Il Sentiero, seconda prova della bosniaca Jasmila Zbanic, arriva nelle (poche) sale a distanza di due anni dalla sua produzione grazie alla Fandango, e a sei dal debutto con Grbavica, premiato nel 2006 a Berlino con l’Orso d’oro. La traduzione italiana cambia il titolo originale Na putu, che in bosniaco significa in cammino, qui inteso come cammino interiore, ricerca dentro se stessi. E il senso del film è tutto in questa espressione. Perché racconta la divaricazione di una coppia apparentemente felice. La separazione di due destini e di due coscienze che progressivamente perdono gli elementi di comunione. Il film lascia in superficie la storia d’amore tra Luna e Amal, ma attraverso i protagonisti ci parla anche d’altro. Il legame con un passato traumatico, e la conseguente impossibilità di superarlo. Amal è un ex soldato, ha perso il fratello in battaglia e, come altri reduci della guerra in Bosnia-Erzegovina vive un vuoto emotivo che cerca di colmare con l’alcool. Dopo aver perso il lavoro incontra un suo ex compagno di scuola, divenuto un Salafita ortodosso. Questo incontro sarà decisivo per la trasformazione di Amar. Di qui in avanti la vita della coppia ne sarà irrimediabilmente condizionata.
In Bosnia-Erzegovina la maggior parte della popolazione è musulmana. La religione islamica ha sempre avuto una forte influenza nell’area. Ma Sarajevo era anche città di convivenza delle tre religioni monoteiste. Una caratteristica di origine antica, risalente all’impero Ottomano, che accolse gli ebrei in fuga dalle persecuzioni della cattolicissima Spagna di Carlo V. Una convivenza spezzata dalla ferocia di una guerra, della quale il paese porta ancora i segni tra la sua popolazione. Molti ex soldati musulmani bosniaci, scampati al genocidio, hanno trovato nella religione un conforto, una protezione negata altrove. Negata ad esempio dall’inettitudine vile e complice di un’ Europa che assistette immobile ai massacri.Questo forte bisogno di fratellanza, di solidarietà e di uscita da una condizione di solitudine è ciò che spingerà Amal a compiere le sue scelte di adesione all’estremismo salafita. Nonostante lo sguardo laico e progressista dalla regista, rappresentato dalla famiglia di Luna, educata alle tradizioni musulmane ma di cultura liberale, e da una versione di Sarajevo, filmata come una moderna città europea, la Zbanic si astiene dal giudicare il comportamento di Amal. Piuttosto rimane concentrata sugli effetti che tali scelte provocano nella coscienza di Luna, la quale prova a comprendere senza riuscirci (o forse sottovaluta) i cambiamenti del compagno, ma ciò che le appare subito chiaro è che non può assecondarli. Lei tenta di oltrepassare, rimuovendolo, il passato che ha sconvolto anche la sua vita, fino a quando non arriverà il momento di farci i conti tornando per la prima volta a Bielijna, nella casa dove è cresciuta e che è stata costretta ad abbandonare durante la guerra.
E’ un film non privo di debolezze Il Sentiero, come l’eclissarsi del personaggio di Amar nell’ultima parte del film, dovuta, sembra, più a un limite dello script che a una scelta drammaturgia. Ma nel complesso tema e intreccio rimangono in un fermo equilibrio, senza cedimenti. Riuscendo sostanzialmente nel suo obiettivo di mostrare in una pellicola la forza pervasiva della religione nel tessuto sociale di un paese e la sua minaccia intrusiva nello spazio privato di una coppia (e di un individuo), senza per questo farne un pamphlet antireligioso.