Beatrice è un meccanico. Beatrice è un meccanico ed ama Marianna. Beatrice è un meccanico ama Marianna, ma il suo vero nome è Pino.
La storia è stata presentata al Tg3, anche Repubblica le ha dedicato una pagina intera la scorsa settimana. Ma di cosa stiamo parlando? E’ molto semplice: di una storia d’amore. Una storia d’amore tuttavia ancor più preziosa se vista nel contesto italiota, dove nemmeno un’equanime educazione all’omosessualità nelle scuole riesce a rompere il muro del perbenismo e dell’ipocrisia poiché vista come “offensiva” verso la “famiglia tradizionale” – indovinatene la fonte cattolica e conservatrice? Ma tornando alla cronaca, che merita tutta la nostra attenzione e che la regista racconta con estremo candore, si può sicuramente affermare che Fuoristrada è il documento di un inno all’amore e alla vita.
Pino, che si trasforma in Beatrice, è fondamentalmente un uomo che sa amare, che capisce in ogni modo che, per poterlo fare bene, bisogna iniziare da noi stessi. Egli è un giovane meccanico che, come tanti, mette su famiglia a Roma, dove lavora con passione e cresce una figlia. Un giorno qualunque torna a casa ed incappa in un’amara situazione: sorprende sua moglie con un altro uomo, loro due chiusi nella camera da letto. Sarà forse questo turbamento il carburante necessario ad indurre Pino al cambiamento? Lui dichiara di aver voluto vestire da sempre abiti femminili. Riflette pure sulla sua realtà da ultimo figlio, quando sua madre avrebbe desiderato tanto una femmina. Al di là di pure supposizioni e psicologismi, a conti fatti abbiamo di fronte un individuo che, all’improvviso, inizia una mutazione (un soggetto ideale per i lavori di una fotografa come Nan Goldin, di cui consigliamo la mostra Scophofilia in questi giorni alla Galleria Gogosian di Roma). Bastano poche iniezioni di ormoni perché a Pino cresca un bel seno, ed è sufficiente che i capelli si allunghino un po’ perché vengano tinti e tagliati con cura. Basta indossare abiti femminili ed il gioco è fatto. Pino sceglie anche il nome: Beatrice, realizzando così il sogno di diventare donna.
Gli unici momenti nei quali Beatrice continua a ricordare Pino è quando si infila la tuta da meccanico poiché il suo amato mestiere non cambia. E così Beatrice/Pino la vediamo impegnata all’interno della sua officina mentre, con le mani sporche di grasso ma al contempo con le unghie smaltate, discorre delle difficoltà in corso d’opera di fronte ad un motore. E poi ci sono le gare con il fuoristrada, attraverso sentieri fangosi dove “Girello”, soprannome di Pino, continua a partecipare. Nella scelta difficile di questo uomo semplice, attraverso le scene e le parole del film documento, realizzato in tre settimane per un costo iniziale di 25.000,00 euro, colpisce moltissimo la grande umanità, la simpatia, sempre e comunque presente, e una profonda e saggia conoscenza della vita e dell’animo delle persone. Beatrice mette in conto che, sicuramente, perderà molti clienti, ed infatti questo avviene, sono tutti coloro che non avranno la capacità di capire il mutamento -tutti quelli paralizzati dalla paura dell’altro. “Peccato”, commenterà sinceramente la donna, “hanno perso un grande meccanico”. Ecco, sono frasi come queste che lei pronuncia con una franchezza di intenti che lascia senza parole.
E poi c’è Marianna, la badante rumena della mamma di Pino, ossia la donna bionda, alta robusta di cui lui si innamora. Perché mai Pino/Beatrice ha considerato di avere accanto un uomo, tant’è che altre precedenti storie d’amore sono state sempre con donne, almeno quelle importanti. C’è una fondamentale e coraggiosa ironia nella vita di coppia dei due che, scopriamo, amarsi con una tenerezza rara ed intensa, dove la persona Pino/Beatrice non ci mette molto, in una notte, a rincorrere la sua amata, costretta a rimpatriare nel suo paese. È Amore che parla e non ha sesso. È Amore che agisce e non ha corpo, e se un corpo si intravede è una donna, è un uomo, è entrambi o nessuno insieme. Ed è per questo che non mi imbarazza e non sbaglio se scrivo di lui, di lei, di donna, di uomo, di Beatrice, di Pino.
