Improvvisamente una mattina di maggio Luca Ragazzi e Gustav Hofer,  insieme da nove anni,  ci accolgono nella loro casa al quartiere Pigneto, in Roma,  per un’intervista,  durante la quale quello che ti viene in mente subito è che i due registi sono proprio come te l’eri immaginati ammirandoli nel loro documentario Improvvisamente l’inverno scorso, di cui sono autori, registi, produttori e, ovviamente, interpreti. Il documentario è stato presentato allo scorso Festival di Berlino dove ha ricevuto la menzione speciale, raccogliendo in seguito diversi premi in giro per il mondo. Nonostante ciò il film non è stato distribuito nelle sale ad eccezione del Politecnico Fandango di Roma nello scorso maggio. I  due giovani registi non si sono scoraggiati e hanno iniziato un tour in giro per l’Italia (e per il mondo) in cui hanno avuto modo di far conoscere la loro opera diventata ormai un piccolo caso cinematografico.

Schermaglie è orgogliosa di dare spazio e voce a Luca e Gustav e alla loro preziosa difesa dei diritti civili e della libertà.

Chi erano e che vita conducevano Luca e Gustav prima di realizzare Improvvisamente l’inverno scorso?

L: Stavamo molto bene ed eravamo molto tranquilli, un po’ all’oscuro di quello che stava succedendo là fuori. Quando abbiamo deciso, come san Tommaso, di toccare con mano e di capire, è stato un duro colpo perchè ci siamo dovuti rendere conto che il nostro Paese, il Paese in cui viviamo, è diverso da quello che avevamo pensato e c’eravamo illusi che fosse. E i fatti ci hanno dato ragione tant’è vero che oggi dopo le elezioni, anche dopo quelle a Roma per il sindaco, si è capito che l’Italia sta prendendo una direzione conservatrice e intollerante. Siamo stati abbastanza ingenui nel credere che invece stesse avvenendo il contrario.

G: Secondo me la vicenda del disegno di legge sui DiCo è stata un po’ emblematica di quale direzione poteva prendere l’Italia, rappresenta una metafora di due Italie diverse; alla fine purtroppo abbiamo deciso di prendere quella svolta a destra vicina ai paesi islamici più che ai paesi nordici.

L: Si dice che siamo in un paese laico, ma è evidente che non è così.

Che cosa è successo l’inverno scorso? Che cosa vi ha spinto a questo documentario?

G: Improvvisamente l’inverno scorso è successo che il governo Prodi ha presentato la legge sui Dico e dopo neanche una settimana il governo è caduto a causa del rifinanziamento della missione in Afghanistan. A tale proposito il senatore Andreotti ha tranquillamente ammesso che non avrebbe potuto votare la fiducia ad un governo che aveva appena provato a fare una legge per le coppie di fatto. E così siamo entrati nella prima crisi di governo. Io ero a casa dei miei genitori in Alto Adige quando mi è arrivata la notizia e in quel momento ho detto: “Non posso non reagire”, come cittadino, ma anche giornalista. E così, diciamo, ho deciso io di fare questo film pensando che il modo migliore era quello di farlo attraverso la nostra storia. Il problema era convincere Luca, una fatica fino all’agosto di un anno fa, ovvero fino a quando abbiamo iniziato a montarlo perché Luca fino a quel momento non ha mai veramente creduto nel film.

L:  Beh è molto divertente perché adesso ci invitano ai festival e così facciamo un sacco di bei viaggi. In realtà questo era il mio fine ultimo: viaggiare, stare lontano dall’Italia (sorride).

In realtà il vostro non è un documentario classico, nel senso che la vicenda politica si intreccia al vostro essere coppia; anche la cifra stilistica, l’ironia che utilizzate, non è riconducibile ad una semplice rappresentazione degli eventi. Come mai questa scelta?

