Senza un contatto fisico che ci mostri l’amore come siamo abituati ad intenderlo, la vita di Ludmila e Lucas scorre come le macchine nel traffico nell’impossibilità di una comunicazione feconda eppure nell’irrinunciabilità di uno all’altra.
Sospesi in un tempo senza regole testano irresponsabilmente dei possibili sè adulti, guidati solo dall’impulso in una città che non li guarda, assorbendoli ciecamente nel suo vuoto fatto di moltitudini. Come carne da tritare, da restituire insaccata, impacchettata, omologata e pronta per gli scaffali.
Due vite acerbe e già sconsolate tratteggiate senza retorica attraverso un vissuto femminile che sente, desidera e decide, a fronte di uno maschile che agisce, esita e attende.
Due bravissimi giovani attori ci illustrano un’immagine d’amore che si frantuma contro un quotidiano indifferente e sterile, senza confini e senza direzione.
Con un tempo lento e una regia non scontata, addosso ai personaggi e sapientemente irrigata da metafore più e meno percettibili, Luis Ortega ci consegna un crudo racconto, solo apparentemente surreale, di un’infanzia impossibilitata a trovare uno sbocco o un senso.