Mammuth, presentato l’ultimo giorno della Berlinale, è uno di quei film che fanno vibrare per originalità, poesia e commozione tutta una selezione, creando la sorpresa e facendo soffiare un vento fresco, anticonformista, intimo e socialmente impegnato fra le quinte di produzioni cinematografiche talvolta magniloquenti e pretenziose. Il film è tornato da Berlino a mani vuote, ma è stato ricompensato dall’entusiasmo del pubblico e della critica all’uscita di questi giorni in sala in Francia. Benoît Delépine e Gustave Kervern, binomio d’eccezione nell’universo audiovisivo francese – sono animatori alla televisione della trasmissione satirica Groland, loro terra utopica d’elezione e fondatori del Festival del cinema Grolandese – continuano con Mammuth a tracciare il loro personalissimo cammino cinematografico. Inaugurata nel 2004 con Aaltra, un film in bianco e nero sulle orme di Aki Kaurismaki, la loro carriera sul grande schermo prosegue nel 2006 con Avida, una commedia metafisica, assurda e surrealista e nel 2008 con Louise Michel, il loro più grande successo commerciale finora.
Gérard Depardieu ha detto durante la conferenza stampa del film alla Berlinale che:
“ Mammuth è un film d’arte, è un po’ come se Marcel Duchamp fosse ritornato fra di noi!”. Non ha torto anche se, indubbiamente, uno degli atout maggiori del film è proprio lui. Depardieu interpreta il protagonista della vicenda, Serge Pillardos, soprannominato Mammuth, con una generosità, una sensibilità e una dolcezza mista ad una fragilità insospettata rivelandoci tutto il suo talento. Dei lunghi capelli sulle spalle, lo sguardo un po’ velato e malinconico, il corpo enorme abbandonato ai nostri sguardi, l’attore incarna alla perfezione un personaggio che sembra sopravvissuto, come per miracolo, ad un’altra epoca, una specie di animale preistorico dei nostri tempi, passato improvvisamente e quasi senza rendersene conto, dalla giovinezza all’età della pensione.
Il film si apre su una festa di commiato grottesca ed impersonale in cui Mammuth, inquadrato di spalle, ascolta il lungo discorso del padrone del mattatoio dove ha lavorato durante gli ultimi anni e riceve un puzzle come regalo d’addio. Da un giorno all’altro l’uomo si ritrova come un animale in gabbia, prigioniero fra le quattro mura di una casetta di periferia in cui vive con la moglie, Catherine, interpretata da Yolande Moreau. Pur essendo ormai in pensione scopre di non avere tutti i giustificativi per completare gli anni di anzianità richiesti: spinto dalla moglie cavalca la sua vecchia moto, una mitica Munch Mammuth e parte alla ricerca dei suoi ex datori di lavoro. Nel viaggio è assistito dal fantasma del suo primo amore – un’Isabelle Adjani inedita – morto una trentina d’anni prima in un incidente di moto, che compare di tanto in tanto per confortarlo. Il viaggio di Mammuth si dimostra ben presto inconcludente: alcune ditte sono fallite, altre sono scomparse, in altre ancora non si sono mai conservati i documenti degli impiegati. Una galleria di incontri uno più improbabile dell’altro si succedono sul suo cammino per farlo approdare infine nella casa di sua nipote, interpretata dalla straordinaria Miss Ming, una giovane artista che vive fuori dalle convenzioni, in un mondo tutto suo, fantastico e fuori norma, senza riuscire ad integrarsi all’universo del lavoro e ai suoi codici di comportamento. Mammuth, deriso e spesso disprezzato da coloro che ha incontrato per la via, troverà qui tutto l’affetto e la libertà di cui aveva bisogno e si scoprirà un’anima d’artista.
Alla fine di questa odissea Mammuth tornerà a casa senza i suoi giustificativi, ma sereno e appagato, pronto ad affrontare con fiducia il suo futuro. L’ultima scena del film, bellissima, ci mostra l’incontro fra Mammunth e sua moglie, in bagno mentre la donna si sta rasando le ascelle: l’abbraccio fra i due e il loro sguardo illuminano lo schermo di affetto e ci riscaldano il cuore.
