Di Maria Giovanna Vagenas/

Güeros di Alonso Ruizpalacios  dopo il successo di Berlino e del Festival del Cine Español arriva al Cinema Detour di Roma.

“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione” dice una scritta in stampatello su un muro dell’UNAM, l’Università autonoma di Città del Messico, occupata da mesi. Mentre la cinepresa segue i passi dei quattro eroi della vicenda; Tomàs, Federico detto Sombra, Santos e Ana fra l’agitazione dell’assemblea generale, i corridoi brulicanti di attività, le classi convertite in dormitorio e una festa nel cortile dell’edificio sfruttando le infinte sfumature di un bianco e nero morbido e leggermente brumoso, la banda sonora -in completo contrasto con le immagini- ci trasporta lontano sulle note struggenti di una canzone messicana degli anni 50: Azul, scritta dal mitico Augustin Lara per la voce di Toña la Negra.

La melodia di Azul continua a risuonare lungamente nella mente di chi ha visto Güeros,  opera prima del messicano Alonso Ruizpalacios, un piccolo capolavoro melanconico e poetico, pieno di verve e d’ironia, ricompensato alla 64 edizione del Festival di Berlino con il premio per la migliore opera prima e ora in sala al cinema Farnese di Roma in occasione del Festival del Cine Español (5-10 maggio 2016).
Esplorazione dell’anima tormentata del suo protagonista, Sombra, e di quella dei suoi compagni d’avventura, Güeros c’imbarca in un viaggio che è insieme road-movie e rito iniziatico, alla ricerca di un musicista straordinario scomparso nell’oblio totale; il fantomatico Epigmenio Cruz che- come vuole un mito metropolitano – con la sua arte avrebbe fatto piangere Bob Dylan.
Risolutamente controcorrente rispetto ai contenuti e allo stile tipici del cinema messicano di questi ultimi anni in cui la violenza onnipresente viene spesso rappresentata attraverso un esacerbato espressionismo visuale,  Alonso Ruizpalacios decide di raccontarci una storia  intima e nostalgica servendosi di un linguaggio memore della nouvelle vague. Regista, sceneggiatore e attore lui stesso, Ruizpalacios indaga con uno sguardo perspicace e lirico la realtà messicana;  la storia si svolge in un passato recente –  siamo nel 1999 – e ha un sapore vagamente autobiografico che si manifesta nell’autenticità dei dettagli della messa in scena e nell’atteggiamento profondamente partecipe con cui il cineasta, nato nel 1978, guarda verso quelli che sono stati gli anni della sua adolescenza e prima gioventù.
La costruzione della trama gioca su una serie di piccole ellissi che dinamizzano la tensione narrativa dalla prima -sorprendente- sequenza della pellicola fino al suo ultimo fotogramma. Il film si apre in media res: una giovane donna, in preda all’agitazione, cerca di vestirsi e di raccogliere quattro cose da portar via in fretta e furia mentre il telefono squilla senza tregua e il suo bebè urla a squarciagola. Nel frattempo, sul terrazzo del caseggiato, un ragazzino si appresta a gettare una bomba d’acqua su qualche sfortunato passante. Mentre sta spingendo affannata la carrozzella per fuggire, probabilmente, da un marito violento, la donna viene colpita in pieno.
Contro ogni aspettativa la protagonista della storia non è lei ma l’artefice del guaio: Tomàs, un adolescente timido e riservato, capelli biondi ed occhi azzurri. Il “güero” del titolo è lui. Espressione tipicamente messicana, “güero” definisce infatti una persona di pelle chiara ma, nel contesto di un paese dove le differenze razziali sono segno di appartenenza sociale, è un termine usato anche per indicare l’appartenenza di qualcuno alla classe dominante.  Nonostante il suo aspetto, Tomàs è figlio di una vedova che lavora duro per elevare i due figli: Tomàs appunto e Federico, che studia  a Città del Messico.
Esasperata dall’ultimo exploit del figlio la donna decide di mandarlo per qualche tempo da suo fratello nella speranza che questi riesca a tenerlo a bada. Scappato sulla spiaggia per sfuggire alla collera dei vicini, Tomàs guarda verso il largo ascoltando la sua cassetta preferita appartenuta, un tempo, a suo padre: sono le canzoni del leggendario Epigmenio Cruz. “Non sapevo che tu ascoltassi questa musica” gli dice dolcemente la madre che l’ha raggiunto nel frattempo per annunciargli la sua decisione.
Inaspettatamente la “cassetta” di Epigmenio Cruz, diventerà il filo conduttore del film: la sua musica però resterà per noi un mistero.
Giocando abilmente con i codici della colonna sonora, complessa e particolarmente inventiva, il regista taglia il suono ogniqualvolta Tomàs o qualcuno degli altri protagonisti infila le cuffie del walkmann per sentire la musica di Epigmenio: le sue melodie e i suoi testi resteranno, com’è giusto che sia, nel dominio dell’immaginario.
Il film rende in realtà omaggio a un altro grande e ben reale musicista messicano, il già citato Augustin Lara (1900-1970) -le cui canzoni ne compongono la colonna sonora-  originario di Veracruz, città in cui inizia anche la storia di Tomàs. Sul filo di quest’affascinante anacronismo musicale, Alonso Ruizpalacios c’invita ad attraversare il mondo dolente ma candido e pieno di aspettative dei suoi giovani protagonisti.
