di Stefano Maschietti /Se negli effimeri e ruggenti anni ’80 ci fossimo immersi nel Tevere saremmo morti intossicati. Dalla riva del fiume sarebbe però apparsa una città sì corrotta, ma almeno al lavoro per investigare e arginare i veleni. Nei virtuali e post-apocalittici anni 2000, invece, non fa più differenza stare sotto o sopra l’acqua limacciosa. Il Tevere ha inondato l’Urbe intera, ora attraversata da indifferenti droni panoramici e sperduti investigatori a rincorrere robotici i funamboli del crimine, che riemergono dai liquami tra esplosioni dinamitarde e non identificati gesti terroristici. Negli anni 2000 non c’è più differenza tra la realtà cosiddetta normale e le sue aberrazioni (il crimine, l’inquinamento, il miracolo o altre devianze). Ora è l’era della trans-realtà, cui ben si adatta, se si esclude il finale, un brillante film transgender (action, splatter, supereroi, neomèlo mafioso, porno).
Negli anni ’80 da bere, quando l’incipiente società dello spettacolo cominciava a rielaborare (reload) il nemico ideologico-politico al tramonto, ricreandolo nell’incubo-manga di alieni alla guida di aggressive macchine ribelli (Jeeg), il contesto delle fiction era ancora (per poco) la realtà sociale verosimile e narrabile. Negli anni 2000 da ingogliare, invece, col virtuale esondato a marea internautica non più in grado di creare ma solo di ripescare (upload) in forma parodica e vintage cartoon e canzonette degli anni ’80 (da Anna Oxa a Nada), il contesto delle vite vissute in social-network è divenuto l’inenarrabile video-fiction che le ha interamente divorate e virtualizzate. E quindi Tor Bella Monaca, negli ’80 corrotto ma verosimile sogno dell’edilizia popolare pianificata, è oggi un set da incubo per replicanti format di fiction criminale.
L’unica possibilità di concentrazione, o meglio, di distrazione sulla vita, sembra essere il rifiuto di ogni relazione-network da parte di chi, Enzo (un intenso e monocorde Claudio Santamaria) non ha amici ma solo virtuali colleghi di occasionale devianza e nemmeno immagina che l’immersione nel Tevere melmoso sia stato per lui l’ingresso nel tombino della metamorfosi. Da Nano aggrappato all’oro è divenuto un Sigfrido inscalfibile e inconsapevole di fronte a capi-gangster che recitano il “grande balzo” nel narcotraffico con l’assente dedizione dei figuranti di un film porno (Luca Martinelli è lo Zingaro, un po’ forzato nella ricerca di espressioni di esibita vuotezza), film porno che dal suo canto Enzo, in un bugigattolo di periferia, continua a compulsare assaggiando senza sosta disgustosi budini (da notare che oggi persino il porno anni ’80 è rimpianto dai pensionandi Siffredi & Co. quale forma d’arte oramai sommersa dal budino di sketch su You-Porn).
La Brunilde di Enzo, Alessia (la brava e svagata Ilenia Pastorelli), che l’attende non tra le mura di fuoco del più intimo desiderio, ma tra gli schermi manga che solo adornano e alienano le mura di calcestruzzo del suo abitacolo nel quartiere ponteggio, è una pseudovergine figlia di gangster in fuga onirica dal format, con la sola speranza che il principe viola le precipiti addosso direttamente dal copione del cartoon giapponese. Ed Enzo, che come Sigfrido non capisce niente né quando abbraccia né quando vìola un bancomat (l’antro del drago e del tesoro maledetto), non passa però dalla formativa paura all’amore eroico (Sigfrido-Jeeg), ma da lupo solitario diviene eroe per caso dell’unico format in grado di distrarre le invidie del supposto capo-gangster da obiettivi di bottino o altre aggressive autoaffermazioni. È il format del contestuale video virale e oggetto di milionarie visualizzazioni attraverso i telefonini in giro per la città, gli unici giudici accreditati per chi, come lo Zingaro, “vuol essere sanguinario” (e sfracella teste per averne uno nero) nella Bollywood senza escaton delle nostre città. Dove randagi writer premiano Enzo con un inviso murale hip-hop a scalzare quello di Bob Marley e del roots reggae anni ’80.
Un film di genere trasversale sulle transrealtà del socialismo-spettacolo (dopo quello da bere degli ’80)? Sì, ma anche una distopia non su un ipotetico futuro, bensì su un ipertetico (iperreale) presente, nel quale non c’è più argine né regola, dove non compaiono istitutori, la negoziazione drammaturgica è solo tra bande (SA, squadre di attori), e la prossima posta in gioco sarà forse scritturare direttamente le mafie, che si è quasi smesso di fronteggiare (valgono il 20% del PIL mondiale), per la prossima fiction su Netflix, Narcos. Nella quale i mafiosi stessi suggeriranno il cast di mafiosi per recitare, come in un porno, la mafia ad uso e consumo del salotto intellettual-televisivo (il porno d’antan sdoganò in videocassetta la sessualità repressa così come le serie poliziesche elevano oggi la mafiosità del boulevard accanto ad accettabile personaggio on-demand). Nel frattempo le mafie là fuori camera continueranno a spartirsi, con la complicità della nostra pornografica normalizzazione televisiva, gli stupefacenti ovuli immersi negli stomaci-trolley di trolls extracomunitari, e il bitume ricoprirà fino a sommergere il manto stradale della Città, in una celluloide globale sotto gli occhi panoramici e (im)potenti del drone cinematografico. It’s the transreality, stupid!
Grandissimo al consueto commento dello Stef, a questa contemporaneità fatta di liquami disciolti, aeriformi, antropomorfi, corrotti e corruttori. Intricando una suburragomorra caratterizzata al limite del fumetto di Gould – persino al di là degli stereotipi grezzocamorristici – il regista fotografa Roma splendidamente a squarci e pezzi, animata in contrappunto da un superinvolontario, afasico asociale dalla mimica fissa sullo stupore rattenuto ingrugnato e da un aspirante supertuber, strabuzzante dirompente logorroico sociopatico. La privazione totale di gesti e di espressione di Santamaria, il delirante schizzare rabbia e saliva di Marinelli. Figura femminile regredita e deprivata la donna dello pseudo-jeeg, antagonizzata dal boss femmina dalla faccia di pietra e lo uzzolo di fiamma. Con loro energumeni e scivolosi comprimari dai nomi improbabili quanto epici (per tutti, Sperma), massacrati dilaniati sbranati sparacchiati cerebrosparsi volta a volta negli scontri ricorrrenti tra le bande. Originale senza dubbio, melodrammatico a tratti, meritevole di una visione quale tributo ai tempi inquina(n)ti che viviamo. Il registro è basso e ‘popolare’, ma non sentiamo la mancanza degli alemanni veltri cazzemarrazzi che parlano diversamente ma razzolano e lascian razzolare malamente. La dimensione borghese e ‘dominante’ è esclusa. Il registro iperreale sfocia a sbalzi in quello supereroico e ci lascia ricordare due belle scene dal montaggio e ripresa serrata commovente : il salvataggio a ralenti stop&go della bimba dalle fiamme, il salto nel vuoto dello Eroe ‘uno de noantri’, finalmente mascherato come si deve da vezzosissimo prodotto di uncinetto gialloverderosso (nerogrigio). Prossima tappa : Non essere cattivo, sempre con il pazzovirtuoso Marinelli. E ancora : grande STEF!!