Mammuth ci illustra con una sensibilità poetica e leggermente grottesca, strappandoci a più riprese un sorriso agrodolce, il mondo del lavoro come ciò che dovrebbe dare dignità alla gente, ma spesso finisce per avvilirla e deprimerla. Eppure i personaggi anche se amareggiati e spossati da anni di fatica e di sforzi sono mostrati in tutta la loro capacità di amare e di vivere in un mondo di tenerezza, di meraviglia e di fantasia.Quest’intervista è il risultato di un impegno collettivo: essendo stata un’intervista di gruppo le domande non seguono sempre una linea argomentativa coerente sono dettate da interessi e curiosità diverse e a volte contrastanti. Nonostante questa pluralità di approcci le risposte dei due registi sono sempre state generose, divertenti e spontanee prova di quella grande umanità che amano spesso nascondere dietro una facciata burlona ed irriverente. Delépine più posato ed analitico ha condotto il filo del discorso, Kervern, più impulsivo, ha arricchito la conversazione di aneddoti e di quel briciolo di follia sovversiva che è il marchio di fabbrica della coppia.
Qual’è il messaggio di Mammuth?
Kervern: Ciò che anima i nostri film è piuttosto un’intenzione: noi vorremmo riuscire a fare ridere la gente con dell’emozione, sembra una cosa da poco, ma non è così. Vorremmo fondere l’umore e l’emozione con la libertà: questa è la nostra meta anche se non è per niente facile arrivarci.
Delépine: Il messaggio del film, se proprio vogliamo cercarne uno, è veramente un messaggio d’amore. Mammuth, che è considerato un imbecille dai suoi ex-datori di lavoro come da molte altre persone, viene in fin dei conti salvato grazie ai tre amori della sua vita: al suo primo amore, a sua moglie che l’appoggia e l’aiuta in tutte le sue imprese ed infine a sua nipote che gli offre generosamente il suo affetto e gli fa scoprire la passione per l’arte povera.
Il carattere di Mammuth vi somiglia?
Delépine: Non saprei dire se il carattere di Mammuth ci somigli; quello che so è che l’abbiamo scritto pensando a Gérard Depardieu, ma l’abbiamo scritto con le nostre “trippe” . In questo senso c’è molto di noi stessi lì dentro come, per esempio, il timore di essere presi per degli imbecilli, ma ci sono anche tante delle nostre passioni. In fin dei conti penso che ci sia effettivamente una grande parte delle nostre vite in questo personaggio.
Avete l’impressione di avere in qualche modo “resuscitato” Gérard Depardieu con questo ruolo? Da tempo non l’avevamo visto recitare in modo così “organico”
Delépine: Il termine organico è molto appropriato per descrivere la sua interpretazione: Depardieu è di una fragilità infinita nel film. Ce n’eravamo già resi conto durante le riprese, ma quando ci siamo ritrovati in fase di montaggio ed abbiamo visto cosa ci aveva dato non potevamo crederci. Tutte le espressioni del suo volto mi sono rimaste impresse nella memoria: Gérard riesce a creare ad ogni momento qualcosa di diverso, d’incredibile, di stupefacente.
Per esempio nella scena in cui porta Anna Muglalis in braccio fuori dalla toilette il suo volto è l’impotenza fatta uomo, ma allo stesso tempo è pervaso da una tenerezza infinita. Noi siamo rimasti a bocca aperta. Il nostro scopo era quello di fargli fare qualcosa di altrettanto forte ed intenso come ai vecchi tempi.
Kervern: É buffo… ogni regista vorrebbe “resuscitare” Depardieu forse perché non se ne può più di vederlo recitare nei vari Obelix. Detto questo, la sua performance nel film non è stata solo merito nostro, è stato lui stesso a volerci dare, regalare qualcosa di sé. Se non fosse stato disposto a farlo noi non avremmo potuto farci niente.