L: Prima di tutto abbiamo scelto il documentario perché pensiamo che oggi sia l’unica tipologia di cinema in grado di raccontare l’Italia. Ormai non viene più raccontata né dai telegiornali né dalla fiction. Abbiamo scelto inoltre di raccontare quanto è successo attraverso la nostra perché abbiamo pensato che sarebbe stato onesto essere noi in prima persona a metterci in gioco. Il successo che il documentario sta avendo nel nostro Paese, ma anche un po’ in tutto il mondo, è dovuto proprio al fatto che racconta delle storie vere, e perché le storie siano vere c’è bisogno che abbiano dei protagonisti veri, in cui il pubblico possa identificarsi. Volevamo, per la prima volta, che una coppia, gay, fosse rappresentata lontana dallo stereotipo abituale, quello che si vede ad esempio nelle fiction, in cui alla fine della puntata qualcuno si suicida. In realtà non ci siamo resi conto del fatto di fare una cosa così forte, così originale, perché a noi sembrava assolutamente naturale raccontare noi stessi. Poi vedendolo sul grande schermo ci siamo sentiti dire da tutti  “Siete stati molto coraggiosi” perché in effetti sembra strano che uno dia la propria faccia, nome, corpo, casa in un prodotto cinematografico. Quindi, sì, in un certo senso siamo stati coraggiosi, ma inconsapevolmente.

G: E’ stato poi fondamentale il lavoro con Desideria Rayner, la nostra montatrice, è stato veramente un lavoro a sei mani, per sei settimane abbiamo trascorso ogni giorno insieme e stranamente non abbiamo mai litigato, mentre di solito con un montatore arriva il punto critico dove non ne puoi più. Invece lì era quasi come un gioco, ci siamo divertiti e credo che anche questo si veda nel film.

In un’intervista voi avete dichiarato che molte persone omosessuali vi hanno ringraziato per aver dato un’immagine dei gay lontana da quella di Platinette o di altri personaggi. A questo punto vi sentite investiti da una certa responsabilità, come se incarnaste un modello per tutti gli altri omosessuali?

L: Mi fa ridere che qualcuno citi le nostre interviste, sembra davvero una cosa seria. G: Per me è stato molto emozionante quando ad esempio la gente ci ha detto “avete dato voce a quello che pensavo”. E’ bello pensare di essere riusciti, attraverso la nostra storia, a parlare per tanti.

L: In realtà non ci sentiamo investiti di nessun ruolo, semplicemente ci piacerebbe pensare che abbiamo aperto una via e che adesso sia più facile per tutti poter uscire allo scoperto, superando anche quella bolla protetta, quel microcosmo in cui tutti ci rifugiamo, come facevamo del resto anche noi fino a poco tempo fa. Quando parliamo di uscire allo scoperto intendiamo avere il coraggio di affermare a voce alta le proprie idee, e questo, al di là del proprio orientamento sessuale, è proprio un gesto politico, significa cioè incazzarsi, chiedere dei diritti, scendere in piazza. Noi l’abbiamo fatto attraverso un film, ma ci sono tanti modi diversi e pensiamo che ciò sia fondamentale in questo periodo storico per l’Italia, perché sta vivendo un momento molto buio e perché è giusto che i politici capiscano che l’e
lettorato è vigile, che ha delle richieste, delle aspettative. Nel nostro Paese per esempio è molto diffuso un atteggiamento fatalista per cui si dice che il governo è ladro, però poi non succede mai nulla di violento, di catartico, di rivoluzionario. Invece, noi auspichiamo proprio che succeda questo.

G: E soprattutto c’è bisogno che tutti i movimenti gay o anche tutte le forze che si impegnano per le unioni di fatto trovino una voce unica, cioè si battano insieme per la stessa cosa senza quei protagonismi che purtroppo sono frequenti in questi movimenti; i movimenti gay italiani hanno lo stesso problema della sinistra italiana, non riescono a unirsi, a pensare all’obiettivo da raggiungere, è sempre più importante essere protagonista, avere il voto, e in questo modo si sprecano un sacco di forze.

E’ molto interessante quando parlate di “varcare la soglia delle relazioni del proprio giardino”, Luca ha detto “capiamo scendendo in piazza quante persone la pensano diversamente da noi”. Com’è fare questo salto e quanto è importante? E soprattutto: va anche al di là delle tematiche omosessuali riuscendo a toccare anche altri ambiti?

