Tratto dall’omonima pièce vincitrice del premio Pulitzer in scena a teatro con la regia di Sergio Castellitto e l’interpretazione di Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi,  Il Dubbio di John Patrick Shanley conserva anche sul grande schermo l’impianto teatrale. Una regia statica a rendere l’ambiente claustrofobico di un istituto religioso (il St. Nicholas nel Bronx), a calare lo spettatore nell’America post- J.F. Kennedy e in generale nella società alle prese con Papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II in bilico fra vecchio e nuovo. Siamo nella centrifuga del dubbio – appunto – che sospende un’epoca nella corsa verso cambiamenti imminenti, la Chiesa sulla necessità di adeguarsi alle trasformazioni del costume, le coscienze a un passo da quelli che fino al giorno prima erano considerati peccati mortali e che ora appaiono simili a porte spalancate verso percorsi ignoti.

A interpretare il battito incerto della morale di quegli anni ma anche l’universalità umana del “dubbio” due outsider del cinema: Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman che con la straordinaria capacità interpretativa che li contraddistingue reggono da soli – o quasi – la drammaticità magmatica del testo.

Suor Aloysius (la Streep), bigotta preside dell’istituto St. Nicholas, a seguito di alcuni sospetti di una consorella (la convincente Amy Adams) accusa padre Flynn (P. Seymour Hoffman) di aver abusato di un allievo di colore. Lo scontro fra i due non è esclusivamente morale ma anche storico –  Padre Flynn spinge per un rinnovamento della chiesa, che la porti al passo con i tempi mentre Suor Aloysius vede nel cambiamento la distruzione dell’ordine immutabile dei tempi. L’alunno di colore è il primo accolto dall’istituto, le suore sanno che a comandare sono i preti in quanto uomini, la madre del ragazzo (una straordinaria Viola Davis) contrappone a Suor Aloysius che le riferisce i suoi sospetti, la disperazione sociale come specchio all’integrità morale, in un dialogo toccante.

A parte la meritata candidatura all’Oscar – l’ennesima – per l’interpretazione della Streep e l’altrettanto immenso Hoffmann, il film di John Patrick Shanlley implode nell’humus claustrofobico che mette in scena. La macerazione delle coscienze sospese nel dubbio dell’avvenuto abuso, nella giustificazione di fini torbidi e incerti che portano ad una presunta verità, la riflessione sul senso delle parole – solo pettegolezzi?  – dei sospetti –  proiezioni di paure?  – e sul senso della condizione umana – simile a un continuo naufragio nell’incertezza – pur tenendo desta l’attenzione dello spettatore  non decolla a livello narrativo. I dialoghi sono intensi, veri “ring attorici”, ma il flusso descrittivo procede lento e pesante, inabissando lo spettatore nello stesso dubbio posto in scena, per abbandonarlo poi naufrago di senso, o ancora più convinto del non-senso della vita e dell’impossibilità di darsi risposte, al magma dell’incertezza. Forse era proprio questo l’intento dell’autore e regista ma per chi si trova dall’altra parte dello schermo resta un vuoto, un trascinamento – con accompagnamento di canti liturgici – di magoni inconfessati, di lacrime a fior di provocazione, che se non fosse per gli interpreti, poteva ripiegarsi su se stesso.

One Reply to “Il Dubbio”

  1. anche in questo caso non posso che essere d’accordo con la recensione.
    il film non combia mai di tono ed è estremamente lento,gira su se stesso e intorno a cose che si presumono e altre che si intravedono …forse.
    senza due attori di questo livello il film sarebbe stato un flop clamoroso.
    il messaggio arriva e bene…ma in 105’min. si poteva fare ben altro!!!

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