkins, Naomi Watts e Antonio Banderas, sembrano il materiale grezzo di una classica commedia alleniana del tempo che fu. La consueta ronde, imbastita nella ormai consolidata location londinese, vede rappresentanti inverosimili della buona borghesia britannica dimenarsi vanamente dietro l’Amore, il Successo e la Felicità, più fatui e mummificati che mai. In primo piano, mai messi in discussione né tanto meno sottoposti a critica, i simboli ostentati di una ricchezza fastidiosa che non può non allontanare dallo schermo lo spettatore di un’Europa ben più modesta, invischiato nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza alla Crisi.
Questo Woody è indifendibile.
Assunto il presupposto, a conti fatti c’è forse un solo modo per denunciare il declino di un artista e al contempo rispettarne fino in fondo la grandezza: ignorare quel declino e andargli oltre, cioè prima. Quasi fosse una forma ostinata (e criticamente non-rigorosa!) di resistenza al Brutto: rivedere un suo capolavoro del passato per esorcizzare la visione sciagurata che egli ci impone nel presente.
In questo caso la pratica è incitata e legittimata dalla circostanza che Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni esplicita un messaggio, una morale, assai cari ad Allen e che hanno spesso trovato spazio nel suo cinema: l’esistenza umana non è che un affannarsi privo di senso. Meglio: “la vita è una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa niente”. Lo dichiara il narratore del film, citando Shakespeare, nel prologo e poi in chiusura. Ed è a quel punto che, a mo’ di dissolvenza incrociata, Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni evapora dai nostri occhi per lasciar emergere al suo posto il ricordo del lontano (1989) Crimini e misfatti. La vita è dramma o commedia?, sembrava chiedersi quel film quasi a ogni fotogramma, fino ad assumere l’interrogativo dentro la sua stessa forma drammaturgica, in miracoloso bilico tra i due generi. “Il comico è tragedia più tempo”, vi teorizzava uno dei personaggi, tanto per ribadire la specularità delle due forme e la vanità di qualsiasi sforzo finalizzato a distinguerle.
Ecco intanto il ricordo farsi più nitido e netto, sovrapporsi alle immagini sullo schermo. Farsi presente…
Anche in Crimini e misfatti un allegro amaro girotondo attorno a due personaggi, due storie parallele sullo sfondo della borghesia intellettuale (newyorchese). L’oculista Judah, stimato membro della comunità ebraica locale, vede la propria rispettabilità minacciata dal comportamento della sua amante, al punto da assoldare un sicario per toglierla di mezzo. Il documentarista precario Cliff vive accumulando insuccessi, nella vita professionale come in quella affettiva. A fare da collegamento tra i due uomini, il rabbino Ben, paziente dell’uno e cognato dell’altro.
E' un film di parola, Crimes and Misdemeanors, come sempre in Allen, dove il dialogo prevale e guida il racconto. Eppure, se si dovesse associarlo a uno solo dei cinque sensi, questo sarebbe sicuramente la vista. E non solo perché i protagonisti, l’oculista e il cineasta, lavorano entrambi “con” gli occhi degli altri, e per di più Cliff è un cinefilo appassionato che appena può si rifugia al cinema; il punto è che attorno al vedere si gioca l’intera sostanza simbolica del film.
Dopo poche scene il rabbino Ben si sottopone a una visita oculistica. Ha un problema agli occhi, che si rivelerà essere molto serio: progressivamente andrà incontro alla cecità. Di pari passo con l’aggravarsi della sua malattia, procede l’involuzione morale che colpisce i personaggi. Judah su tutti. Dopo aver fatto uccidere l’amante, egli vive inizialmente un senso di colpa fortissimo, acuito da sogni/allucinazioni/visioni di scene provenienti dal suo passato, tutte legate alla fede: la famiglia riunita a tavola per il seder (la cena pasquale) o ripresa nei momenti rituali di preghiera (lo shul, dove i ragazzi imparano la Torah); se stesso, bambino, che conosce la paura per un Dio che vede tutto. Tuttavia, col passare del tempo, il senso di colpa comincia piano piano a sfumare e la sua coscienza si acquieta: il peso del delitto commesso non gli sembra più così insostenibile, dal momento che quotidianamente, attorno a lui, “la gente va in giro coi suoi peccati, si porta appresso azioni spaventose”. I richiami alla Legge che Ben gli rivolge durante le visite oculistiche a cui si sottopone (visite che ricalcano fortemente, per via di alcune peculiari scelte di messa in scena, la sacralità della confessione) gli diventano indifferenti. Ha raggiunto lo stato ultimo di cinismo.
L’allegoria è chiara: se davvero gli occhi di Dio si chiudono, come quelli di Ben, suo rappresentante in Terra, sulle sorti degli uomini, quale può essere il valore delle azioni umane? Chi e come può stabilire la punizione per i crimini e misfatti che vengono commessi sulla Terra? Dostoevskijanamente: se Dio non esiste, tutto è permesso?Il dubbio è dunque la condizione fondamentale in cui si muove Crimini e misfatti, legando acutamente il tormento dell’esistenza di Dio e del senso della vita alla possibilità stessa di una narrazione del mondo da parte dell’Uomo: la vita, senza Dio (o senza una struttura morale, se si preferisce), è irraccontabile? Nell’incontro finale tra i due protagonisti, fino ad allora sconosciuti l’uno all’altro (colpo d’ala di un dio-sceneggiatore che può governare a piacimento, lui sì!, i destini dei propri personaggi), l’ormai cinico Judah dice a Cli
ff che se cerca un lieto fine è bene che “vada a vedere un film di Hollywood”. La vita non è il cinema, dove una storia finisce bene o finisce male: la vita finisce e basta. Né commedia né tragedia, nessuna possibilità di trasfigurazione, non nell’oggi almeno, e nessuna possibilità di catarsi. Il nulla, dunque. Il non-senso. Eppure, mentre Judah, nel salotto di casa, pronuncia queste parole, in una stanza attigua si sta celebrando un matrimonio, quello della figlia di Ben: vediamo padre e figlia danzare felici, festeggiare la nascita di un’unione. Ben, ormai, è del tutto cieco. Forse, allora, l’unica condizione per negare l’indifferenza del mondo è proprio la cecità, una cecità umanissima, del tutto diversa da quella di Dio, e legata all’autonarrazione. La gente – ci dice Allen in chiusura – nonostante tutto ha speranza: per sé, per i propri figli, per il futuro. Noi non vediamo il gelo indifferente dell’universo, e solo per questo motivo scegliamo, ci determiniamo, ci costruiamo – noi, le nostre storie, la nostra Storia. Come se davvero Dio o la Verità non fossero ciechi.
I titoli di coda di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni erano intanto scorsi via da tempo.
[1] Si veda a proposito il pezzo già apparso sulle pagine di questa rivista a firma di Fabrizio Croce: http://www.schermaglie.it/mondovisioni/1201/basta-che-funzioni