Delépine: Gli ultimi film in cui Depardieu ci era veramente piaciuto erano stati i suoi lavori con Pialat. Abbiamo incontrato Pialat una decina d’anni fa perché gli piacevano molto le cose che facevamo alla televisione, abbiamo avuto così l’opportunità di discutere a lungo con lui e di farci spiegare il suo modo di lavorare. Ci siamo detti che avremmo dovuto tentare qualcosa di simile; ovviamente non si trattava di copiare Pialat, cosa peraltro impossibile. Abbiamo pensato che per mettere Gérard a suo agio avremmo dovuto cercare di sorprenderlo. Gli abbiamo detto: “Gérard noi cercheremo di sorprenderti ogni giorno!” E lui è stato felicissimo di sentire questa proposta. Di fatto non l’abbiamo sorpreso nel senso stretto del termine, ma abbiamo cercato di organizzare il nostro piano di lavoro in modo tale da proporgli ogni giorno dei nuovi incontri con delle persone della vera vita. All’inizio per esempio si è ritrovato nel mattatoio di un’impresa di insaccati e ha dovuto lavorare con gli operai del luogo; fra di loro è nata subito una complicità enorme. In seguito l’abbiamo introdotto nel milieu dei motociclisti e poi in un grande squat di giovani artisti indipendenti. In fin dei conti non si è mai annoiato e le cose sono andate molto bene.
Le attrici nel vostro film hanno tutte qualcosa di speciale, sono delle persone fuori dal comune. Con Yolande Moreau avevate già lavorato nel vostro film precedente, Louise Michel, come avete scoperto Miss Ming?
Delépine: Miss Ming è una poetessa che abbiamo incontrato per caso durante le riprese del nostro secondo film, Avida. L’abbiamo notata mentre stava declamando delle poesie su una spiaggia e abbiamo voluto darle un piccolo ruolo in Louise Michel. Nel film é lei, con il cranio rasato, che uccide il primo padrone. Miss Ming ha una presenza veramente incredibile sullo schermo; in questa scena si direbbe quasi che è in levitazione, sembra un’apparizione divina. Non conosciamo molte attrici capaci di fare una cosa del genere; ci siamo dunque detti che bisognava offrirle un ruolo più importante nel nostro film successivo. Miss Ming gioca il ruolo della nipote di Mammuth; anche questa volta è riuscita a stupirci. Avevamo già fatto varie riprese della scena in cui lei incontra Mammuth per la prima volta, ma non eravamo soddisfatti: c’era qualcosa di meccanico, di poco spontaneo anche se ciò accade raramente con Gérard. Abbiamo detto allora a Miss Ming di andargli incontro senza dirgli una parola e di recitato superbamente, iniziando quasi a sudare come se avesse avuto un po’ paura di lei, fragile e perplesso. Miss Ming ha ancora un’altra qualità: non teme il silenzio, è capace di metterci un tempo folle fra una frase e l’altra, al contrario delle attrici professioniste che vogliono dire il loro testo sempre di filato.
Kervern: Effettivamente noi facciamo dei film con delle persone fuori dal comune. La stessa Isabelle Adjani appartiene a questa categoria: ultimamente non la si vedeva più così spesso al cinema. Le abbiamo offerto il ruolo del primo amore di Mammuth prima che lei recitasse nella Journée de la Jupe. Cerchiamo semplicemente di mettere delle persone interessanti nei nostri film. In fondo per noi la vita è più importante del cinema!
In Mammuth ogni inquadratura è piena di dettagli significanti anche in secondo piano, come avete costruito la messa in scena?
Delépine: Nel cinema, al contrario di quanto succede alla televisione, l’immagine ha delle dimensioni enormi; il nostro stile consiste nel fare dei piani fissi e spesso dei piani sequenza. Non ci piacciono i film in cui le comparse se ne stanno lì senza fare niente; cerchiamo sempre di far fare qualcosa d’interessante a tutti anche se si tratta magari solo di piccole azioni in secondo piano.
All’interno dell’inquadratura sta poi allo spettatore di scegliere un dettaglio piuttosto che un altro, di fissare la sua attenzione su un attore piuttosto che su un altro o di seguire l’azione in secondo piano. Per questo nessuno vede le stesse cose nei nostri film e va benissimo così: il cinema è proprio questo!
Nel vostro film la qualità dell’immagine è particolarmente suggestiva: che tipo di pellicola avete utilizzato?