L: Sì in realtà io penso che ognuno di noi, al di là dell’orientamento sessuale, ami circondarsi delle persone che la pensano come lui, creando dei microcosmi in cui muoversi con agio, sapendo che comunque nulla di male potrà succedere. Credo tuttavia che sia doveroso ogni tanto mettere il naso fuori anche solo per prendere atto del fatto che esiste qualcuno diverso da noi e ricordarsene, perché altrimenti il rischio è quello di credere che tutti la pensino come noi e quando poi ti scontri con questa diversità subisci un vero e proprio shock culturale. Se non avessimo fatto questo documentario non saremmo arrivati preparati alle elezioni e il risultato elettorale ci avrebbe sconvolto maggiormente. Quindi ogni tanto uscire dal proprio guscio, anche per poi ritornarci successivamente, è fondamentale.

Voi avete partecipato all’ultimo festival di Berlino, avete ricevuto una menzione speciale e successivamente avete ricevuto altri premi e nonostante ciò, se si eccettuano alcune sporadiche apparizioni sul satellite, le televisioni generaliste non vi hanno dato ampio spazio, pensiamo anche per esempio all’unico programma che si occupa di cinema in Rai, insomma c’è stato poco risalto…

L: Non pensavamo di andare da Marzullo francamente, non era il nostro obiettivo. In realtà questo è un film assolutamente scomodo.

G: A dire la verità è stato realizzato un servizio da Berlino sul nostro film, ma la messa in onda è saltata tre volte perché lo spazio previsto è stato concesso alle dichiarazioni di qualche vescovo. Poi quando abbiamo ricevuto la menzione speciale, anche la Rai ha dovuto parlarne al tg.

L:… beh molto sbrigativamente. Come accennavo prima, il nostro film non fa comodo a nessuno, è un film che sputtana un po’ tutti. Noi abbiamo cercato, in quanto giornalisti, di non essere faziosi, di essere oggettivi e di raccontare le magagne laddove risiedono, per cui ne escono malino sia destra che sinistra. In un periodo di campagna elettorale ovviamente non era comodo. Ora, visto anche il risultato elettorale, diventa ancora più scomodo e quindi non ci meraviglia questo atteggiamento, che è spia di un atteggiamento perbenista, pavido, che denota mancanza di coraggio. Il che è un po’ la cifra del nostro Paese, quindi non ci aspettiamo che Rai o Mediaset facciano a gara per comperare i diritti del nostro film. Però abbiamo avuto ottimi riscontri, a livello locale, da una serie di realtà e di associazioni in tutta Italia. Abbiamo proiettato il nostro film in tantissime città italiane, cerchiamo di farlo vedere in tutti quei posti che non avrebbero avuto possibilità altrimenti di vederlo. Il tour è già andato all’estero, abbiamo vinto in Spagna, a Toronto, andremo a New York, Tel Aviv, Giacarta, Bali etc.  Ci piace raccontare questa storia, ci piace accompagnarla e soprattutto avere un confronto con il pubblico, ascoltare le sue domande; il nostro è un po’ un atteggiamento protezionista, ci sentiamo come una madre che accompagna un figlio a scuola il primo giorno o che vuole vederlo muovere i primi passi. Quindi quello che è successo al nostro film fino ad ora ha veramente qualcosa di straordinario in sé. Non abbiamo rimpianti, non è che avessimo grandi velleità in questo senso.

G: Questo perché è davvero un film che abbiamo fatto con una grande esiguità di mezzi. A Toronto al Hot Docs Festival, che è un festival del documentario, dove erano presenti diversi produttori, ci è stato chiesto qual era il budget del nostro film, e quando noi gli abbiamo detto che era un doc low budget, loro hanno ipotizzato che il budget si aggirasse intorno agli 80/100.000 $. Sono rimasti di sasso quando gli abbiamo rivelato la cifra reale, intorno ai 5000 €!

L: Beh in effetti abbiamo cercato di realizzare il film con un certo gusto, memori di tutti quei filmini low-cost che abbiamo visto in vita nostra e che erano davvero sciatti. Spesso alla povertà di mezzi corrisponde una totale assenza di cura per il dettaglio; non volevamo incorrere in questo errore, anche perché, in quanto critico cinematografico, sono molto severo e non mi sarei mai permesso di fare una cosa di scarso valore. Abbiamo dimostrato che volendo si può realizzare un buon prodotto anche con pochi mezzi, ed è per questo che quello che è venuto fuori è un’opera che dimostra più dei suoi 5000 €.

Pensate che la mancanza di attenzione da parte della distribuzione sia da addebitare alla materia del film o esiste più in generale un problema legato alla distribuzione in Italia?

