Quest’estate, al Festival di Locarno, è stato presentato un documentario di Alessandro Rossetto. Titolo: Feltrinelli. Working title: il mestiere di fare libri.
Si sono presentati in molti a vederlo, tanti da convincere gli organizzatori a programmarne delle proiezioni in replica. La critica, seppur con qualche distinguo riguardo la necessità di scavare di più e sorvolare di meno, ha complessivamente apprezzato. Bernardo Bertolucci lo ha lodato per l’intensità e l’eleganza. L’argomento in effetti è ghiotto: Giangiacomo Feltrinelli, singolare figura di editore capitalista e gauchiste, che ha dirottato i capitali di famiglia su un’impresa culturale militante per poi imboccare la strada della lotta armata clandestina e morire misteriosamente tentando di sistemare un ordigno sotto un traliccio della luce, è un personaggio estremamente interessante che meriterebbe, oltre che un documentario, un grande film di fiction. Anche per questo, la Feltrinelli è un’impresa profondamente intrecciata alla storia italiana, molto rappresentativa delle contraddizioni e della doppia anima della sinistra italiana. Feltrinelli parte dalla figura del fondatore per poi osservare la vita della casa editrice nella sua quotidianità, nel suo farsi giorno per giorno.
Bene, direte voi, quand’è che vedremo questo documentario dal soggetto tanto interessante? Probabilmente mai, a meno che non facciate un salto in qualche sala della Svizzera o della Germania. La Eskimosa, infatti, la produzione italiana che è una costola della Feltrinelli stessa, ha deciso che il film non avrà nessun tipo di distribuzione in Italia, né in sala, né in TV, né in DVD. Avevano qualche dubbio anche sull’opportunità di presentarlo a Locarno, poi hanno dovuto accontentare i coproduttori stranieri, la Pandora film e la Dschoint Ventschr Filmproduktion, che invece nel film sull’editore italiano ci credevano e infatti lo distribuiranno, nei loro paesi, sia in sala che in DVD.
Il caso di clamorosa autocensura diventa pubblico nel dicembre scorso, quando il canale franco-tedesco Arte annuncia la messa in onda di Feltrinelli per il 26 dicembre e il regista Alessandro Rossetto denuncia alla trasmissione radio “Hollywood Party” la volontà della Eskimosa di oscurare il film in Italia. Escono vari articoli sull'”Unità”, sul “Riformista”, sul “Corriere della sera”, su svariate altre testate e sul web.
La produzione, Eskimosa reagisce confusamente nella persona del suo manager Carlo Cresto Dina, che dapprima afferma che il film era stato pensato fin dall’inizio per un pubblico estero, poi addirittura sembra notare (per la prima volta, pur avendo seguito l’intera lavorazione del film) che la sequenza dedicata alla strage di Piazza Fontana è un po’ troppo didascalica, infine rivendica un fantomatico “uso interno” dell’opera da parte di Feltrinelli.
Il film è stato proiettato, in effetti, nel febbraio di quest’anno 5 volte in 5 città diverse nelle stanze dei punti vendita Feltrinelli: gratis, senza alcuna promozione, in orari diurni di giorni feriali. Noi c’eravamo, alla Feltrinelli della Galleria Colonna di Roma il 19 febbraio alle 10 di mattina: entrando in libreria nulla faceva pensare a questa proiezione e in effetti nel piano interrato insieme a noi, a seguire il film (pessimamente proiettato, come a Bologna, Napoli e Firenze), c’erano due persone. Probabilmente assidui lettori della sezione eventi del sito Feltrinelli (unico luogo dove si poteva venire a sapere della proiezione).
Come giustamente nota Alessandro Rossetto nell’intervista che potete leggere più sotto, queste proiezioni non sono altro che il funerale del film, la sua definitiva condanna all’invisibilità. Quella stessa invisibilità che affligge una gran parte della produzione di film e documentari italiani girati con spirito indipendente, tenacia, libertà espressiva. Un vasto continente sommerso di immagini del nostro paese.
Perché la Eskimosa ha deciso di ingrossare questo continente, proprio lei che con la collana DVD “Realcinema” ha voluto rendere ulteriormente visibili film come Fahreneit nine eleven, Super size me, Salvador Allende, Comandante?
