Un urlo contro la teocrazia imposta in Iran. La voce libera del cinema iraniano insisiste coraggiosamente nella denuncia di un potere che restringe sempre più gli spazi di libertà. Un controllo capillare esercitato nel nome dell’islam e che ha chiuso il paese dentro una gabbia di regole conservatrici. Solo pochi mesi fa avevamo avuto la notizia dell’arresto di Jafar Panhai che con il suo Il cerchio mostrò all’occidente la vita impossibile delle donne iraniane. Nel frattempo era uscito I gatti persiani (2009), altra opera di denuncia contro la dittatura in Iran. E’ il cinema la speranza progressista dei giovani iraniani che abbiamo visto sfilare e morire, documentare e filmare, con tutto ciò che le nuove tecnologie mettono loro a disposizione. In fondo il fine ultimo è lo stesso: informare il mondo di cosa sta accadendo nel loro paese.
Dog Sweat (in Cocorso) è anch’esso un documento. Scegliendo una modalità di racconto corale e rafforzando l’impatto realistico con l’uso mobile del digitale, il regista Hossein Kashavarzs svela con rabbiosa immediatezza l’urgenza di raccontare e denunciare. Un gay costretto ad accettare un matrimonio combinato. Una cantante clandestina (alle donne è proibito cantare). Una ragazza che ha una relazione con un uomo sposato. Epitomi di una generazione castrata nelle sue ambizioni, nei suoi sogni di libertà. Che è libertà del vivere quotidiano.
Girato clandestinamente per le strade di Tehran, il film di Hossein Keshavarz racconta vicende di giovani alle prese con gli atavici ostacoli culturali che impediscono loro di esprimere e realizzare anche i desideri più semplici. Custodi e garanti dello status quo sono le vecchie generazioni, permeate profondamene e irreversibilmente da una sottocultura retriva e da una visione dogmatica della propria religione. La frattura generazionale è il tema centrale del film. I padri e le madri agiscono come padroni delle vite dei loro figli e ne dispongono come vogliono. Di contro c’è il terribile senso di frustrazione, la difficoltà di infrangere e sovvertire una morale consolidata ma soprattutto sorvegliata da un potere repressivo che manda a morte per un adulterio. L’Iran, spiega il regista, è una delle società più giovani al mondo. Un’alta percentuale della popolazione ha meno di trent’anni. Saranno loro i protagonisti del cambiamento.