Con Here, il suo quarto lungometraggio, vincitore del Premio Encounters alla 73ª Berlinale, Bas Devos ha creato un film luminoso, delicato e sottile che c’immerge in un senso di meraviglia. Il regista belga dimostra che la magia del cinema può nascere da poche cose semplici ma essenziali; il suo sguardo punta dritto al cuore dell’immagine, rivelando il prodigioso incanto della vita quotidiana. In una Bruxelles in cui l’estate, spesso piovosa, crea una dolce malinconia, il regista c’invita a vagare per la città, di giorno e di notte, come Stefan, il suo protagonista, un giovane operaio rumeno affetto da insonnia, lungo un tragitto in cui l’incontro con gli altri e con l’ambiente si trasforma in una profonda ricerca di sé. Ciò che colpisce fin dall’inizio è il tono pacato con cui Here s’insedia. In un primo tempo le inquadrature si susseguono senza svelare molto: un campo largo di edifici in un ambiente urbano ripreso attraverso le foglie di un albero è seguito da un secondo campo largo degli stessi edifici da un’angolazione diversa. Solo quando sentiamo il rumore di un cantiere in costruzione iniziamo a sospettare che la storia che stiamo per vedere s’insedierà in questo habitat. Continuando il suo approccio tranquillo e misurato, l’inquadratura successiva ci mostra l’interno di un grande edificio in costruzione. Siamo nel bel mezzo del cantiere; delle sagome furtive di operai appaiono tra le porte, salgono e scendono di corsa le scale e si percepisce un borbottio indistinto. Poi, con un taglio netto, il luogo cambia: vediamo un gruppo di operai in pausa pranzo sotto un albero vicino al cantiere. Mangiano dei panini, chiacchierano e ridono. Si percepisce chiaramente la loro gioia e la loro eccitazione. Con l’estate alle porte, questa è l’ultima giornata lavorativa prima che i cantieri chiudano e tutti vadano in vacanza. Poche ore dopo, la giornata lavorativa è finita. La telecamera fissa tre operai seduti sul sedile posteriore di un autobus sulla via di casa. Nel frattempo sono passati quattro minuti e non abbiamo ancora sentito una sola riga di dialogo, eppure la vita di questi uomini ci è stata presentata con una rara precisione. I tre operai, due rumeni tra cui Stefan, e un uomo di origine africana, si salutano calorosamente augurandosi buone vacanze. Ammirevolmente interpretato da Stefan Gota, Stefan è un ragazzo cordiale dallo sguardo limpido. Dopo essersi accomiatato dai suoi colleghi, Stefan entra nel suo appartamento ed apre subito il frigorifero che deve svuotare prima di tornare in Romania. Con gli avanzi dei cibi che vi trova preparerà una zuppa in una grande pentola. Versata in diversi recipienti, questa zuppa diventerà il motore dell’azione, perché Stefan la porterà di seguito alle varie persone del suo entourage, salutandole prima di tornare in Romania per le ferie. La storia di Here che ci conquisterà con il suo ritmo posato, la benevolenza dei suoi personaggi e la loro autentica curiosità per gli altri e il mondo che li circonda, inizia così in una maniera pacata che, a prima vista, non ha nulla di spettacolare. Caratterizzato da un’immagine vivida e brillante, girato in pellicola e stupendamente fotografato da Grimm Vandekerckhove, l’ambiente che Bas Devos ci svela in Here è sorprendente; si tratta di un mondo vegetale rigoglioso ed insospettato che si estende negli interstizi della città, malgrado l’asfalto onnipresente. La natura resiste e reclama i suoi diritti, sfruttando ogni minimo spazio. Nel suo girovagare notturno, Stefan scopre degli spazi verdi inattesi, dei rigogliosi giardini comunali, un bosco ai margini della città e si sofferma sulla presenza del muschio, meravigliosa e tenace, che crea tutto un mondo a sé. Il cammino del protagonista insonne, si snoda come un incantesimo mentre girovaga di notte per Bruxelles, una città che nell’oscurità dispiega tutto il suo fascino misterioso. Se la zuppa diventa una specie di filo d’Arianna che punteggia le peregrinazioni del protagonista e ci permette di conoscere il suo entourage, nulla è schematico in questo film. Più che causa ed effetto è il caso a creare degli incontri. In una sorta di epifania delicata e gioiosa, un acquazzone farà si che il destino di Stefan s’incroci con quello di Shuxiu -la luminosa Liyo Gong- una giovane botanista di origine cinese. Stefan e Shuxiu, sono immediatamente connessi per un’affinità elettiva. Senza essere soli, entrambi sono degli esseri solitari, dei sognatori persi dietro le loro chimere, assorti nell’osservazione attenta e curiosa del mondo. Entrambi sanno soffermarsi sui dettagli, su ciò che è inappariscente. Stefan ritrova nella tasca dei suoi pantaloni une serie di semi di natura diversa e si domanda come possano essere atterrati proprio li e che semi siano. Shuxiu, che ha fatto dello studio dei muschi la sua professione, sa vedere nella struttura di questo vegetale umile e così corrente da non venire mai veramente notato, delle intere foreste, estremamente complesse ed affascinanti. Questa curiosità va di pari passo con un’apertura ed un atteggiamento benevolo che si esprime semplicemente nel prendersi cura degli altri, nell’essere all’ascolto e sempre disponibili. Eppure, dietro il loro fare mite e bonario, entrambi portano in sé un malessere. Stefan vaga in preda all’insonnia, roso da preoccupazioni che non verranno mai esplicitate pienamente mentre Xiulu, nuota in un bilinguismo e in una duplicità culturale che si trasforma nel sonno in un incubo dove non ricorda più i nomi delle cose che la circondano. Da sempre sensibile ai problemi dell’immigrazione Bas Devos li tratteggia anche in questo film in maniera sottile e pertinente anche attraverso una galleria di personaggi secondari fra cui spicca quello dell’amico meccanico interpretato dal grande attore rumeno Teodor Corban, recentemente scomparso. Il tono posato della pellicola e il suo ritmo tranquillo ci offrono una spiaggia di respirazione dove il nostro sguardo si posa, di volta in volta, sulle inquadrature fisse, di un rigore assoluto per sondarne il senso e la profondità. Anche il suono, dosato con parsimonia, privilegia la concentrazione e sottolinea l’intensità di ogni singolo istante. Bas Devos lavora con una straordinaria economia di mezzi estetici: ogni scena, ogni taglio di montaggio risponde ad un’esigenza e ad un pensiero ben definito. Con una lucidità straordinaria che associa presa sul reale e poesia, il regista punta all’essenziale. Sensibile e profondo nella sua elegante sobrietà Here, è una vera gemma, un delicato capolavoro che c’incanta, l’opera di un maestro.