“Non mi hanno fatto neanche una telefonata!“ Se la ride e commenta così Agosti quando gli chiedo se sia stato interpellato in occasione dei preparativi della prima edizione della festa del cinema della capitale. Regista, scrittore, fondatore e direttore artistico del cinema Azzurro Scipioni nel quartiere Prati a Roma, Silvano Agosti è un personaggio fiabesco, come lui stesso si definisce.
Premette di non amare definizioni come cineclub o cinema d’essai perché sottintenderebbero già un’auto-ghettizzazione. “Le sale di cinema commerciali, le multisale, si sono strutturate come delle sale di tolleranza oppure come dei supermercati dove le merci, i cibi, sono sempre più lussuosamente esposti e però se tu li assaggi non sanno praticamente di niente. Allora noi che siamo cinema e non cineclub, noi che siamo dei cinema reali in quanto mostriamo il cinema vero, siamo semplicemente come delle trattoriole dove si mangia ancora bene.”
Lo raggiungo telefonicamente a Brescia, sua città natale, nella sede del Piccolo Cinema Paradiso, una saletta di 30 posti con lumi a gas, molto amata dal pubblico, che gestisce da qualche anno e dove proietta i capolavori del cinema di ogni tempo.
Così nessun rappresentante del comune ha bussato alla porta dell’Azzurro Scipioni negli ultimi tempi…
S.A. C’è stato probabilmente un inconscio rispetto reciproco…
Intendi il mutuo riconoscimento di appartenere ad ambiti culturali alternativi, inconciliabili?
S.A. Ti dico la verità, quando ho parlato tangenzialmente con Borgna, gli ho consigliato di mettere almeno sei sette mega-schermi nelle borgate, in modo che il cinema arrivasse là dove non arriva mai… non so se l’hanno fatto.
Che tipo di attese nutri nei confronti di questa prima edizione della festa del cinema?
S.A. Intanto, più che il cinema, sarebbe bello festeggiare la vita, perché la vita è il grande evento. Ma come fai a festeggiare il cinema in un mondo dove non solo la vita non è festeggiata, ma viene oltraggiata? Le persone lavorano nove, dieci ore al giorno, e non hanno mai il tempo per vivere. Si recheranno sempre meno al cinema e io glielo auguro: quelle poche ore che hanno a disposizione le dedicheranno alla vita. Detto questo la parola festa mi piace, la gente si incontra, si scambia i pensieri e si rinnova. Poi sai, io ho una personale avversione verso i festival come Cannes o Venezia. Ma il vero festival del cinema è la quotidianità. E’ talmente sciocco pensare che in questo contesto si sospenda la propria esistenza per andare tutte le sere al cinema. C’è un’impossibilità oggettiva. Tutto Ë fatto senza consultare gli esseri umani. Se si fosse chiesto alle persone: “ma scusate, voi avete tempo di andare alla festa del cinema?”, probabilmente si sarebbe trovata una risposta affermativa solo in coloro che hanno dei privilegi giganteschi, che non lavorano, che possono permettersi di andare al cinema. Tutti gli altri ci andranno sì e no una volta il sabato sera. Diventa anche cinico parlare di cinema senza parlare della situazione umana che c’è dietro.
Il festival elitario contrapposto alla festa popolare. E’ una valutazione in cui ti riconosci?
S.A. Sono parole… non credo assolutamente che il popolo vada alla festa del cinema.
Neanche per poter assistere alle passerelle delle varie star di turno?
Questa è un’umiliazione che spero si risparmino, è pura pornografia esistenziale. Per questo proponevo a Borgna di portare il cinema in borgata, ma non per proiettare i film di adesso… proietta Pasolini, fai vedere Accattone nelle borgate!
Quindi il popolo secondo te ha poco a che fare con questa ricorrenza?
S.A. Se il comune avesse avuto un minimo di coraggio sociale, avrebbe detto ai suoi dipendenti: nel corso della festa del cinema fate festa anche voi. Venite la mattina due ore e poi state liberi tutta la giornata così potete andare alla festa del cinema. Questa sì sarebbe stata un’iniziativa davvero eversiva, davvero innovatrice.
Non sarà che dietro la presunta popolarità della festa, si cela soprattutto l’ossequioso rispetto di regole dettate dal mercato, una festa volta insomma più a favorire i diversi apparati produttivi che l’accesso alla cultura da parte delle classi popolari?
S.A. Tutto ciò che funziona economicamente non funziona mai umanamente. Io l’ho sperimentato nella mia vita fiabesca e ho scoperto che tutte le cose più importanti non hanno nessuna relazione con il lato economico. Avvertirai però un certo imbarazzo in me perché per certi versi Veltroni è una persona stimabile, dotato di qualità e di buone intenzioni ma sono le strutture ad essere putrescenti, che non rispettano l’essere umano. In un mio libro descrivo un paese dove tutti lavorano non più di tre ore al giorno e tutti i problemi si risolvono magicamente perché si ha tempo di affrontarli. Non puoi rubare nove ore della vita di una persona tutti i giorni e poi pretendere che venga alla festa del cinema. Non è possibile.