L: Beh sicuramente la distribuzione in Italia guarda al profitto e questo film sulla carta non ha grandi numeri nel senso che non si può dare scontato che sarà un successo al botteghino. Generalmente i documentari, ad eccezione di quelli di Michael Moore, non hanno mai fatto grandi incassi, per cui ci siamo sentiti dire molte volte “è molto carino però non c’è un potenziale commerciale”, anche se poi di fatto abbiamo riempito le sale. Infatti, ovunque lo abbiamo portato si è sempre verificato il tutto esaurito. In realtà neanche noi siamo in grado di poter dire se, uscendo nelle sale, il nostro film avrebbe avuto un esito positivo, non lo possiamo immaginare.

G: Sicuramente anche il tema non aiuta. Prima delle elezioni ci siamo sentiti dire da diversi distributori “no in questo momento no, aspettiamo come vanno le elezioni”, poi dopo le elezioni ovviamente sono spariti.

Per uno scherzo del destino il vostro film inizia con la sconfitta di Berlusconi e adesso Berlusconi è tornato a Palazzo Chigi e il nuovo sindaco di Roma si chiama Gianni Alemanno. Dopo il fallimento della sinistra in materia di diritti civili, quali prospettive auspicate?

L: Non abbiamo nessuna aspettativa, siamo disillusi e sappiamo che il tema delle unioni di fatto purtroppo è uscito dal Parlamento.

G: Questo dovrebbe tuttavia aiutare la sinistra, anche quella che
oggi si chiama Partito Democratico, a capire perché ha perso. Il PD ha bisogno di prendere posizione. Credo che proprio un tema come le unioni di fatto serva al partito di Veltroni per fornirgli una identità di cui al momento è privo. Non essersi mai veramente espresso in modo forte sulle unioni di fatto fa parte di questa mancanza di identità. E’ stata un’occasione mancata e ora è il momento di decidersi, perché anche se al governo c’è una nuova maggioranza, ogni senatore ha la possibilità di proporre delle leggi. Per fortuna ci sono delle persone in gamba come Paola Concia, Barbara Pollastrini, alcuni radicali che sono rimasti in Parlamento e inoltre c’è anche la possibilità di iniziative popolari per arrivare ad una legge sulle coppie di fatto ed è fondamentale avere consapevolezza che bisogna reclamare i diritti . Adesso che Berlusconi è al governo, sicuramente sarà molto più impegnativo, ma se troviamo un’unità riusciremo a portare avanti qualcosa.

Che ricordo vi portate dei politici che avete incontrato al Senato?

G: Tutti da votare e da rivoltare (scherza)

L: Brutta gente…brutta gente (scherza) Purtroppo la politica italiana è tutta da rifare.

G: Purtroppo esiste un vero e proprio gap generazionale il che non aiuta ad arrivare alla formulazione di una legge per le coppie di fatto.

L: Beh secondo me non è solo una questione anagrafica. E’ proprio il meccanismo della politica ad essere sbagliato; il politico italiano è una persona che vive lontana dalla realtà, privilegiatissima, viziata. La politica dovrebbe tornare a raccontare il Paese e a rispondere alle sue necessità, i politici dovrebbero recuperare un po’ più di senso dello Stato.

G: E non curare gli interessi delle lobbies.

L: Io sono molto pessimista, vorrei davvero che succedesse qualcosa di catartico per cui un bel giorno Montecitorio fosse rasa al suolo e si ricominciasse daccapo perché allo stato attuale si è arrivati ad un punto di non ritorno. Anche se i politici parlano di tagliarsi il 30% dello stipendio, non basta, dovrebbero togliersi il 70%. Negli altri Paesi fare il politico è un bel mestiere come può essere fare il dentista o l’avvocato, e soprattutto è un mestiere che tu svolgi per metterti al servizio del cittadino. Da noi , invece, tutti sognano di entrare nella stanza dei bottoni perché sanno che dopo avranno una vita semplificata: basta, infatti, che facciano trentasei mesi di legislatura per avere già maturato una pensione e noi invece dobbiamo aspettare trentacinque anni.

G: Vabbè adesso non fare del populismo

L: No questo non è populismo, ma ti aiuta a capire: loro 35 mesi, noi 35 anni, se questo ti sembra giusto...