Forse perché la critica al capitalismo si può fare solo se l’obiettivo è l’America? Forse le contraddizioni del nostro paese, ben visibili in un’impresa come la Feltrinelli, è meglio tenerle sotto coperta? L’ipotesi è maliziosa, anche perché il documentario in questione non è certo un pamphlet, è leggero, equilibrato, fenomenologico. Non contiene né tesi né giudizi e riesce a far parlare la realtà.
In attesa di rivolgere la domanda alla Eskimosa stessa, ne abbiamo parlato con Alessandro Rossetto percorrendo con lui varie ipotesi.
Alessandro Rossetto come regista si è formato in Francia ed è molto apprezzato all’estero. Feltrinelli è il suo quarto lungometraggio documentario dopo Il Fuoco di Napoli, Bibione Bye Bye One e Chiusura, tutti presentati e premiati in festival, programmati in rassegne, musei, sale cinematografiche e trasmessi da varie televisioni europee.
Rossetto: Per quanto riguarda la questione distributiva, è accaduto un vero assurdo perché la parte italiana di questa produzione internazionale, cioè la Eskimosa, fa un vero e incomprensibile autogol. Facendo un’analisi più profonda, si è creato una sorta di rifiuto ad essere visti in un modo indipendente da parte della Feltrinelli; è l’idea che un film documentario non può essere veramente personale, quindi viene rifiutato in se stesso, anche da chi ne è stato produttore.
Schermaglie: Chi ha avuto l’idea del film?
La Feltrinelli mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo fare un film su di loro e la loro storia, passata e presente, in occasione del cinquantenario della casa editrice. Ho risposto: “un film su di voi e prodotto solo da voi non lo faccio. Se volete faccio un film su una vostra grande libreria, come se fosse un posto come un altro, però posso farlo solo se ho una coproduzione internazionale e la partecipazione delle televisioni europee che hanno mostrato i miei film in passato, cioè se diventa un film vero e proprio, dove voi siete solo una parte della produzione e io ho un contratto di final cut…”. C’è stata una gran negoziazione, ho comunque virato il tema film anche verso un ritratto della Feltrinelli e il mestiere di fare libri. Ma la libertà d’azione sembrava garantita e coproduzione internazionale è stata creata.
Quindi avevi già visto molto lungo perché adesso se non c’erano queste coproduzioni…
Per me era una cosa impensabile filmare chi ti paga… Riguardo alla assurda e univoca decisione di Eskimosa/Feltrinelli, bisogna considerare che i coproduttori sono due grosse compagnie europee: la tedesca Pandora film (uno dei colossi del cinema indip
endente mondiale, ha prodotto Jarmush, Kusturica, Kaurismaki) e la svizzera Dschoint Ventschr (che ha prodotto quest’anno il film vincitore del concorso di Locarno). Quello che loro hanno detto durante la lavorazione, poi al festival di Locarno, e che continuano a dire, è che il film dev’essere visto perché è bello. Sono produttori con un’enorme esperienza di film documentari, non parlano certo da parvenus…
Perché la Eskimosa non voleva neanche che il film partecipasse al festival di Locarno?
C’è stato uno scontro tra i produttori stranieri ed Eskimosa: lì si sono rotti i rapporti… le pressioni e la richiesta di Eskimosa/Feltrinelli di non mostrare il film al pubblico erano inaccettabili. Gli svizzeri hanno detto: “noi invece lo mandiamo al festival, poi in sala in Svizzera, faremo noi il DVD e poi troviamo un distributore internazionale che lo vende dappertutto…”
Anche in Italia?
Certo che no, in Italia non si può: i diritti sono di Eskimosa…
Allora veniamo al punto: secondo te qual è la ragione vera che ha spinto la Eskimosa a mettere il veto su un suo prodotto?
Sono certo che alla Feltrinelli non sarebbe piaciuto nessun film sulla Feltrinelli: avrebbero bloccato chiunque… Dovevano invece fare come bisogna fare: quando un film viene visto da un grosso pubblico come quello di Locarno, il film non è più tuo, prende la sua strada…
I motivi profondi, comunque, non sono molto esplicabili, è una questione di aspettativa, forse loro cercavano qualcosa di retorico, oppure un’esaustività di facciata irraggiungibile in un vero film documentario.
Quanto ha contato in questa storia il fatto che tu tratti la vita “scottante” di Giangiacomo Feltrinelli?
