[***] – I ragazzi stanno bene della regista Lisa Cholodenko è esattamente quel tipo di film che ti aspetti venga fuori con successo da un Festival come il Sundance: tematiche sociali e indie, più o meno d’attualità, a far da sfondo ad una commedia supportata da impeccabili interpretazioni e soprattutto ben scritta. Il film della regista statunitense non delude le aspettative in nessuno dei citati punti. Disorienta invece quando si tenta di analizzarlo dal punto di vista ‘politico’.
Una cosa richiede di essere messa subito in chiaro: i meccanismi della commedia di I ragazzi stanno bene vertono tutti sulla rappresentazione della coppia lesbo di genitori con figli e sulla atipicità del nucleo famigliare protagonista. Tolto il retroscena omosessuale, la pellicola perderebbe qualsiasi pretesto verso le felici e divertenti soluzioni narrative di cui è ricco il film. La possibilità di giocare con una coppia di madri sposate con figli ai fini dell’effetto commedia sul pubblico, lunga la dice, senza giudizi di valore, sull’attuale stato politico-sociale del tema affrontato, Stati Uniti compreso, luogo in cui la pellicola ha attenuto ottimi riscontri.
Se regista, sceneggiatore e interpreti si sono affrettati nel dichiarare, senza i dovuti distinguo, che una famiglia omosex con prole in provetta al seguito è cosa abbastanza normale, è bene precisare che questa normalità sarà sicuramente tale per un determinato segmento sociale, e quello dei professionisti e creativi del cinema e dell’arte in generale ne è certamente uno, ma non per buona parte della società. Detto questo, resta più facile analizzare cos’è I ragazzi stanno bene: un mondo inedito ai più, rappresentato in maniera naturale e convenzionale da chi (regista, sceneggiatore…) è immerso e vive abitualmente in quell’universo.
Annette Bening e Julianne Moore sono Nic e Jules, coppia lesbica sposata che vive da anni con i loro due figli nati grazie al seme dello stesso donatore. Ad un certo punto, da una ricerca fatta dagli stessi figli, arriva il padre biologico (Mark Ruffalo la cui interpretazione spicca su tutti) a portare un po’ di scompiglio. Quel che viene fuori è un film assolutamente godibile, divertente, intelligente a tratti, che scorre liscio con pochissime sbavature grazie ai sapienti sceneggiatori che proseguono il buon nome dell’arte dello script tipico statunitense… immaginate in che disastro di scrittura si tramuterebbe il tentativo di realizzare qualcosa di simile qui da noi!
Per stessa ammissione di regista e sceneggiatori, le intenzioni erano quelle di realizzare un film mainstream su madri con figli e donatori di sperma, e il quadro in cui gli ‘inconsueti’ personaggi vengono calati è proprio quello di una tipica famiglia media americana, ricelebrata anche nel finale, con i loro problemi di educazione, di figli che crescono, di desiderio sessuale che fisiologicamente cala col passare del tempo, di ansie, preoccupazioni, insoddisfazioni lavorative, e nessuno scompenso emotivo/caratteriale da parte della prole per la mancanza della figura maschile paterna. Il temuto riconoscimento del matrimonio omosessuale si risolverebbe in nient’altro che lo stesso modello famigliare tradizionale?
La pellicola, in definitiva, non ha alcuna intenzione di analizzare, criticare o ridefinire il concetto convenzionale di famiglia, o di ragionare sulla mancanza di una figura maschile all’interno del processo educativo (il personaggio di Paul dopotutto sembra che arrivi e passi più per esigenze narrative che altro). Non vuole porsi domande in merito agli effetti, qualora vi fossero, sui figli cresciuti all’interno di una simile coppia, ancor meno cerca di fornire spunti di dibattito sull’inseminazione artificiale e tutte le tecniche di procreazione assistita. Difficile affermare se tutto questo sia pregio o difetto della pellicola. Come difficile è definire se I ragazzi stanno bene sia una pellicola reazionaria o progressista, domanda che inevitabilmente ci si pone a proiezione ultimata. Alla fine viene voglia di pensare che poco importi, resta certo che riuscire in un simile equilibrio (incluso l’emanare indeterminatezza sulla sua valenza politica) è senz’altro una prova di scenaggiatura di grande maestria, non poca cosa.
Perfettamente d’accordo. Direi che hollywood ha trovato il modo per rigenerare la commedia brillante (e soprattutto rassicurante). Ben scritto al punto che si dà spazio per il cambiamento. E la cacciata finale di Paul (“la famiglia è mia e tu sei solo un cazzo di intruso”) è di una becerità e di una violenza agghiacciante. Ci mancava solo il fucile nello sgabuzzino. Almodovar è il termine (positivo) di paragone che mi viene da accostare a questo film. La regista dovrebbe solo imparare (e controllare meno). Il desiderio, in questo film politicamente correttissimo, viene mortificato e represso nell’intoccabilità dell’istituzione familiare. Alla fine è un film abbastanza reazionario. Almodovar, invece, nei suoi film dà spazio all’irriverenza e alla reale (e a tratti abissale) ambivalenza del desiderio. E comunque le due attrici insieme funzionano malissimo. La Moore sembra molto più a suo agio con l’appeal fisico del bel Ruffalo.
“ben scritto al punto che NON si dà spazio possibile al cambiamento”