A Berlino pensavano che fossero attori pagati no?

L: Si! Attori caratteristi!

A proposito di elezioni, voi avete definito questo tour un tour pre-elettorale. Pensate che non abbia centrato il suo obiettivo o ha comunque un valore?

G: Beh, ovviamente non abbiamo spostato voti, però siamo riusciti almeno per una serata,da Bolzano a Palermo, a discutere apertamente in pubblico di un problema: quello delle unioni di fatto, che è stato cancellato dalla campagna elettorale. Inoltre i giornali locali hanno dato risalto alle proiezioni, per noi il senso era non dimenticare questo problema.

L: Perché il rischio adesso è che questo tema, uscito dal Parlamento, cada nel dimenticatoio e non se ne parli più. E’ vero il Family Day dell’anno scorso ha avuto un grande successo, c’erano tantissime persone – noi le abbiamo visti coi nostri occhi e non ce li dimenticheremo facilmente – però ricordiamo che il Gay Pride nella stessa piazza San Giovanni a Roma ha avuto un esito ancora più grande, tant’è vero che la stessa questura ha riconosciuto che eravamo di più. Tuttavia, è scontato che se i media non sono dalla nostra parte e non lo sottolineano, tutto resta virtuale. Lo sappiamo solo noi che c’eravamo. Quello che voglio dire è che i politici adesso possono affermare che sono gli italiani a non volere questa legge strumentalizzando l’alta affluenza del Family Day a sostegno di quanto dicono. Questa è una menzogna. Gli italiani sono stati semplicemente spaventati, gli è stato fatto credere che anche da noi ci sarebbe stata l’adozione per i gay come nella Spagna di Zapatero, e nessuno gli ha veramente spiegato cosa fossero i DiCo, che tra l’altro erano veramente poca cosa. C’è stato un grande equivoco e noi ci sentiamo molto frustrati sia come cittadini che come giornalisti, perché abbiamo visto coi nostri occhi compiersi questo enorme mistificazione.

G: E non dimentichiamoci che la legge per le unioni di fatto non tutela soltanto le coppie omosessuali, ma anche quelle eterosessuali; in totale secondo l’Istat sono più di cinquecentomila. Per cui oggi a differenza di tutti gli altri Paesi europei, il Parlamento italiano non risponde alle reali necessità del Paese.

Il quadro che viene fuori del popolo italiano dal vostro documentario è un ritratto a tratti desolante. Pensate che ciò sia dovuto agli ambienti belli caldi dove vi siete andati a cacciare o secondo voi gli italiani la pensano davvero così?

L: Noi non abbiamo voluto raccontare l’Italia nella sua interezza, non abbiamo l’ambizione di aver raccontato il nostro Paese, sarebbe stato impossibile, l’abbiamo fatto qui a Roma, in cucina, per cui figuriamoci… abbiamo usato la sineddoche. Abbiamo raccontato un’Italia, che pure c’è, perché l’abbiamo vista con i nostri occhi, e che rappresenta evidentemente l’Italia più intollerante, ben consci che fortunatamente non sono tutti così. Siamo andati un po’ nella tana del lupo, ad intervistare i fascisti, gli esponenti di Comunione e Liberazione, gli integralisti cattolici, per cui ci aspettavamo certe risposte, ma non con tale violenza e fermezza. Soprattutto non ci aspettavamo la totale incapacità di molte persone che abbiamo intervistato di argomentare le proprie opinioni. Questo perché le loro non erano opinioni, ma slogan ripetuti meccanicamente. In conclusione quell’Italia che noi abbiamo raccontato è un’Italia che c’è e che evidentemente è andata a votare, e quindi è giusto che si sappia e si prenda atto che esiste. Tuttavia, ripeto, non abbiamo mai preteso di raccontare l’Italia. Mi piace pensare che esista un’altra Italia da un’altra parte, e che magari non è andata a votare perché è veramente disillusa, incazzata, stufa.

Gustav come hai fatto a rimanere così impassibile in certe situazioni? per carattere, per professionalità, per prudenza…

G:  Principalmente per serietà professionale, il ruolo del giornalista è quello di ascoltare l’altro e non di attaccarlo. Mi è successo solo una volta di aver perso la pazienza al Family Day: dopo mesi e mesi che ci sentivamo ripetere le stesse cose, quel giorno non ne potevo pi
ù.

