Come raccontare omertà, maschilismo, mafia, religiosità rituale, cultura tribale, rassegnazione di una donna e forza insieme? Ci pensa Fabio Mollo, autore reggino e creatore di Il sud è niente.
E lo fa adottando un registro simbolico che a ben guardare è simile a quello utilizzato da Emma Dante, palermitana di nascita, nel suo Via Castellana Bandiera. È una maniera, la loro, di mostrare tematiche sociali attraverso le persone, dove il legame tra gli individui e i fatti stessi sono indissolubili, penetrando nel carattere stesso dei personaggi. Lo sfondo è infinitamente vivo, seppur tinteggiato di morte – la fine drammatica di Pietro, fratello amatissimo, e l’assenza della madre – e puntella i passi di una vita vissuta dolorosamente, attimo per attimo, nello squallido quartiere situato ai margini sociali, dove la giovinezza sembra solamente un peso da dover scontare, come una colpa. Nella fatiscenza degli edifici emerge lo stato di abbandono del luogo che, simmetricamente, rispecchia la solitudine della gente, sola a combattere la consueta e putrescente piaga mafiosa.
È in questo contesto che cresce e vive Grazia, ragazza rabbiosa e androgina, è lei che occupa con il suo corpo veemente e diverso la scena. Ma dietro di lei si affacciano altre due figure importanti: la nonna, forte e protettiva, e il padre, Cristiano, sfibrato e sospeso nel suo dolore. L’ostinazione di Cristiano nel nascondere la causa della morte di Pietro, la negazione della verità che lo porta a dire a tutti che Pietro è emigrato in Germania, crea di fatto una problematica ben più profonda in Grazia, che tenta di trovare una via di salvezza nel “ventre materno” della barca assicurata sulla spiaggia, una scialuppa blu di nome “Pietro” dove la ragazza si accovaccia in posizione fetale. Così il regista la inquadra dall’alto, come per cogliere l’attimo dell’attesa di rinascere alla vita. Grazia veste i panni del fratello, nella sua asessualità vorrebbe riprodurre il figlio, fratello e nipote tanto amato. L’ombra di Pietro torna spesso da ognuno della famiglia: la nonna che confessa di vederlo ogni giorno nella quotidianità, il padre che ne coglie i segni nelle cose e nella casa, Grazia che lo incontra nel breve attimo in cui si tuffa in fondo al mare. Solamente lì, come nel liquido amniotico di una perenne, desiderata rinascita, Pietro si fa vedere, la guarda, la accarezza, le vorrebbe parlare. Così che l’irremovibile reticenza sulla realtà opposta a questa spasmodica ricerca, diviene, per Grazia, sempre più un’insostenibile impotenza.
Ma la vita va avanti e l’istinto di sopravvivenza di Grazia, che tanto amore richiede, la induce ad inviare, nell’inconscio ed impossibile pretesto di ritrovare Pietro, frantumati messaggi di aiuto ad un ragazzo nei quali occhi lei scorgerà qualcosa di perduto. Scambiandolo per Pietro, lui diverrà un consapevole punto di approdo e rinascita dallo sconforto. Grazia continuerà comunque a gridare la sua rabbia, anche contro il ragazzo, perché lui non è Pietro ed è quest’ultimo che lei rivorrebbe indietro, quel fratello che non la chiamava mai per nome, ma con un fischio familiare e intimo. Il reciproco cercarsi dei due giovani sarà comunque un salvataggio in cui alla collera – che lei esprime a scuola, durante l’esame di diploma, sempre e comunque verso tutti – sostituire un confronto embrionale di anime.
Come un fiume in piena rompe gli argini, un giorno Grazia tornerà quindi nella casa che troverà a soqquadro; ogni cosa sarà fuori posto. E’ stato Pietro a lasciare i segni, nell’immortalità tanto agognata da tutti? – come fosse un pretesto creato dalla convergenza delle menti umane che lo desiderano. Ma la camicia forata da un proiettile e macchiata di sangue è il segno inconfondibile della morte di Pietro, rimasto ucciso. Lo scenario mafioso si intuisce. Anche Cristiano, apparso all’improvviso nella casa, così come Grazia, si rende conto della realtà che non può più nascondere e che è costretto a confessare. Il pianto di Grazia è liberatorio e di rimprovero verso il padre, che proteggendola dalla sincerità ha finito, invece, per arrecarle così tanta sofferenza.
La miglior menzogna è peggiore della più brutta verità, Cristiano e Grazia tornano quindi a vivere.
Il finale ci lascia in una splendida ambiguità dove Pietro, Cristiano ed il giovane compagno, con il quale Grazia finalmente conosce l’amore fisico all’interno della barca, si confondono in un fischio di richiamo molto familiare. È Pietro che torna? Cristiano che ha ritrovato la serenità? Oppure è il ragazzo che la richiama alla stessa maniera del fratello? Il regista non ce lo fa sapere, mostrando solamente le lontane sembianze di un uomo che cammina sulla spiaggia. Tuttavia le tre figure coincidono nei bordi di un contesto futuro che si apre alla possibilità della vita e in cui la barca ormeggiata, spinta dalla ragazza e da una mano maschile non ben definita, è pronta a ripartire.
Simbolico, quindi, ritrovare Pietro nel mare. E simbolico, seppure allo stesso tempo molto fisico, è anche l’amore dei due ragazzi, dove il classico modello dell’amplesso viene sostituito da una relazione tra persone ipoteticamente di qualsiasi sesso, in una relazione che potrebbe essere omosessuale od eterosessuale. Simbolica, pure, è la figura della nonna, ordinaria donna irremovibile, e anche in nome di Dio. Simbolico infine è anche Cristiano, vigliacco perché non sa essere diverso, ma che, quando con uno sforzo enorme riesce ad uscire dal mutismo e dall’omertà, finisce per scoprire quanto, in realtà, desideri l’autenticità.
E se il sud è niente, come la nonna sostiene, perché niente cambia, è l’essere umano che è molto e molto può, e tanto sa cambiare.
Sei grande, grande, grande.
Continua così e supererai la tua insegnante!
Un dolce saluto.