Hancock non è un film. Non è un cartone animato. Non è un fumetto. Non è una favola. È un minestrone di tutte queste cose insieme, i cui ingredienti si prestano ad un’analisi non tanto cinematografica – che lo boccerebbe – o artistica – che non lo prenderebbe neanche in considerazione – quanto sociologica e commerciale. Scontato è il pubblico al botteghino con attori del calibro di Will Smith, Charlize Theron e Jason Bateman, come il confezionamento digitale delle scene di volo del supereroe e le varie distruzioni che la sua sbadataggine provoca in una Los Angeles sorpresa, al cospetto di un barbone alcolizzato che combatte i cattivi.
Hancock infatti è un Superman del XXI secolo che non ha più nulla di somigliante con i suoi antenati: è un relitto sociale buttato su una panchina fra bottiglie vuote di birra. È maleducato, scontroso e violento, puzza e i suoi vestiti somigliano più a quelli di un mendicante che a quelli di un eroe. Inoltre soffre, come vuole la tradizione, della “solitudine dei numeri primi”- tanto per citare un altro titolo che fa incassi, ma in libreria – sebbene in modo poco professionale e dignitoso: vomitando parolacce e affogando il dolore nell’alcool. Quando Hancock salva la vita a Ray Embrey (Jason Bateman), dirigente di una società di pubbliche relazioni – padre affettuoso e marito modello della Theron – questi rendendosi conto che il comportamento dell’eroe allontana le persone da lui, perché viviamo in una società dove l’abito – non solo come abbigliamento ma anche gestualità, modo di parlare – è più importante del contenuto e dei gesti eroici, decide di aiutarlo a “civilizzarsi”. A piegarsi alla società dell’immagine per contribuire a migliorarla, pur utilizzandone gli strumenti comunicativi per quanto superficiali e mediocri.
È a questo punto che lo spettatore si ritrova a ridere di una pellicola che si trasforma in commedia comica – perdendo quel po’ di fascino assurdo che la prima parte del film conservava – con Hancock-Smith imbalsamato in una tuta nera attillata e lucente a fare il verso agli antenati Uomo Ragno e Batman. Un Ray sfigato e buonista e una Theron che da dolce mogliettina si trasforma anche lei nell’imitazione aggressiva di una Cat Woman/Lara Croft dai super poteri. Scavando sotto l’inutile e costoso apparato tecnologico necessario per realizzare questa pellicola, troviamo tre attori capaci di dare un volto anche al non-senso e alla stupidità, di sollevare qualche riflessione sull’eroe decadente del 2008 e – per quanto scontate – sull’amore.
Paradossalmente infatti, il film di Peter Berg è anche una storia d’amore e un invito a focalizzare il suo potere distruttivo, l’onda delle emozioni che rendono fragili o, forse, semplicemente umani. Il vero amore indebolisce e uccide o come canta Gianna Nannini “è cannibale”. Per questo coloro, come i super eroi – anche se in crisi epocale ed esistenziale – che hanno una missione per salvare l’umanità, non possono concedersi lo smarrimento nell’Altro, l’appartenenza che annulla e confonde. Resta allo spettatore però l’arduo compito di aggrapparsi a questi pensieri filosofico-sociologici-esistenziali prima di scivolare nella spirale da videogioco di combattimenti aerei tra grattacieli, eroi che resuscitano e un quadretto finale con tanto di luna tatuata con un cuore rosso.
Complimenti alla ottima recensione del film… vedere un film e poi leggere la recensione dello stesso fatta da professionisti o comunque da appassionati è veramente educativo ed interessante!
Grazie alla redazione di schermaglie.