L: Ma l’abbiamo tagliato, lo metteremo negli extra del dvd. E’ una scena molto divertente in cui Gustav proprio si incazza. Dice “Basta! Mi sono rotto!” e l’altro fa “Io sono incazzato” e lui “Io sono ancora più incazzato” e quell’altro “Io ancora di più!”

Beh sarebbe stato carino vedere la scena… Luca tra l’altro tuo padre, quarant’anni fa, ha girato un film, profetico a questo punto, dal titolo Il primo premio si chiama Irene, in cui uno degli episodi è incentrato su una coppia gay e sulle prime discussioni politiche sul matrimonio tra persone omosessuali. Dopo quarant’anni in Italia si discute ancora di legittimità della coppia gay, il che è sintomatico del clima che esiste qui.

Tornando al tour che avete fatto, e che continuate a fare, avete notato delle differenze tra il Nord e il Sud, tra città diverse, com’è stata l’accoglienza?

L: In generale l’accoglienza è stata ovunque molto calda, anche perché credo che le persone che hanno deciso di partecipare alla proiezione erano ben disposte verso certe tematiche.

G: Però non sempre.

L: E’ vero non sempre, ma nella maggior parte dei casi si. Vi racconto un aneddoto divertente: quando siamo andati a Lecco, che è la città sia di Formigoni, di Comunione e Liberazione, sia di Castelli, che io personalmente non amo, in sala c’era molto imbarazzo, poche risate. Noi eravamo davvero molto preoccupati perché solitamente sappiamo che in certi passaggi cruciali del film il pubblico automaticamente ride e, invece, lì non succedeva. Però alla fine hanno applaudito, ci hanno fatto molte domande, per cui sappiamo che il film è piaciuto; il loro era semplicemente un atteggiamento, evidentemente erano un po’ a disagio. Nel complesso abbiamo trovato al Sud molta più apertura mentale di quello che si può pensare comunemente.  E’ molto diffuso il luogo comune che equipara il Sud, povero e ignorante, ad una realtà chiusa e intollerante, invece non è così. Sono cose che viaggiano su binari diversi. D’altra parte la ricchezza del Nord ha prodotto fenomeni come la Lega, come Comunione e Liberazione, per cui non sempre la ricchezza facilita le cose, al contrario spesso fa sì che le persone diventino più cattive, meno generose. Al Sud, invece, abbiamo trovato una bellissima atmosfera, molto generosa e aperta.

G: L’Italia non ha capito quanto ha capito la Spagna, ossia che la crescita economica dovrebbe andare di pari passo con la crescita sociale e l’allargamento dei diritti.

Avete la speranza con questo documentario di far cambiare idea, magari a qualcuno che avete intervistato?

L: Anche far cambiare idea solo a tre persone sarebbe già un successo.

G: Durante il tour ci è successo che delle persone si siano avvicinate a noi ringraziandoci perché grazie al film si sono rese conto di quanto siano state strumentalizzate dalla Chiesa.

Voi avete sempre dichiarato che non volete essere etichettati come registi gay

L: Beh sì sarebbe un po’ triste.

Quindi che cosa succederà ora, avete altri progetti, state già pensando ad un eventuale seguito?

G: Io ci sto pensando, ma Luca ovviamente frena per cui il mio lavoro dei prossimi mesi consisterà nel convincerlo a proseguire su questa strada.

E Luca?

L: Io non ho nessuna velleità in questo senso perché non voglio fare il documentarista da grande, ho già un mestiere quindi non vedo perché cambiarlo. Credo inoltre che questo film sia nato da un’urgenza e rappresenta davvero una sorta di piccolo miracolo, se pensi a Berlino, al fatto che abbiamo vinto dei premi, alla solidarietà e al sostegno anche gratuito sia degli amici che delle persone che non conoscevamo, se pensi ancora al ministro Pollastrini che ci ha scritto una lettera che ha dato all’ANSA. Tutto ciò sarebbe irripetibile e rifarlo mi sembrerebbe un passo indietro.

G: Vabbè ma si può fare un’altra cosa…

L: Vedremo.. Lui ha un sacco di idee, ogni mattina si sveglia e me ne confida due o tre, è una fucina. Dovrebbe fare il copywriter…

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