E’ proprio vero che il cinema di Matteo Garrone possiede un che di magnetico. La sua capacità di comporre le immagini riesce sempre a catturare lo spettatore per infilarsi là, in qualche misteriosa piega dell’inconscio, e rimanervi nascosta e annidata fino a dare forma ad altre visioni, le nostre, le altrui, in un intreccio che riecheggia archetipi ancestrali.

In questo suo nuovo film Il racconto dei racconti, un fantasy horror – così definito dalla stampa, diverso dai suoi precedenti eppur in continuità con essi, Garrone dà alla materia filmica, così curata in ogni dettaglio, luoghi, volti, colori, musica, luce, una materialità densa che riesce quasi a trascendere se stessa fino ad arrivare ad un’astratta purezza.

Al di là del testo di Basile a cui è ispirato, e qui lasciato ai margini, la scrittura del film riesce ad andare ben oltre il genere e la fiaba, animando quei fantasmi notturni che sono dentro ognuno di noi: la paura dell’altro, la trasformazione del corpo, l’inesorabilità della nascita e della morte.

Garrone dà forma a tre novelle che si intrecciano e che ci accompagnano per due ore e mezza senza mai scivolare né nel moralismo, né nell’ovvietà. Il racconto procede attraverso l’incrocio di tre storie che in qualche modo simboleggiano le tre età della vita: la giovinezza, la vigoria erotica e la vecchiaia dei sensi che qui si intrecciano e si mescolano attraverso i doppi (i gemelli del parto iniziale) e i destini incrociati di principi e regnanti, all’epoca di un fantasioso medioevo.

Un denominatore comune a tutte sembra possa essere rintracciabile nella metamorfosi ricorrente della pelle. La pelle del drago che viene trafitto e quella del suo cuore pulsante e sanguinolento che produrrà la nascita di due gemelli, di madri diverse, albini di pelle (appunto); la pelle della pulce gigante allevata dal re che trascura la figlia e che poi sarà oggetto di prova per identificare il futuro sposo della principessa; la pelle deforme dell’orco che è l’unico ad aggiudicarsi la mano della principessa perché competente sui diversi generi di pellame; la pelle delle due sorelle che cercano di conquistare il principe-Vincent-Cassel arrivando a conciarsi, scarnificarsi e a trasformarsi; la pelle ecco. Un’ossessione. Forse perché in epoca di re e regine la pelle simboleggia la forza, la potenza. Una sorta di volontà di abnorme auto trasformazione che appartiene anche al nostro tempo, nel quale siamo un po’ tutti come la strega di Biancaneve. Il vigore in antitesi alla caducità, al divenire. Alla morte. La pelle come incarnazione di apparente perfezione, lucentezza, bellezza, giovinezza. E le immagini che ne parlano possiedono la forza e il vigore di questa stessa idea: il rosso della coperta nel bosco su cui è adagiata la vecchia, sospesa in un verde lussureggiante, nel secondo episodio; le pieghe delle pietre simili a rughe nella valle in cui scorre il fiume dove il drago verrà ucciso; i lunghi capelli rossi che contrastano con l’incarnato lunare della vecchia – Dora, diventata ora -Venere, che riuscirà a sposare il principe fedifrago, tanto per dire. Tutte possiedono un colore, una luce, una compattezza tali da riversarsi nell’immaginazione dello spettatore, proiettandolo contemporaneamente in uno schermo cosmico in cui ognuno è presente.

Nessun dettaglio viene trascurato, l’equilibrio non lascia mai spazio a inutili morbosità. Tutto sembra necessario e la narrazione procede per cerchi concentrici fino a intorbidirsi e a costruire una sorta di nebulosa che poi esplode in un finale in cui ogni elemento tornerà al suo posto. Apparentemente.

Perché quel funambolo sospeso nel cielo che cammina su una corda di fuoco, durante le nozze della nuova regina rediviva grazie all’uccisione dell’orco pervertitore, sta sempre lì. Rimane presente. Cammina lentamente senza mai arrivare alla meta. A ricordarci che il gioco è pericoloso e incerto, il fuoco brucia e la corda si può spezzare. Ma non si precipita. Pronta è lì un’altra storia, un’altra corda, un altro racconto che è un assoluto tentativo di dare senso attraverso la parola, alla complessità dell’esistenza che senso non ha.

Così come forse le parole che ho scritto qua.

2 Replies to “Il racconto dei racconti 1 / Nelle pieghe della pelle”

  1. Interessante, l’ho visto ieri sera in una sala semideserta su uno schermo immenso che infliggeva ancora più epicità. A me il leit motiv è sembrato piuttosto “il prezzo da pagare” il riscatto costante che viene richiesto per desiderare, per amare, per odiare, per mantenere fede alle proprie idee, o alla parola data, per creare, per essere.
    E così allora forse la pelle è il mezzo “vendere cara la pelle”, pelle involucro teatro della rappresentazione o rappresentanza, simulacro della carne, prigione del contenuto che vuole uscire, dichiarare, mostrare l’interno, per andare oltre il rappresentabile. Essere senza pelle. Bello anche se non troppo approfondito l’uso del doppio (il teatro e il suo doppio?) esteticamente perturbante e ammaliante. L’intenzione era buona e ambiziosa peccato che nello sforzo di riuscire a tenere in equilibrio tutto, l’impianto drammaturgico ne abbia a mio avviso, un po’ patito a favore dello “spettacolo”

  2. per fortuna un fantasy pseudorrorifico che non si ammanta di paccottiglia fantasimatica e nemmeno di effettacci orribilanti. Ma vive di vivissimi verdi vellutati e di rossi rosseggianti sopra pelli che delicate erubescono. La pelle rivela più di quanto non nasconda..indotta lussuria di nere damigelle, sciocca superbia di reucci di ricchi tessuti marezzati rivestiti, bianchi giovinetti leali duplicati. E lo splendore di paesaggi e castelli scandisce un enigma degno della sfinge di edipo… dedicato allo essere che pur potente si fa umile palombaro, sfida il mostro albino degli abissi..lo quale per via vicaria riproduce albini coraggiosi eredi del suo grancuore, divorato dalla gola inesausta della triste reìna..cresce per immersioni ben meno perigliose tra le gonne delle nere suddette, poi s’incapriccia di vivace pultzella..la quale cresce fino alle dimension di un lamantin cicciotto..poi devolve la sua unica glaucoprincessa pel torneo del tattovistaodorato, poi saltabecca sulla corda e negli abissi d’aria dopo quei di acqua e di carne s’immerge, poi del latte di Natura rigenerato riottiene giovinezza ma chi sa per quanto, poi alimenta invidie adorazioni affettazioni. Poi si fa giuditta contra l’orchesco peraltro ben rasato. Poi si fa ottagonale giro di corte..e tutto di miseria in gloria (forse) va

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