Due produzioni italiane indipendenti, due film comparsi un po’ a sorpresa nelle programmazioni di due sale romane (Olimpia e Aquila) nell’ultimo mese. Due esordi e due titoli sottilmente simili: Solitudo, di Pino Borselli, prima, e ora Il solitario di Francesco Campanini (in sala fino al 21 maggio). Strane e piacevoli coincidenze che appena elencate già esauriscono i tratti comuni alle due opere: la diversità radicale dei progetti fa onore ai rispettivi registi. Se Solitudo si faceva portatore di una studiata estetica dell'immagine più che di una storia, Il solitario, pura narrazione, è ciò che si definisce un film di genere: malavita, rapine, armi, banconote che scottano, donne eternamente vestite di nero. In una parola, un noir (evento speciale al Courmayeur Noir In Festival 2008) ispirato più alle pellicole francesi degli anni Settanta, quelle di Jean-Pierre Melville con Alain Delon (Frank Costello faccia d’angelo, per intenderci), che a Banditi a Milano di Lizzani (con un Gian Maria Volontè brianzolo..…): pochi dialoghi, molta azione, niente sbirri, niente sottotrame politiche. Il nome di questo nuovo duro interpretato dall’esile Luca Magri (anche sceneggiatore), un hard-boiled triste orfano solo e isolato, è Leo Piazza, personaggio già apparso nel low-budget movie del 2003 Nel cuore della notte. Campanini, trentenne emiliano, ne ha acquisito i diritti e ne ha prodotto il suo personalissimo sviluppo lontano dal Ministero di Bondi e dalla Cinecittà dell’intellighenzia romana, procacciandosi autonomamente e privatamente tutti i finanziamenti. Ditte di costruzioni, negozi d'abbigliamento e quant'altro può saltar fuori dall’Unione degli Industriali di una opulenta provincia del nord: stiamo parlando di sponsor, non di product placement. Una raccolta di circa 200.000 euro di indipendenza creativa suddivisi in 140 di prodotto visivo e 50 tra promozione e autodistribuzione. Cast tecnico e artistico hanno lavorato in quote, senza gettoni di presenza. Molti professionisti tra loro, non tutti; qualche attore amatoriale di teatro al fianco di Francesco Barilli (Prima della rivoluzione), parmense per il quale Campanini ha lavorato come aiuto in alcuni documentari, e di Massimo Vanni, il Gargiulo della popolare e stracult serie del Monnezza di Tomas Milian, ma anche attore di Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, il film portato in croisette da Tarantino con il suo remake Inglorius bastards.
Il mix di professionisti, dilettanti, amatori e vecchi stunt-man di Cinecittà (c’è una posa per Jonathan, lo storico gestore del Jonathan’s angels) funziona. Siamo negli anni Novanta, le rapine in lire fanno sognare il doppio di quelle in euro. La Grande Punto non era ancora uscita, lo spirito vintage del genere non è solo evocato, ma portato in scena: c’è la citazione di Zombi (1978), ma c’è soprattutto una scena girata nel sotto negozio de L’osteria de l’anima, dietro piazza Navona, dove è stato sommariamente ricostruito un night dell’epoca. L’architettura del racconto, sostenuta dalle belle musiche di Padovani e da un montaggio veloce, è molto semplice: una prima parte “infrastrutturale” dedicata alla rapina e alla fuga randagia (girata tra Parma, Bologna e Prato) dove autostrade e luci al neon targate Fuori Orario – Taiwan – Hou Hsiao Hsien la fanno da padrona. Una seconda, più lenta, romana (ancora una pellicola girata in zona Pigneto), dedicata alla segregazione forzata della latitanza, ai fantasmi affettivi, prima di un finale concitato imprevedibile e violento (ricorda vagamente il finale de Le iene) che lascia allo spettatore la facoltà di sperare in un sequel.
Il solitario è un film godibile che accantona e non richiama mai, per tutta la sua durata, l’esistenza della TV e delle sue fiction avvelenate; è un tentativo serio e non velleitario di imitare il cinema dei grandi, senza riverenze e senza ostentazioni spaccone. Quasi pronto per la leggenda. La mancanza di distribuzione farà il resto….