Giunto a Città del Messico Tomàs si troverà di fronte ad una sorpresa: suo fratello Federico detto Sombra, cioè ombra a causa della sua pelle scura, è completamente alla deriva. Apatico e indolente vive chiuso da mesi in un appartamento che condivide con un compagno di corso, Santos, rubando elettricità dai vicini, passando le sue giornate ad ammazzare il tempo con maldestri giochi di carte, attanagliato da crisi di panico ricorrenti, aspettando la fine dell’occupazione della sua università facendo, come lui stesso scherzosamente dice, “sciopero dallo sciopero”. Sarà Tomàs alla fine ad assumere il ruolo di “fratello maggiore” riscattando Sombra dal suo atteggiamento disfattista il giorno in cui scoprirà sul giornale un trafiletto con la notizia che Epigmenio Cruz è stato ricoverato d’urgenza in un ospedale della città.
Piuttosto che rassegnarsi alla prossima fine del suo idolo, Tomàs decide di andare a trovarlo per rendergli un ultimo omaggio. Sombra accetta di buon grado di dargli una mano: Epigmenio è anche il suo eroe e ben di più costituisce un legame segreto che lo unisce da sempre a suo padre, fan irriducibile del musicista.
Questa decisione porterà i tre eroi, o meglio anti-eroi, della vicenda a imbarcarsi in un viaggio che attraverserà in lungo ed in largo Città del Messico, luogo sconfinato e tentacolare, labirintico e straordinario. Alonso Ruizpalacios traccia una cartografia della città lontano da cliché scontati e luoghi comuni. I diversi episodi della vicenda si articolano intorno alla toponimia: ponente, città universitaria, centro, oriente.
Nel corso di ventiquattr’ore i protagonisti percorreranno sulle strade della metropoli chilometri e chilometri per raggiungere la loro meta che non sarà altro che la conoscenza di se stessi e il passaggio all’età adulta. Come ogni rito iniziatico anche questo viaggio sarà pieno di rischi. Ostacoli e pericoli si prospettano letteralmente a ogni angolo di strada, come quando i protagonisti si perdono in un quartiere malfamato e devono prendere a bordo un ragazzo della zona, aggressivo e potenzialmente pericoloso o come quando un ragazzino, in agguato su un ponte con un grosso mattone di cemento, aspetta il momento buono per lasciarlo cadere sul parabrezza di un a macchina di passaggio e colpisce proprio la loro.
Potenzialmente esplosiva è anche la situazione all’interno dell’Unam dove Sombra e i suoi compagni rischiano di venire aggrediti dagli studenti in sciopero per non avere preso parte alla protesta. Anche da quest’impasse, usciranno sani e salvi portando con loro una ragazza, Ana, un’attivista che gestisce la radio libera dell’università e di cui  Sombra è segretamente innamorato.
Alternando momenti d’azione, colpi di scena e una serie di dialoghi pieni d’humor e autoderisione – ad un certo punto perfino il regista farà una breve apparizione nella veste di uno studente criticando la sceneggiatura del film stesso-  il ritmo sostenuto della pellicola mescola serietà e spensieratezza mantenendo vivo il nostro interesse dall’inizio fino alla fine.
In questa storia riccamente articolata Ruizpalacios fa convergere anche tutto un malessere politico e sociale; la lotta di classe, le differenze razziali e l’ingiustizia sociale trapelano implicitamente da ogni scena ma il suo punto di vista vuole essere conciliante.
Il piccolo gruppo dei suoi protagonisti ne è una prova, i due fratelli sono completamente diversi; Sombra ha i tratti di un indio e Tomàs è, appunto un güero, Sergio è anche lui di pelle chiara e Ana, nonostante le sue velleità rivoluzionarie, appartiene ad una famiglia della borghesia colta.  In questo melting pot folle e straordinario che è Città del Messico il regista crede che vivere insieme gli uni con gli altri sia possibile.
Il film si chiude con la scena di una manifestazione studentesca: Sombra, ormai adulto e responsabile, insieme ad Ana, il suo amore, si unisce al gruppo in marcia.
Memore dell’ultimo fotogramma de I Quattrocento colpi di Truffaut la cinepresa di Alonso Ruizpalacios si ferma sul volto radioso di Tenoch Orta, l’attore che interpreta magistralmente Sombra, fissando il suo sguardo fermo e pieno di speranza.

One Reply to “Güeros di Alonso Ruizpalacios al Detour di Roma”

  1. Molto mi è piaciuto GUEROS, per la fotografia, la sceneggiatura, i personaggi sospesi tra realtà e fantasia, delirio rabbia e felicità estatica militante.
    Dal buio caldo illuminato a sprazzi del DF al luminoso freddo nordico..caldeggio ma non so se sperare in una recensione a MaLoute agghiacciante fiabesco-sconcertante, verista metaforico degenerato psicopatologico. Alle meravigliose stranianti dune ‘pres pas de Calais, chez les Chtis’ (‘giù al nord’ quindi, con la stessa sensazione dismagata e debosciante che provo quando a Milano mi trovo) : Fabrice Luchini***Valeria Brunitedeschi**Juliette Binoche* e comprimari vari**

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