Delépine: Nella scelta della pellicola siamo stati influenzati dal nostro amore per il bianco e nero. I nostri due primi film li abbiamo girati in bianco e nero, siamo poi passati al colore per il nostro terzo film, Louise Michel, ma non siamo rimasti soddisfatti. La qualità dell’immagine che avevamo ottenuto utilizzando una pellicola super 16 era troppo realista, poteva forse ancora andare bene per Louise Michel che era un film a sfondo sociale, ma sentivamo di aver perso la qualità poetica dei nostri due primi film. In un primo tempo abbiamo pensato di girare Mammuth in super 8, ma ci siamo resi conto che la grana dell’immagine sarebbe risultata eccessivamente grossa. Discutendone con il nostro direttore di fotografia Hugues Poulain, abbiamo deciso di buttarci su una particolare pellicola super16 detta “inversible” pur sapendo di andare in contro a delle difficoltà considerevoli perché questo tipo di pellicola non funziona più quando viene a mancare la luce del giorno. La super 16 “inversible” non era mai stata utilizzata prima per fare cinema. si tratta di una pellicola usata negli anni ’60-’70 per filmare le notizie del telegiornale. A conti fatti in Mammuth ci sono tre qualità di pellicola: la maggior parte del film è stata girata in super 16 “inversible” ed è ciò che ci dà dei colori meravigliosi e insoliti, abbiamo poi utilizzato del super 8 quando si trattava dello sguardo soggettivo di Isabelle Adjani ed infine, purtroppo, abbiamo dovuto ricorrere anche alla pellicola normale per le scene notturne trattandola in seguito con dei bagni successivi per cercare di assimilarla il più possibile alla qualità della super 16 “inversible”. Siamo veramente contenti del risultato perché c’è della poesia nelle immagini.
L’amore per l’universo dei fumetti non si riflette solo nella vostra propensione per l’immagine fissa e i lunghi piani sequenza, ma anche nella composizione del cast. In Mammuth sono presenti alcuni fra i nomi più in vista della creazione grafica francese: Blunch, vincitore del prestigioso festival di Angoulême, o Siné, disegnatore satirico, mitico e controverso.
Kervern: Cerchiamo sempre di coinvolgere degli artisti nei nostri film, spesso sono degli amici come Blutch o Sinè. A volte invitiamo degli artisti che ci piacciono senza conoscerli personalmente; è stato così nel cas
o di Dick Annegarn, un cantante olandese, che interpreta nel film il ruolo del becchino. É il peggiore attore del mondo, ma non fa nulla! (ride) Non facciamo mai dei provini con i nostri amici-attori per cui a volte abbiamo delle buone sorprese e a volte delle cattive sorprese.
Per noi fare dei film è come gettare delle bottiglie in mare; è ciò che ci distingue dagli altri. Io sarei in grado di smettere di fare cinema domani stesso, quello che mi interessa in primo luogo é incontrare della gente. In Mammuth siamo circondati di amici.
Delépine: Vorrei citare in questo contesto qualcuno che ci sta molto a cuore: Robert Dehoux. Robert era un vecchio anarchico belga che è purtroppo venuto a mancare un anno fa, ha recitato in tutti i nostri film precedenti. Era un uomo straordinario; aveva creato “l’internationale des abrutis”, cioé l’internazionale degli imbecilli. Per noi è un punto di riferimento. Figurati che era riuscito a paralizzare per un giorno intero la piazza finanziaria di Bruxelles con una scatola di fiammiferi! Aveva bloccato con i cerini le serrature di tutte le banche della città costringendole così a rimanere chiuse!