Che alla Feltrinelli possano essere sorpresi che nel film venga dedicata una parte importante agli anni di Giangiacomo Feltrinelli, alla sua fine violenta, mi pare davvero strano. Fa parte della storia italiana… Non l’ho scoperta io, la vita di Giangiacomo Feltrinelli.
Può essere che la Feltrinelli a film compiuto, abbia capito che la circolazione di questo film sarebbe stata una cattiva operazione di marketing? Forse sollevava un caso che loro volevano risultasse coperto?
No, il film non solleva nessun caso, io non ho fatto detectivage, non sono andato a scavare nel passato. Ci sono le cose che tutti possono sapere leggendo e che però io ho messo in una serie di scene (e in scena), in una maniera non agiografica e retorica…
Ma nel film non c’è neanche un contenuto di denuncia?
Io non volevo denunciare niente! Non era alla base del film. Avessi trovato, durante la scrittura e le riprese, qualcosa da denunciare, lo avrei fatto. Ma non era la prospettiva del progetto.
Forse hai trattato delle contraddizioni tra la tradizione militante della Feltrinelli e la sua realtà attuale di grande azienda a vocazione monopolista?
Questo c’è, ma come ci sono tante altre cose: la passione del lavoro sui libri, la ricerca su questioni importanti, una tradizione che, seppur con fatica, non viene abbandonata pur nell’ampliarsi del gruppo Feltrinelli. Lavorando io sulla realtà e non essendo un film a tesi, è fatto di chiari e di scuri. Se si filma un dialogo tra un top manager e un direttore di libreria (c’è nel film), quando il direttore dice imbarazzato “ci stiamo despecializzando”, emerge un punto di vista sulle scelte anche mercantiliste della Feltrinelli. Nel film c’è anche questo, ma era un dialogo vero, il film non è fatto di interviste, ma di scene di vita: queste due persone stavano veramente parlando di despecializzazione, mica l’hanno fatto per me.
Nel film emergono le contraddizioni e la complessità anche attraverso i rapporti. Ad esempio tra Carlo Feltrinelli e Giorgio Bocca quando Bocca gli dice “io non capisco bene perché tuo padre voleva fare la rivoluzione quando non ce n’era bisogno, mentre a te il mondo sembra andare bene così com’è…”. Ma dove starebbe lo scandalo? Nel film questo è il rapporto vero tra l’anziano e mitico scrittore e il suo editore, un uomo che probabilmente Bocca ha visto in calzoni corti come figlio di Giangiacomo, che Bocca frequentava e con il quale si sarà probabilmente scontrato sui temi della “rivoluzione possibile” ben prima che a Carlo spuntasse la barba! Nella scena si incontrano per la consegna di un manoscritto, ciò che si dicono è stato solo “provocato” da me, non ho certo scritto le loro le battute.
Una cosa però è strana: il veto della Feltrinelli ha aumentato il clamore intorno al film. Da parte della Feltrinelli è stata una mossa controproducente…
È vero, è diventata una notizia. Ma alla fine la cosa si risolve con 5 proiezioni nelle salette interne delle librerie Feltrinelli. Magro risultato per tutti.
Alla festa del cinema di Roma Carlo Cresto Dina (direttore della Eskimosa), presentando il film da loro prodotto Checosamanca, un film a episodi diretto da esordienti molto impegnato su problemi sociali, ha parlato dell’invisibilità del cinema della realtà, della necessità di andare oltre il sistema dei media… la collana di DVD prodotta dalla Eskimosa, che si chiama “Feltrinelli Real cinema ”, ha tra i suoi titoli, documentari come Fahreneit nine eleven, Super size me, Salvador Allende, Comandante di Oliver Stone, tutti documentari un po’ militanti accompagnati sempre da buone intenzioni. Alla luce di tutto questo è veramente clamoroso che si siano comportati da “censori” nei confronti del tuo film!
È molto strano quello che hanno fatto con me… però io ora farò un altro film, mi sono stancato di questa storia da basso impero. Forse il tempo riporterà un po’ di buon senso su questa vicenda.
Non è una vicenda indicativa, secondo te, della situazione chiusa e asfittica della distribuzione in Italia?
No, è un caso abbastanza singolare di ottusità e in quanto tale è strano che provenga da un’azienda con la storia della Feltrinelli.
