Sovranamente ironico quasiconico (o forse no, dati i tempi e la relatività dei punti di vista in materia, filosofico-economico-socio-geopoliticamente parlando) ecco un titolo calcato dal francese originale.
Introduce una commedia semiseria-semitruce-demidemicosìcosì, sui temi Amicizia Amor&morte Abitiamo-un-mondo-non-poi-così-schifoso-almeno-se-ricchi-eocolti-eocomplessi-eosimpa-eofrancesi.
Dreyfus e Montesihu, amici dai tempi del collegio e delle cuscinate correlate, deuteragonizzano in un ambiente Totale e diversificato-tratteggiato per sapidi accenni : l’Institut Pasteur, il Casino, il gran-casino-esistenziale, la megalopoli indiana, la biarritz-balbec-proustoponomastica, l’Ospedale, la vita dolce di chi ha (forse) molti talenti ma nessuna voglia di metterli a frutto, soprattutto secondo i voleri paterni, femminili di turno, sociali e culturali classici o di moda. Zero de conduite al secondo, Sette più (forse più) al prof. Dreyfus.
Bene spalleggiato dal Bistecconico Bruel (indimenticato protagonista di Le Prenom), giganteggia come sempre Luchini, attore sottilmente evocativo e gran maestro nello strabuzzo di occhi; scriva egli ‘in persona’ discorsi per parlamentari, seduca per scommessa, faccia il fiscalista putativo analista, il panettiere bobo, il giudice di Corte d’Assise, il prof. invaghito dell’allieva, della Giunonica Gemma brit, della bella italiana, della spagnola del settimo, della ‘bruttezza metafisica’ della Timida (C’est sublime!! ..nello dialogo originale). Teatrale nelle movenze e nella dizione, egli anima quasi ogni dialogo di guizzi di espressione e significanza, impersoni egli un bobo, un pedante, un (al secondo grado, qual personaggio del personaggio) pede doppiamente malentendu.
Anche se il film scorre tra battute di medio calibro, e situazioni equivocate sino dalla origine del plot, esso film diverte e fa (superficialmente) riflettere, sino al coup de theatre del pre-finale e al vero-finale, un poco strascicato e scontato.
Non semplice senza dubbio è intessere una commedia degli equivoci (ora grandi, ora minori).
Non agevole dipingere caratteri e vicende parallele divergenti, che si incontrano e scontrano fino a fondersi nel momento sovranamente dirimente della accettazione della fine del corpo e della mente, saltando per menzogna i rituali passi prodromici della rabbia, del negoziare, del negare, del disperare.
Al centro si pone il tema della amicizia virile, facendo senza dubbio torto alle fugaci presenze femminili figlie-mogli-madriamanti di età bassa-media-mediagé (come nella doppia commedia al ristorante dei due amigos, ove propongonsi quali ‘prede’ i ‘target’ 28-57-38), dipinte ora instabili, ora poco affettive, ora nevrotiche ora brusche ora tardivamente pentite.
Arthur non è Antoine divin conversatore de La Discrète, ma passa attraverso la vita meditabondo a tratti allegro, quasi come lo amicone Cesar, allegro meditante quasi mai. Entrambi certi in apparenza del fatto che la vita – così come morte, amore, desiderio – ci accompagna senza dolore fin tanto che non ci si pensa (troppo).
Un inno alla leggerezza, al vivere (in)quieto, piuttosto? Allo spettatore la sentenza. Al Cinema, agli attori, la meraviglia di parlarne pianamente. A noi, di leggern&scrivere.