Almeno fino a dodici anni ho avuto una paura furia di tutti quelli che allora venivano comunemente chiamati drogati e non accettavo caramelle nemmeno da mia cugina. Ho il ricordo di trasmissioni di approfondimento in tv sulle storie di alcune mamme tossicodipendenti che rasentavano il terrorismo psicologico e anche il primo Santoro o Biagi dedicavano intere puntate al cosidetto problema dei giovani che consumavano o spacciavano eroina. Negli anni poi il sopravvento della cocaina come sostanza stupefacente più produttiva e l’ingresso della categoria immigrato come protagonista della devianza in assoluto ha via via escluso il tossicodipendente dalle tv così come da ogni tipo di programma di intervento sociale.
Il senso di esclusione e autarchia nichilista nella marginalità più desolante dei consumatori di eroina è stato colto magistralmente da Alfonsi e Malagnino nel loro ottimo Ad ogni costo presentato in programma nella sezione Extra del Festival Internazionale del Film di Roma. Ogni volta che rivediamo Amore Tossico di Caligari pensiamo che è impossibile andare oltre a quel realismo di strada. Casualmente ci siamo anche avvicinati da poco al recente Devozione di Lattanzi, ambientato nei traffici incredibilmente consueti della nostra San Lorenzo a Roma e non pensavamo che si potesse filmare ancora in modo così lacerante la vita sotto i nostri balconi.
Il taglio incredibilmente realista e documentarista dell’opera è trasfigurato dall’interpretazione ulcerosa e davvero penetrante di Gennaro Romano, qui nel ruolo di un padre separato a cui i servizi sociali hanno tolto il figlio in una periferia di Guidonia quasi più anonima e angosciante della Zona di Tarkovskij in Stalker. In un labirinto asfissiante di recinti e ringhiere abusive, il protagonista si abbassa alle peggiori umiliazioni per trovare uno stipendio che gli consenta di accudire e riprendere il figlio fino a tornare per disperazione alla vita dello spaccio e delle rapine.
Se Gennaro è totalmente mortificato e incerto nei labirinti degli uffici di collocamento o degli assistenti sociali ha una padronanza assoluta delle regole e dei codici dello spaccio, anche se il suo ruolo di padre gli innesta una sorta di prontuario morale del tutto personale che lo rendono paradossalmente nobile, nel suo allontanare i ragazzini più inesperti o regalare le dosi alle mamme con figli in crisi d’astinenza.
Le doti interpretative di Romano e la durezza delle situazioni danno al tutto un’epicità quasi ai limiti dell’indimenticabile Cesare proprio di Amore Tossico. E’ da sottolineare sia l’intuito di Alfonsi e Malegnino nello scegliere i lineamenti dei protagonisti, ma soprattutto le dosi di libertà espressiva a cui li hanno abbandonati. Ci teniamo a segnalare allo spettatore come i registi abbiano avuto l’intuito di contrastare la spinosità e i nervi di Gennaro e Luisa alla placidità fuori dal mondo del piccolo Pasqualino. Per una volta consentiteci il parallelo musicale, ma dalla disperazione più atroce e marginale i registi in questo caso sono riusciti a trovare una profondità umana dolce, malinconica e penetrante come il miglior Nick Drake. Veramente consigliato.