È un atto d’amore nei confronti di uno dei più noti caratteristi del cinema italiano moderno il documentario L’insolito ignoto – vita acrobatica di Tiberio Murgia, presente a questa settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione “Prospettive Italia.” Centotre minuti di proiezione che ripercorrono una carriera lunga quasi mezzo secolo e iniziata, per puro caso, nel 1958, quando Mario Monicelli lo volle a tutti i costi per il suo Ferribotte de I Soliti Ignoti.
Da allora in poi l’ex manovale di origini sarde non abbandonerà più i panni, cuciti su misura dal maestro toscano, del siculo geloso e sciupafemmine diventando un’icona del cinema popolare, dalla commedia all’italiana alla stagione dei musicarelli, delle parodie demenziali e dei film decamerotici simil Ubalda.
Una faccia che “buca lo schermo”, quella di Tiberio Murgia, austera e supponente, dagli occhi sottili come spilli e i capelli ondulati di un nero corvino tipicamente meridionale: la grande intuizione di Monicelli fu proprio quella di puntare tutto sulla sua fisicità espressiva e di ottenere il massimo della resa attoriale guidandolo pedissequamente nella gestualità e persino nella dizione. Come si evince dalla testimonianza dello stesso caratterista, intervistato dal regista Sergio Naitza in diverse occasioni, fino ad alcuni giorni prima della morte, l’unica scuola frequentata fu quella del set de I Soliti Ignoti e di La Grande Guerra e l’unico insegnante amato, temuto e infine rimpianto, fu il solo Mario Monicelli.
Sono ben centocinquantacinque i titoli che compongono la filmografia di Murgia, fra cui La ragazza con la pistola, Costa azzurra o Caccia alla volpe, al fianco di nomi importanti come Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Totò, Peter Sellers, Vittorio De Sica, Monica Vitti, Claudia Cardinale e tanti altri ancora; centocinquantacinque pellicole in cui la maschera d’esordio cambia la fisionomia ma non il carattere, rimane fissa come nella migliore tradizione della Commedia dell’Arte, mutuando soltanto la tipologia: il siciliano fedifrago e vendicativo assume di volta in volta le sembianze di un operaio, un vigile, un tassista, un facchino, un ladro.
Il documentario sembra però maggiormente interessato a raccontare le peculiarità del personaggio Murgia, identico nella vita al suo doppio artistico, piuttosto che soffermarsi su quella fetta di cinema popolare di cui è stato degno rappresentante per diversi decenni. I giudizi di merito sulle sue qualità interpretative sono per lo più affidati alle opinioni di Emiliano Morreale e Goffredo Fofi, il primo, più generoso, tendente a giustificare il declino della verve e del ruolo dell’attore in relazione al mutare stesso del cinema italiano, il secondo, invece, categorico nello stroncare le doti del caratterista (“semianalfabeta, privo di talento e intelligenza”) e nel valutare i generi da lui frequentati negli anni Settanta (“si impaludò in un ciarpame di cattivo gusto”). A comporre però il mosaico della sua personalità concorrono anche le voci dei familiari, degli amici d’infanzia, dei registi e degli attori, unitamente al materiale di repertorio rispolverato per l’occasione.
Il ritratto che emerge è quello di una individualità molto più poliedrica e complessa di quanto possa apparire a prima vista: Tiberio è infatti il meridionale furbo e donnaiolo dei suoi film (una leggenda vuole, addirittura, che sia padre di due o tre figli illegittimi), è bugiardo e arruffone come molti dei suoi personaggi, ma è anche un uomo timido, rispettoso e sensibilmente umile sul lavoro; una persona che sa essere affabile e galante con il gentil sesso come ricordano Maria Grazia Buccella e Claudia Cardinale. La messa a fuoco sulla storia privata dell’attore di Oristano rischia però di adombrare un contesto – il cinema e la società tutta -, che chiede di essere (ri)considerato e (ri)visitato. Perché “la vita acrobatica di Tiberio Murgia” possa magari diventare il ritratto di un’intera categoria di seconde leve – di attori, figuranti, tecnici, maestranze – e la vicenda dell’emigrante coraggioso che cavalcò l’onda del boom economico dilapidando le fortune accumulate in un’epoca irripetibile, una storia comune ed emblematica, che riguarda tutti noi.