[***]- Dopo tre cortometraggi, il primo dei quali a soli diciannove anni, con Il viaggio di Jeanne (Les grandes personnes) Anna Novion approda al lungometraggio insieme ad un buon cast nel quale spicca, quale fiore all’occhiello, Jean-Pierre Darroussin. Un film semplice, come la storia che racconta, ma denso quanto solo il cinema francese può regalare, coniugando pulizia formale, attanti narrativi e qualità.
Albert (Jean-Pierre Darroussin) ogni estate in occasione del compleanno di sua figlia Jeanne (Anaïs Demoustier), organizza un viaggio in un paese europeo. Per i diciassette anni di Jeanne la destinazione è una piccola isola svedese, dove Albert è convinto di trovare il tesoro perduto di un vichingo leggendario. A scombinare i piani di Albert è la casa presa in affitto per il loro soggiorno, già occupata da due donne: Annika, la proprietaria e una sua amica francese, Christine. Le vacanze prendono a quel punto un’altra piega e per Jeanne è l’occasione di vivere nuove esperienze.
Il film è lento come la quotidianità di un padre e una figlia in vacanza, quando i primi conflitti generazionali fanno scricchiolare l’incanto dell’infanzia, simile a una favola perfetta, al mondo del possibile, dove anche il ritrovamento di un improbabile tesoro, può apparire reale. Albert è forse più infantile della figlia o solo più spaventato, come accade più di quel che non si dice, ai cosiddetti “adulti”, dai quali invece i figli si aspettano una capacità illimitata di responsabilità, coraggio e pragmatismo, per scoprirli poi “umani troppo umani”. Allo stesso tempo per un padre la scoperta della “donna” nella propria figlia è sempre un trauma, un risveglio per il quale non è mai l’ora giusta.
Niente di originale, ma delicato e femminile è l’impianto narrativo, i silenzi e gli sguardi carichi di quelle parole “familiari” eppure tanto difficili da dire. Nonostante la semplicità infatti, la Novion riesce a rendere la complessità del rapporto padre/figlia, ma anche il sapore indefinito dell’adolescenza e la paura di amare che, invece, simile a una brezza attraversa ogni epoca della vita. Albert vorrebbe ancora essere un bambino, oltre le frustrazioni lavorative e i fallimenti sentimentali, mentre Jeanne si affaccia alla vita con la sicumera della giovinezza e allo stesso tempo il terrore di abbandonare la culla protettiva dell’infanzia; sullo sfondo Annika e Christine rappresentano possibili percorsi di vita, fra successi e delusioni, frivolezze e malinconie, nella cornice immobile dei paesaggi svedesi – dove il mare fatica ad essere azzurro e il cielo è troppo chiaro per definire contorni. L’insieme crea una dimensione narrativa fatta di palcoscenici immaginari che evidenziano, scena dopo scena, il tragicomico spettacolo del vivere e una godibile commedia sentimentale sulle problematiche che caratterizzano le varie età della vita umana.