“Sorgono degli ignoranti e con la forza si impadroniscono del cielo.”
È una citazione dalle Confessioni di Sant’Agostino e veste perfettamente i personaggi dei film del cineasta russo Andrej Tarkovskij, sempre attraversati da un’aura misteriosa, impregnati di una forte spiritualità che non ha nulla di nuovo perché il regista attinge a piene mani in quella religiosità slava che aveva ispirato i maggiori artisti del secolo precedente come Dostoevskij, Tolstoj, Puskin. Attraverso questi scrittori, ma soprattutto attraverso Dostoevskij, Tarkovskij rilegge i concetti fondamentali dell’antica Rus’ che il regime bolscevico aveva tentato di mettere a tacere; la visione estetico – filosofica di tutto il suo cinema parte proprio da questa interconnessione di religiosità e paganesimo che fu una costante anche dostoevskijana.
Ciò che accomuna i due autori è la visione dell’uomo che essi hanno filtrata, per l’appunto, da un forte concetto di “ terrestre religiosità”, una religiosità popolare intessuta di miti pagani e cristiani, che riporta l’attenzione alla terra, all’universo interiore dell’uomo, dove, secondo i due autori, si può trovare Dio o perderlo definitivamente. È quindi una ricerca dell’uomo nell’uomo, non un’attenzione al trascendente, ma all’umanità che avrà sempre uno scarto irrazionale e “in esso è la fonte della vita”. L’attenzione in questo “cinema iconico” è posta proprio a questo scarto irrazionale, perché per il regista, riprendendo potentemente Dostoevskij, l’uomo è un essere problematico e misterioso e non finisce mai in nessun luogo.
Tarkovskij rifiuta dunque la logica tout court, la logica euclidea, matematica, quella del “ due più due fa quattro”, che dimostra e non mostra, e cerca una logica altra che epifanicamente riveli altro da sé. In questo senso il suo è un cinema iconico, che ci suggerisce la presenza dello spirituale e riflette una trascendenza di cui l’immagine ci dà l’intuizione: l’immagine artistica diventa cioè strumento per cogliere l’Assoluto. L’icona (fondamentale nella tradizione pittorica russa) ci mostra l’invisibile attraverso il visibile, attraverso la contingenza, ed è per questo che nei film di Tarkovskij l’attenzione è posta non al cielo, ma alla terra; il cielo lo si vede solo come riflesso nelle pozzanghere, nell’acqua che è un’altra costante tarkovskijana. Una prospettiva rovesciata dunque, tipica dell’icona dove ciò che è raffigurato non è messo in prospettiva come nell’arte rinascimentale occidentale, ma vi è un ribaltamento, una prospettiva rovesciata dove le linee si dirigono in senso inverso e il punto di vista non è dietro il quadro ma davanti.
Il rovesciamento è anche, in ambito sociale, un capovolgimento dei valori precostituiti, è per dirla con Bachtin una “vita all’incontrario”, un “mondo alla rovescia”.
Ed il protagonista emblematico di questo mondo rovesciato è il folle che ci proietta in quello spazio di confine tra l’umano e il subumano e prepotentemente apre all’alterità, la quale ci dimostra che non tutto il senso è racchiuso nella nostra politica quotidiana in cui si celebra la norma e di conseguenza la normalità. In tutta l’opera di Tarkovskij vi è l’irruzione dell’altro “che non dà luogo a una distruzione del mondo ma ad un’apertura nel mondo”; nei suoi film vi è sempre la significativa presenza di questi personaggi altri, questi “folli per amore di Cristo”, immagini tipiche della tradizione russa la cui pazzia è simulazione cosciente, un’abdicazione deliberata verso ogni dignità, fingono una follia umana per imitare quella di Cristo, che al termine della sua vita si lascia flagellare, umiliare, appendere alla croce.
“Ecce Homo, ecce Deus, un folle in verità!”
Quelli che Tarkovskij mette in scena, ripercorrendo Dostoevskij, sono personaggi deboli, indifesi, personaggi rovesciati come il principe Miskijn de L’idiota; essi però non sono solo un palese anti–modello cinematografico, ma proprio perché motivati dalla volontà dell’inversione forza/debolezza e mossi dallo spirito del contrario, sono personaggi coscienti e attivi, uomini al limite che fungono da varco tra ciò che è visibile, la verità euclidea, e ciò che non lo è, come l’inatteso, lo stupore, il miracolo. E’ il potere dell’innocente, del povero di spirito che “vede”, detentore, secondo il lessico dostoevskijano, dell’”intelligenza primaria” che consente l’istintiva ed elementare intesa con il mistero delle cose che è negato al positivismo e allo scientismo quanto alla speculazione filosofica; bisogna affidarsi a questi “idioti” perché sono i “colpiti da Dio” e vedono il mondo pieno di miracolo e meraviglie.
Esempio calzante è il film Stalker.