Nato a Parigi nel 1967, François Ozon è certamente uno dei registi più interessanti, eclettici e coraggiosi, di questi ultimi anni. Già ai tempi dell’Università gira decine di cortometraggi con la sua super 8, e già queste prime sperimentazioni hanno come tema centrale i rapporti umani in tutte le loro sfumature e nevrosi, e la sessualità vista sempre in chiave ironica, a volte perversa, ma pur sempre sofferente.
E inoltrandosi sempre più in questo intricato labirinto di passioni, dolori dell’anima, follia e giochi erotici, a soli quarant’anni Ozon può dire di aver toccato quasi tutti i generi del cinema e affrontato le tematiche più disparate: dal dramma al thriller, dalla sessualità adolescenziale all’analisi profonda dell’omosessualità e al rapporto tra immaginazione e realtà, che per lui sconfinano quasi sempre l’una nell’altra; Ozon fa entrare lo spettatore dei suoi film, non necessariamente un appassionato cinefilo, in una terra di nessuno dove la linea di confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è risulta impercettibile. Il suo è un cinema del paradosso, in cui le immagini lasciano lo spettatore stordito e affascinato dal vortice di passioni e sensazioni che si susseguono sullo schermo attraverso i movimenti dei personaggi, che si muovono con una incredibile fisicità, tale da colpire i sensi di chi guarda, proiettandolo “senza reti” nella sessualità e nello spirito cinico e satirico degli esseri umani.
Lo stesso regista afferma infatti: “Credo che come diceva Bunuel, bisogna filmare il sogno come realtà e la realtà come sogno…” E in tutta questa apparente complessità, il cinema di Ozon potrebbe definirsi una Recherche (parafrasando Proust), perché comunque è sempre un muoversi dentro il tempo: tempo della narrazione e della memoria che racconta di amori a volte possibili a volte impossibili (Angel), di amori perduti nel tempo e nel mare (Sotto La sabbia); il tempo perduto ad amare creando un bisogno mortale (Gocce d’acqua su pietre roventi) e il tempo dell’erotismo sfacciato (Swimming pool)…
Quello che però devo dire mi ha colpito particolarmente dei suoi film, è la capacità magistrale di creare dei ritratti femminili, difficili da dimenticare; forse Ozon è attualmente il regista che riesce più di altri a dare vita a dei personaggi femminili straordinari, complessi e complicati, mai banali, riuscendo a dipingere tutti gli aspetti della femminilità a volte anche in un solo personaggio (mi viene in mente la Rampling di Swimming pool e Sotto la sabbia). Infatti proprio lui, in un’intervista afferma: “Sono particolarmente attratto dalla creazione di ritratti femminili, perché le donne hanno una vita interiore più stimolante, più forte e ricca che trovo interessante rispetto a quello offerto dall’universo maschile”.
Le donne,infatti, sono sempre le protagoniste indiscusse, provocanti e provocatorie del suo cinema. In 8 donne e un mistero, un melodramma pervaso di ironia grottesca, capolavoro assoluto che si muove tra musical e teatro, addirittura Ozon mette insieme otto grandi attrici del cinema francese, del calibro di Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert: bellissime attrici che si rivolgono reciprocamente crudeltà e orrori esaltando così l’aspetto grottesco e ironico del film. In Sotto la sabbia, ad oggi il lavoro forse più sconcertante del regista, Charlotte Rampling, una delle sue attrici feticcio, interpreta con grande bravura una donna fragile di fronte alla propria incapacità di vivere, ma con una visione delle cose dai contorni sfumati in cui carne e spirito si perdono l’uno nell’altro. Swimming pool oltre alla magistrale interpretazione della Rampling ci svela un’altra icona del cinema di Ozon, la giovane Ludvine Sagner (Julie) che dà vita ad un percorso astratto e sensuale nel territorio del Doppio… Julie è l’erotismo volgare e ostentato, al confine tra una lolita e una squallida attricetta porno, mentre Sarah Morton (Charlotte Rampling) potrebbe definirsi come la follia mitigata dall’arte e dalla fantasia. entrambe alla fine si confondono l’una nell’altra in un gioco di detto e non detto, che lascia lo spettatore come stordito.
Gocce d’acqua su pietre roventi, un lungometraggio nato da una pièce teatrale del giovane R. W.Fassbinder, non solo ci regala dei ritratti di donne che suscitano compassione e forse orrore, ma descrive con raffinata eleganza un amore omosessuale tra Franz (Malik Zidi), un giovane pieno di ingenuità e illusioni, e Leopold (Jeanne Lapoirie), un uomo maturo, di insensata crudeltà che non ama chi gli sta vicino (uomini o donne) ma che crea soltanto bisogno disperato. L’amore come bisogno forsennato e insensato che tenta di trovare la libertà nell’ultimo folle gesto di Franz, assistito solo da Vera (Anna Thomson) ex amante di Leopold. Come ha detto spesso Fassbinder: “Non esiste l’amore, ma solo la possibilità di un amore”. Il film si chiude con l’immagine della donna che tenta di aprire una finestra, angosciata dalla fine di Franz, ma che non ci riesce, come a voler sottolineare il messaggio claustrofobico, che la macchina da presa riesce però a trasformare in un’inquadratura di bellezza pura e geometrica.
Vorrei poi porre l’attenzione su un altro elemento che mi ha particolarmente colpita riguardo ai film del regista francese, ed è l’assoluta mancanza di giudizio, la non volontà di dover trasmettere allo spettatore una morale. Ozon lascia vivere i suoi personaggi per come sono, e persino lo spettatore non riesce, o piuttosto non è interessato, a giudicare i personaggi che si muovono sullo schermo con vita propria. Credo sia difficile riuscire ad uscire dallo schema della “morale a tutti i costi”, e quelli che lo fanno spesso non hanno vita facile all’interno del sistema. Ozon ci riesce con grande semplicità, nonostante le perversioni e le complessità dei suoi personaggi.
Da poco nelle sale è uscito il suo nuovo film, Ricky, presentato con successo al Festival di Berlino 2009, che racconta la storia di un bambino nato con le ali che inizierà a volare dapprima nel suo misero appartamento di periferia, poi sempre più lontano da tutti… La sua famiglia lo accetta come se fosse una cosa del tutto normale e tenta di proteggerlo dalla curiosità del resto del mondo, favola moderna sulla diversità insomma. E Ozon infatti sostiene: “La diversità può diventare, alla fine, fonte di ricchezza”. Credo che la diversità sia SEMPRE fonte di ricchezza. Anche in questo ultimo lavoro Ozon evoca Bunuel : “Sogni cinematografici che sembrano reali e realtà che sembra una finzione”.
Il succo del suo cinema forse sta proprio qui.