Kervern: Siamo fatti così… Per esempio Depardieu non lo conoscevamo prima di fare il film, siamo semplicemente andati a vederlo per proporgli la nostra idea e lui ha accettato. Con altri però ci è andata male, come per esempio con David Lynch al quale volevamo proporre una parte nel nostro film Avida. Sapevamo che Lynch era a Parigi per qualche giorno e volevamo semplicemente lasciargli la sceneggiatura del film all’hotel perché la leggesse. Ci siamo imbattuti alla reception in un impiegato particolarmente gentile che ha voluto aiutarci. Ha dunque chiamato Lynch per telefono nella sua stanza e ci ha passato la cornetta: noi ci siamo ritrovati nel panico perché parliamo malissimo l’inglese, Benoît gli ha detto più o meno: “ We are two french directors, do you want to play in our film Avida? “ La risposta molto secca di Lynch è stata: “No!” Ma Benoît ha capito “Now!” cioè adesso e gli ha risposto: “Ok! We come up to see you!”. Ovviamente Lynch è montato su tutte le furie e si è messo a urlare: “No! No! No! I said no!!!”. Insomma é andata a finire così… (ride). Alla fine è stato Jean Claude Carrière ad interpretare il ruolo previsto per Lynch e se l’é cavata piuttosto bene!
Qual’è la vostra scena preferita nel film?
Délepine: La mia scena preferita è il finale in cui Mammuth torna a casa dopo il suo lungo viaggio e ritrova sua moglie, Yolande Moreau, in bagno mentre si sta depilando le ascelle. Per me lo sguardo che Yolande gli rivolge in quel momento ha qualcosa di meraviglioso.
Kervern: La scena che più mi ha toccato nel film è quella in cui gli uomini si mettono a piangere nel ristorante. É assai raro vedere degli uomini piangere al cinema. Nella scena di cui parlo sono in quattro a piangere, piangono pensando alla loro vita e al loro lavoro. Di fatto diventa sempre più difficile realizzare se stessi nel lavoro; perfino gli agenti di borsa sono infelici… (ride) Dunque la situazione è grave!
Mammuth ci offre una visione molto amara del mondo del lavoro, perché?
Delépine: Abbiamo effettivamente fatto un film sul mondo del lavoro perché in Francia in questo momento ci sono sempre meno persone che riescono a trovare un lavoro e chi d’altra parte un lavoro ce l’ha è costretto a lavorare sempre di più. É una situazione disastrosa per tutti quanti. É proprio questa tensione paradossale che abbiamo cercato di mostrare nel nostro film; in fin dei conti tutta la gente che Mammuth incontra durante il suo viaggio è integrata nel mondo del lavoro ma, nonostante ciò, non è veramente felice, purtroppo.
Delépine e Kervern, uomini politici, come sarebbero?
Delépine: Io avrei un progetto di rivoluzione, ma è difficile da organizzare.
Sarebbe più complicato che fare un film?
Delépine: In realtà no, basterebbe mettercisi. Insomma: bisognerebbe poter votare sempre, tutti i giorni, tanto per l’impresa per cui si lavora che per il proprio paese, la propria regione e la propria nazione a condizione di avere una connessione internet sicura al cento per cento. Ogni sera rientrando a casa dovremmo avere una decina di proposizioni su cui poter deliberare. Questa sarebbe a mio avviso una democrazia assoluta perché ognuno di noi sarebbe personalmente responsabile delle sue scelte. Adesso invece siamo obbligati a votare una volta ogni cinque anni della gente che fa quello che vuole alle nostre spalle e che a volte fa addirittura il contrario di quello che aveva promesso, ma questo è un discorso molto lungo.
Mammuth sembra più malinconico rispetto ai vostri film precedenti: i personaggi del film sono spesso impotenti e vulnerabili.
Delépine: I personaggi di Mammut non hanno sempre la forza, ma hanno sempre la dignità. É stato così anche nel nostro primo film Aaltra che abbiamo realizzato per andare all’incontro di Aki Kaurismaki in Finlandia proprio perché amiamo il suo cinema fatto di gente semplice che riesce a mantenere sempre la sua dignità nelle traversie della vita. É proprio questo atteggiamento di fronte alla vita che abbiamo sempre mostrato nei nostri film e che vorremo continuare a mostrare.
Qualche parola per concludere?
Délepine: Il film è dedicato a Guillome Depardieu che è scomparso un anno e mezzo fa a soli 37 anni. Lo conoscevamo e gli volevamo molto bene: la sua morte ci ha sconvolti. Durante le riprese Gérard ci ha detto che il ruolo di Mammuth lo faceva spesso pensare a suo padre, ma noi sul suo volto abbiamo visto delle espressioni che ci ricordavano suo figlio.