Ma non ci saranno dei motivi familiari al fondo di questa scelta?
Non so, è vero che si colgono i personaggi della famiglia anche in situazioni che possono essere considerate “di debolezza”, tuttavia rimane incomprensibile. Un tema interessante, sottolineato da chi ha scritto del “caso”, è che sembra essere inaccettabile l’idea di fare del cinema della realtà in un ambito come questo, in un “santuario della produzione culturale” come se ci fosse un rispetto sacrale… Cosa che io ritengo sbagliata perché l’idea di tutti era di fare un film sincero e complesso sul mestiere di fare libri, su una storia unica, in cui un personaggio unico incrocia molte vicende della storia del nostro paese. Quindi, affermare come ha fatto Cresto Dina che “il film era stato
dall’inizio pensato per un pubblico estero” è veramente, oltre che falso, fuori luogo. A Locarno si è capito che molti giovani hanno amato il film perché non conoscevano quasi nulla del passato di Giangiacomo Feltrinelli e delle vicende della fondazione della Feltrinelli che ora, rendendo invisibile il film in Italia, è come se rinnegasse la sua gloriosa storia.
Non ci sarà la volontà di tenere certi anni della storia italiana un po’ sotto coperta, avvolti nella nebbia?
Chissà, in effetti è paradossale che il punto in cui nel film si parla di piazza Fontana, sia stato definito da Carlo Cresto Dina, in un articolo del Corriere della Sera, “un po’ didascalico”. Formalmente non è affatto vero e poi, considerato che questo evento è stato così importante nelle scelte di vita di Giangiacomo Feltrinelli, era naturale fosse nel film. Peraltro nella sequenza c’è un brano d’archivio molto singolare, che colloca Feltrinelli come figura anche ingiustamente perseguitata in quegli anni (in una scena di repertorio un testimone afferma che il commissario Calabresi, interrogandolo, avrebbe cercato di fargli confessare che il responsabile della bomba era Giangiacomo Feltrinelli, ndr). È indifendibile affermare che si tratta di una sequenza didascalica, in un paese che tende a dimenticare e a non risolvere i suoi profondi misteri poi…
Il problema potrebbe essere stata proprio questa problematicità, laddove i titoli di Realcinema sono film generalmente a tesi…
Sicuramente il film è molto personale. Ma sono stato anche molto misurato, ad esempio nel film c’è una voce off che a mio parere non era completamente necessaria, se non nella parte finale. Però, per una migliore comprensibilità della storia anche in ambito internazionale, l’ho inserita, come mi è stato proposto dai produttori… Ugualmente ho accettato di togliere alcune scene che a mio parere avrebbero dovuto rimanere nel film, su richiesta dei Feltrinelli. Forse erano scene che non rispondevano ad una tesi…
E perché ti è stato chiesto di eliminarle?
Ad esempio mi è stato chiesto di togliere una scena in cui Carlo e sua madre Inge parlano della scelta dei manoscritti, di come si faceva in passato e come si fa ora, delle innovazioni che Giangiacomo (a tutto campo) portò nelle scelte editoriali, del peso che la nascita della Feltrinelli aveva avuto negli anni ’50 in Italia e a Milano e di altri interessantissimi argomenti, legati a doppio filo all’Italia, alla vocazione dell’editore, ai loro rapporti con la figura di Giangiacomo come “fondatore”. In definitiva parlano di editoria, del loro lavoro, ne parlano con passione, evocando scenari di enorme interesse. Era una scena molto bella ma credo che, agli occhi dei protagonisti, emergesse troppo il rapporto tra madre e figlio. Ecco, questa come altre scene “discusse”, univa ai temi di cui i personaggi parlavano, una dimensione quotidiana, passionale e umana. Ma il mio cinema del reale è anche e soprattutto la dimensione quotidiana, passionale e umana.
La serie di proiezioni in libreria sembra un rito di sepoltura…
Sì, perché fino ad ora, in ambito italiano, il film poteva avere avuto almeno un centinaio di presentazioni pubbliche tra festival e rassegne, in luoghi deputati alle proiezioni, non nei sottoscala di una libreria. Agli inviti, che sono stati moltissimi, Eskimosa ha detto no o addirittura non ha risposto. Invece, visto che il film è un lungometraggio in 35mm accolto molto bene dalla critica festivaliera, si poteva prevedere che la Feltrinelli, che ha un grande potenziale distributivo, facesse un lavoro per renderlo molto visibile anche in sala.
