La cosa non ci torna del tutto, ma almeno a Roma, pare che tra i camerati del 2000 il film Fascisti su Marte di Guzzanti sia un autentico cult. Recentemente anche i vari tormentoni di Cetto La Qualunque però hanno subito un vago ribaltamento di prospettiva, tanto che persino Libero o Il Tempo se ne sono apertamente appropriati nei loro titoli in prima pagina pro-Premier. Ok, forse non ci sarà mai un consenso assoluto sul fatto che la caricatura di Albanese possa essere bipartisan. Non sforzandosi di smussare i tratti da macchietta del loro protagonista il regista Manfredonia e il comico di Olgiate comunque tendono a trattenerne più del dovuto i tratti e il respiro nel tipico iperuranio fumettistico di Frengo stop, Paperoga ed Epifanio. Cosa che in non tutti i momenti del film è sempre in sintonia con la natura della storia che i nostri scelgono di raccontare. In questo senso l’episodio dell’autobomba contro il candidato della lista civica avversa è agghiacciante. Sarà che ormai viviamo la sindrome da tunnel-Avanzi da più di quindici anni e a furia di esorcizzare il nemico con le parodie e le caricature, queste sono definitivamente divenute il nostro specchio più pauroso.
E’ emblematico il fatto che la produzione si sia dovuta spostare solo pochi passi fuori da Cinecittà per trovare già bella e pronta la villa più pacchiana dell’universo, con mezzi busti di Nerone, piscine nel balcone abusivo rialzato e Buddah d’oro a grandezza naturale. Per non parlare delle valli maciullate dal cemento informe accanto a Tivoli. Lo stesso Albanese in conferenza stampa è stato sollecitato a lungo nel ribadire come gli eventi di questi giorni abbiano clamorosamente superato a destra le gag più tronfie del suo Cetto. Era difficile in questo senso trovare argomenti e situazioni che facessero ridere amaro più di quanto non facciano i politici in carne ed ossa che ci circondano.
Non si poteva certo poi contare sull’effetto sorpresa di un personaggio che ha già un repertorio collaudato in numerose trasmissioni televisive e ha programmato una campagna elettorale-promozionale lunghissima, con una serie di affissioni e gazebo che nei mesi passati già facevano immaginare quali potessero essere le armi in più di Qualunquemente. Chi non avrebbe scommesso che lo spin doctor del politico calabrese parlasse in milanese e facesse Tai chi?
A parte questo e alcuni momenti di stanca, la commedia regge con mestiere buona parte della sua durata. Semmai ci viene da muovere l’appunto che in Jhonny Stecchino almeno, Benigni, pur rimanendo nell’iperreale aveva avuto la coerenza di chiamare le cose come sono e parlare apertamente di Mafia e non di notabili. In chiusura comunque siamo curiosi di vedere come si posizionerà il film di Procacci nella definitiva stagione dei post cinepanettoni. Se vogliamo, dagli anni ottanta ad oggi, si può azzardare un parallelo temporale tra la parabola del Caimano e di tutte le serie di Vacanze di Natale. Ora che queste stanno per scomparire possiamo solo valutare in cosa siano effettivamente peggio rispetto a quelle di Zalone e Albanese. Se logicamente, ne salutiamo i tanti punti di forza, non capiamo, allo stesso modo perchè non vengano inserite serenamente insieme al filone sincero e apprezzabile di Pieraccioni e Panariello.