Nel coronamento del sentimento non manca la presenza di un figlio – di Marianna in questo caso – che Beatrice non si risparmia di portare nella sua casa, pur clandestinamente, e che crescerà insieme alla coppia ed alla vecchia madre. Non si può evitare di sottolineare le parole della mamma, molto anziana, di Beatrice. La donna ama suo figlio comunque sia, ama Marianna, che si prende cura di loro, ama quel ragazzo, Luca, che è divenuto un nipote.
L’epilogo della storia è il matrimonio. Marianna è sarta e confeziona due bellissimi abiti uguali di raso rosa per entrambe, gli stessi con i quali si presentano di fronte all’ufficiale, donna, del comune di un paesino laziale. Ci sono momenti di tensione perché la funzionaria proprio non riesce a convincersi che quei due, pur legati da un sentimento saldo, siano di sesso differente, come la legge detterebbe. Ma basta leggere i documenti e tutto si semplifica. La sera Beatrice e Marianna le sorprendiamo nel letto, vicine e tranquille, in pigiami uguali da sembrare gemelle. È inevitabile pensare alla loro notte d’amore. Si terranno solo la mano, si abbracceranno ed accarezzeranno, si baceranno con passione, faranno l’amore. Ognuna di loro due ha mantenuto il sesso che quel corpo porta con sé e attraverso il quale proveranno il rispettivo piacere. Tutto qui, sciolto l’arcano.
Quando le luci del cinema Aquila si accendono ci ritroviamo davanti Beatrice in carne ed ossa, insieme alla regista ed al produttore. Dopo un lungo applauso, scopriamo, senza meraviglia alcuna, che Beatrice è proprio quella del film: ironica, diretta, spontanea, vera. Qualcuno in sala le chiede se preferisce essere chiamata Pino o Beatrice, e lei risponde che è uguale ma, vista la sua presenza femminile, forse “sta meglio” Beatrice. C’è chi si informa su di un pezzo del motore nominato durante il film, c’è chi le chiede della mamma, una vecchietta davvero sorprendente per freschezza e flessibilità mentale, c’è chi le consiglia di prendersi cura di quella figlia, oramai grande, per cui Beatrice soffre un po’ avendola abbandonata da piccola; c’è pure chi le chiede perché sua moglie non è venuta lì quella sera. E Beatrice ci confessa che Marianna si è operata ed è dovuta tornare nel suo paese, ma verrà presto e lei le racconterà di quanto calore, durante questa sera, le abbiamo trasmesso. Si commuove e se ne va via, tranquillamente, tra l’abbraccio del pubblico e del produttore che la sostiene. Questa persona consegna il sapore genuino delle cose semplici e ben fatte e non si lamenta di alcuna sofferenza, in lei si traduce la felicità di aver scelto ciò che sentiva da tempo. Il merito della vicenda è decisamente dovuto a Pino/Beatrice che, a cavallo di ogni sessualità, spicca un bel salto al di sopra delle convenzioni e ci indica, ancora una volta, la strada del sentimento, l’unica da seguire, al di là delle chiacchiere retoriche, accusatorie ed inutili di tanta e tanta gente. Bell’esempio, tra molteplici arretratezze quotidiane. C’è stato anche chi, nel dibattito finale, ha tentato di attribuire alla visione della Amoruso la mancanza di un aspetto sociale da dover sottolineare e proclamare, in sostegno alla causa della diversità. Resto dell’idea e ribadisco che alcune storie non hanno bisogno di altro che del loro esempio concreto, se solo si sanno riconoscere per quello che sono.
La mamma che desidera un maschio ed invece nasce una femmina e viceversa a cui non risparmia amore; amore forte come le rotaie ove scorre il treno dei sentimenti.