Perché secondo te l’Italia è un paese così ostico per i documentari?
Le ragioni sono vastissime. Sicuramente il fatto che la televisione pubblica non lo abbia tra le sue classiche priorità imprescindibili, è un fatto che porta ad un’invisibilità diffusa. Forse una prossima possibile rivoluzione tecnologica porterà anche una rivoluzione distributiva: ci saranno i DG cinema, i cinema digitali, senza più la circolazione di pizze di pellicola. Forse si creerà una maggiore diversificazione dell’offerta, grazie ad una distribuzione “più leggera”: già si sperimenta un “sistema cinema” dove un segnale satellitare viene inviato alle sale, nessun proiettore, nessun supporto concreto, pellicola o dvd che siano… Alle 22 e 30, in 50 sale collegate, comincia la proiezione di un film che non esiste fisicamente da nessuna parte. Almeno sulla carta è ottimo.
Però, a volte, le novità tecnologiche che sembrano aprire grandi opportunità e favorire la democraticità della produzione, poi determinano invece una restrizione dell’offerta. Ti faccio un esempio: la nascita delle multisale ha di fatto aumentato il numero degli schermi, ad esempio in una città come Roma, però il numero di film che vengono distribuiti è parallelamente – e paradossalmente -diminuito. Adesso succede che pochi film escono in 300 copie e oscurano tutti gli altri…
Parlando e sognando di un modo per risolvere il problema dell’invisibilità, credo che l’idea di avere una “prospettiva educativa” nel senso più alto del termine, sia l’unica soluzione. Ad esempio, un “piano quadriennale” per far arrivare in molte città e molte scuole, ogni tre mesi, un pacchetto di film documentari, potrebbe creare un pubblico, creare un gusto. Si possono fare operazioni molto appetibili per il pubblico futuro, se si affina il suo gusto proponendo delle opere e una qualità di spettacolo sconosciute.
E chi lo dovrebbe fare? La televisione pubblica?
No, dovrebbe essere una cosa che incrocia l’industria cinematografica, l’associazionismo e le istituzioni. La televisione potrebbe avere un grosso peso rendendo possibile, come futuro distributore via etere o satellite, la realizzazione stessa di una serie di opere. Molto probabilmente, se la televisione pubblica rendesse possibili dei progetti con un budget adeguato, si alzerebbe la qualità delle realizzazioni e verrebbe finalmente attaccato, in maniera virtuosa per tutti, il precariato di chi lavora in questo campo.
C’è un fondo dello stato per la realizzazione di documentari?
È molto difficile ottenerlo, però adesso è possibile presentare progetti di film documentari. Questa è una piccola conquista dell’Associazione dei Documentaristi Italiani, Doc.it. Potrebbe essere il perno su cui ruota una vasta campagna di sensibilizzazione sul cinema documentario.
Il problema spesso però, almeno per il cinema di fiction, non è ottenere un finanziamento, ma trovare una distribuzione: 1 su 5 film esce in sala..
Ma i distributori in Italia quanti sono?
In effetti noi abbiamo appurato che in Italia sono sostanzialmente due grossi, la 01 e Medusa (con l’appendice di De Laurentiis), che prendono il 95% del mercato e decidono loro, di fatto, quali film escono e soprattutto quali film hanno successo perché distribuire un film in 350 copie significa che
verrà sicuramente visto… si sa che dipende tutto dalla promozione.
Il fatto che ci sia una dimensione monopolistica nel cinema italiano è molto pesante.
Il rapporto con la realtà possibile della domanda è però interessante. Tanto che Doc-it vorrebbe far entrare nell’associazione anche le associazioni dei consumatori, come portatori dell’idea che se si producessero davvero delle cose diverse, il pubblico ci sarebbe.
Il dato scoraggiante è che se anche un colosso anche economico come la Feltrinelli non tenta di farlo con i grandi mezzi di cui dispone..
Il caso dell’invisibilità italiana del mio film è una questione etica e di mancato buon senso, esemplificativa del malcostume italiano. Allo stesso tempo è l’incomprensibile scelta di un produttore, che decide di autoboicottarsi. Zero correttezza zero businnes.