Ahmad (Ali Mosaffa) è il passato che da Teheran torna in Francia dopo quattro anni per formalizzare il divorzio da sua moglie Marie (Bérénice Bejo, premiata per questo ruolo lo scorso anno a Cannes) che ha due figlie da una precedente relazione e adesso aspetta un bambino da Samir (Tahar Rahim). Il regista iraniano Asghar Farhadi, Orso d’oro e Premio Oscar al miglior film straniero nel 2012 per Una separazione, è senza dubbio un fine psicologo che costruisce la trama del suo film con estrema attenzione alle mosse interne ed esterne dei personaggi, alle loro azioni, alle reticenze, ai silenzi. Non giudica nessuno perché tutti hanno le loro ragioni, perché ognuno ha alle spalle un proprio vissuto, il passato appunto, e con quello bisogna fare i conti.
Marie. Dopo alcune relazioni fallite (tra cui quella con Ahmad), è una trentenne insicura e assolutamente incapace di comprendere i sentimenti delle proprie figlie. Si illude che con la semplice firma dell’atto di divorzio possa mettersi alle spalle la storia con l’ex marito ma non è così. Come le dice lo stesso Ahmad lei vuole solo vendicarsi e probabilmente prova ancora qualcosa per lui.
Samir. È il compagno attuale di Marie. Sua moglie è in coma dopo essersi avvelenata forse sospettando il tradimento del marito. Samir sente il rimorso per aver causato con ogni probabilità il tentato suicidio di sua moglie e in fondo non fa che sperare e attenderne il risveglio.
Ahmad. È l’elemento destabilizzante di questa famiglia allargata e la sua sola presenza riporta ogni cosa a galla, palesa le fragilità dei personaggi, squarcia quel velo di ipocrisia che ammanta i rapporti umani facendo emergere a poco a poco ciò che ognuno ha taciuto agli altri.
E poi ci sono i bambini e gli adolescenti. Da Fouad, il figlio di Samir, a Lucie, figlia maggiore di Marie, che guardano il mondo degli adulti con occhio inquisitorio e critico, non comprendendo le ragioni delle scelte o delle non scelte che essi fanno magari senza considerare le esigenze dei più piccoli.
Il passato cerca di dare voce a ciò che ciascun personaggio si è tenuto dentro per anni e continua a tenersi dentro per timore di ferire gli altri o per paura di rivelare a se stessi le intime angosce, i dubbi che ci attanagliano, i sentimenti che teniamo gelosamente chiusi dentro di noi. Le rimozioni, che sembrano in fondo alleggerirci il peso della vita, non fanno che accantonare i problemi in una zona grigia e provvisoria che un giorno o l’altro riemergerà da quell’oblio in tutta la sua evidenza, portandosi dietro il proprio dolore taciuto. Questo film mi ha ricordato per l’esattezza, l’indulgenza e l’umanità con cui descrive i personaggi quel capolavoro che era Segreti e bugie di Mike Leigh. Questo non riuscire a capire fino in fondo gli altri, questa distanza apparentemente incolmabile che c’è tra le persone, sì proprio questo continuo reciproco fraintendersi nel gioco della vita.
Pensa che io più che “rimozioni” ci ho visto l’impossibilità di definire la complessità delle relazioni. Il più delle volte, di fronte alle tante possibilità, si decide per un racconto, quello più facile da sostenere in quel momento della propria vita. Ma poi le storie possibili sono tante, difficile è mantenere ferme quelle che abbiamo iniziato a raccontarci…