Anche nel nuovo film presentato ieri al Festival di Roma, il maestro portoghese João Botelho prosegue il suo inconfondibile e personalissimo processo di diramazione e bilanciamento figurativo tra cinema, pittura e suggestioni letterarie. In questo senso, non si può negare che Os Maias – (Alguns) episòdios da vida romantica sia un mirabile e autentico affresco storico. Oltre a calarsi nelle atmosfere e le convenzioni del Portogallo di fine ‘800 infatti, il regista di O Fatalista dispone tutti i suoi personaggi all’interno di una vera e propria scenografia dipinta a mano. La cosa funziona anche a livello simbolico, perchè probabilmente l’intento di Botelho era proprio quello di creare il senso di immobilità formale, quasi come quella di un grande ritratto da parete, dell’alta borghesia lusitana di un secolo e mezzo fa. I dialoghi estenuanti e la messa in scena volutamente artefatta del film ci mette davanti alla staticità imperturbabile dell’epoca. Per eccesso però, di fronte a quel convenzionalismo immodificabile, il regista riesce quasi ad esasperare, riuscendo a farci riflettere su come l’immobilismo di allora fosse sterile, proprio come l’iper connettività e la velocità compulsiva di oggi.
La profondità estetica, ma monodimensionale della scenografia riflette le aspirazioni di tutti i protagonisti, attenti sopratutto all’immagine che la società riesce a percepire della loro apparenza. Os Maias è prima di tutto un film antiborghese nel modo con cui dipinge il desiderio di riuscire a indossare in modo onorevole le proprie azioni disonorevoli. Il fatto che nel finale Carlos scelga di consumare consapevolmente il suo peccato, appena prima che la società possa venire a conoscenza dello scandalo incestuoso che lo riguarda, rende perfettamente l’ipocrisia e la frustrazione che non abbandonerà mai le nostre esistenze. Neanche si trattasse di un saggio di Bauman, Botelho riesce a dare un significato decisamente attuale anche all’esigenza dell’aristrocrazia dell’epoca di viaggiare e fare esperienze esotiche.
Il rapporto dei protagonisti con il mondo è prima di tutto estetico. Viaggiare per loro è infatti un desiderio, oppure la scelta di una strategia esistenziale volta a recuperare il vuoto sensoriale di uno sdradicamento. Peccato che pur allestendo un’opera con molte intuizioni e una comicità a volte sadica Os Mais ecceda nel formalismo. Pur utilizzando in funzione critica un certo tipo di estetismo, alla lunga ne subisce gli effetti nella resa dell’impatto della storia sullo spettatore. I colpi di scena finali comunque hanno ripagato tutti i presenti che hanno resistito sino alla fine.
finalmente una recensione politica!