Il titolo originale è Iklimer che tradotto suona come I climi. In italiano è diventato Il piacere e l’amore. Chi ha comprato l’ultimo film del regista e autore turco Nuri Bilge Ceylan, già premiato a Cannes nel 2003 per Uzak, ha cercato di condire il tutto con un apparente contraddizione, anche se c’è chi la vive con sincerità come una condizione imprescindibile dell’esistenza umana: da una parte il piacere e dall’altra l’amore, due sfere inconciliabili. Forse però non ha pensato – al momento in cui elaborava che nome dare al film in italiano – alla doppia valenza della “e” che potrebbe significare sia il piacere insieme all’amore che il piacere separato dall’amore. Insomma la “e” può avere non solo un valore di congiunzione ma di disgiunzione.
Poteva del resto preoccuparsi di tali distinguo il traduttore/distributore? Si sa che ogni traduzione corrisponde a un tradimento e come spesso accade in molti tradimenti – ahimè, anche nella vita privata – non è che si dica completamente il falso. Nella seconda e terza parte del film potrebbe sembrare infatti che Ceylan tematizzi questa dialettica di amore e piacere. Quindi, come dargli torto? Intendo dire al traduttore. Con un unico inconveniente: le attese che tale titolo attira probabilmente saranno frustrate. Poca carne, poco sesso e pochi baci appassionati, pur non essendo del tutto assenti.
Si inizia con l’ultima vacanza insieme di una coppia in crisi. Estate torrida. I due hanno difficoltà a parlare. Gli sguardi tra loro divergono, non si trovano, non si incontrano mai, tanto che le lacrime di Bahar (interpretata da Ebru Ceylan, moglie di Nuri Bilge), sono viste solo da noi, e non da Isa (interpretato dallo stesso regista). Lei, per sottolineare la cecità di lui, ad un certo punto, mentre sono in motorino, gli copre gli occhi con le mani. Pericoloso? Certo. Ma essere invisibili di fronte alla persona amata può far partir il lume della ragione.
Non sappiamo nulla di cosa sia capitato fra loro. Ci vengono mostrati i sintomi della crisi sottacendo le cause. La macchina da presa “raccoglie” ciò che vede, una narrazione obiettiva che provoca nello spettatore un risultato paradossale. Invece di allontanarlo lo avvicina di più, in qualche modo lo fa precipitare non tanto nella storia, quanto nella situazione emotiva. Togliendo le motivazioni ai comportamenti dei protagonisti chi guarda vive “lo stesso” malessere, prova quella sensazione di vuoto incolmabile che pare segnare l’inizio della fine di alcune storie d’amore. I silenzi che corrispondono ad una scarna narrazione, composta per lo più di azioni non determinanti l’evolversi della vicenda, hanno fatto pensare ad Antonioni. Ma è una parentela solo apparente. Il lavoro di sottrazione sull’immagine (in particolar modo nella seconda e terza parte del film), diretto a scartare il superfluo, nel tentativo di raggiungere l’essenzialità, lo allontanano decisamente dall’autore dell’Avventura.
Ugualmente per quanto riguarda la musica. Dice il regista: “Mi piacerebbe avere ancora meno musica nei miei film. Ho voglia di togliere delle cose, di fare un cinema più diretto, più essenziale, più vicino alla realtà”. Questa prossimità col reale – ricercata da Ceylan – non è però da confondersi con una pudica e casta registrazione del mondo alla Kiarostami. La composizione delle diverse scene sembrano invece corrispondere ad un tono emotivo. Si pensi all’inserimento di una sequenza onirica nel bel mezzo della narrazione, con Bahar che sogna di essere ricoperta di sabbia. O anche alla scena che si svolge durante l’autunno nel salotto dell’amante di Isa. Ed infine d’inverno in una camera d’albergo tra i due (Isa e Bahar) che si incontrano per un’ultima volta. In queste occasioni vediamo qualcosa in più e qualcosa in meno di quanto vedremmo in apparenza con una visione “obiettiva”, ci è infatti restituito il reale come esperienza. Questo vuol dire filmare il mondo non come un oggetto chiaro e definito davanti ai miei occhi. Altrimenti detto, alla Bergman: c’è più realtà in un sogno che nella veglia.
Isa è un uomo le cui reazioni sono prevedibili. Personaggio piuttosto antipatico. Certamente contraddittorio e manipolatore. Che prima va a letto con la sua ex amante, quasi violentandola, e il giorno dopo va a trovare i genitori, quasi cercasse una sorta di purificazione nel nido famigliare. Che con insistenza chiede a Bahar di tornare di nuovo insieme (scena da commedia dell’assurdo: mentre Isa tenta di convincerla è più volte interrotto da colleghi di lavoro che entrano ed escono dal furgone dove si trovano i due). Lei rifiuta. Allora il suo desiderio cresce. Quando infine Bahar cede, lui perde la voglia di restare con lei. Ma non è solo una questione di desiderio che viene e che va: più potente quando l’oggetto desiderato è assente, più debole quando è presente. In Isa c’è probabilmente la consapevolezza che nel loro rapporto nulla è cambiato, tutto tornerebbe come in passato, intuisce che ricostruire una relazione amorosa non è cosa facile. Gli amori finiscono come le stagioni e mutano come i climi.