In queste condizioni partecipare alla festa diventa soltanto un’altra occasione di consumismo culturale, un’alternativa al noleggio di un film da Blockbuster da vedersi a casa stanchi dopo una giornata di lavoro, probabilmente…
S.A. Sì, diventa una falsità. Ma io li capisco, loro fanno questo calcolo: se noi rendiamo sereni gli esseri umani, crollano tutte le botteghe. Questo del denaro, del capitale, della moneta è un territorio di disperazione. Come vedi, per me non è possibile parlare settorialmente di un argomento, vado sempre a parlare alla fine della vita, che è l’elemento strutturale, quello che mi affascina di più. Non si può parlare di cinema a sé, così come non si può parlare di letteratura a sé. Brecht diceva che in guerra anche la poesia è un crimine.
Veltroni ha dichiarato che “il cinema non è un panda da salvare, ma una grande risorsa da guardare con ottimismo”; sei d’accordo?
S.A. E’ una frase intrisa sia d’intelligenza che di grande ingenuità. Il cinema è una risorsa solo se produce coscienza, oltre che beatitudine se si tratta di capolavori. Si sta bene se la propria coscienza è illuminata.
Ritieni sufficiente la politica di sostegno e di coinvolgimento da parte delle istituzioni culturali nei confronti delle realtà cinematografiche indipendenti come la vostra?
S.A. Io sono stato sempre contrario agli aiuti dello stato al cinema perché, nel momento in cui affermi che il cinema d’autore va aiutato, vuol dire che lo ritieni un invalido. Io sono al 24° anno d’attività dell&r
squo;Azzurro Scipioni e il comune è intervenuto per lo 0,0001%, dicendo sempre che non c’erano soldi. Il fatto è che io non sono interessato necessariamente ai soldi. Mi piacerebbe che il comune prendesse atto che da 24 anni proietto soltanto capolavori. Ma io non vado a chiedere il permesso di esistere. A me basterebbe che il comune pubblicizzasse la mia attività, non gli costerebbe nulla. Non m’interessa di essere mantenuto. Invece sembra quasi che gli amministratori siano terrorizzati dalla nostra esistenza.
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Rafael Roberto Galve, artista, favolista, creatore di marionette, fondatore e direttore artistico dello storico cineclub Grauco di Roma, attivo nella capitale dal 1972. Il 3 agosto 2006 pubblica una lettera aperta su Liberazione in risposta a un intervento di Pietro Folena, presidente della commissione cultura della Camera dei Deputati, in cui esprime disappunto per una politica dei grandi eventi che schiaccia la “cultura di base”, resa sempre più marginale e privata di risorse di sostegno.
Partiamo proprio da qui, dal tuo intervento su Liberazione…
R.G. Guarda, la mia posizione non era un attacco frontale a quello che può significare la festa del cinema, perché un festival a Roma potrebbe servire, ma non certo nella maniera in cui è stato organizzato, perché sta indebolendo e schiacciando la cultura di base, andando a spremere risorse dagli assessorati alla cultura e alle periferie. Così che quando si vanno a proporre progetti e rassegne a costoro nella migliore delle ipotesi, ti fanno raschiare il fondo del barile (un’espressione molto comune all’interno degli assessorati). Questa cosa faraonica dopo tutto, al servizio di chi? Del mainstream. Non è che stiano creando delle situazioni culturali che potrebbero modificare questa società che dopo cinque anni di berlusconismo si ritrova più devastata e arida che mai.
Ti ritrovi nella presunta opposizione tra la concezione di festival, connotata da un carattere intellettualistico da addetti ai lavori (sul modello di Venezia per intenderci), e l’idea della festa, vale a dire la dimensione prescelta per questo primo appuntamento romano, dal respiro popolare e fruibile da un pubblico di massa?
R.G. La gente, la società, quanto più in crisi è, quanta più angoscia c’è, tanto più ha bisogno di circo.
Panem et circenses.
R.G. Purtroppo il pane no! Quello l’hanno solo industrialotti e impiegati, gente pagata per fare cultura, no? Noi siamo militanti, siamo un’altra cosa, pensiamo alla cultura come a un fattore etico, non facciamo l’industria della cultura. Nessuno dice che non debbano esistere le feste, per carità! Veltroni ha appena finito di festeggiarne una, la notte bianca. E in quell’occasione ha ribadito che dalle casse del comune non è uscito quasi nulla perché le iniziative sono state supportate da sponsor privati. Sponsor che ormai si rendono disponibili soltanto alla “corte del faraone”, al comune, mentre in passato capitava che gli sponsor sostenessero anche iniziative indipendenti…
Intendi dire iniziative di gruppi di base come associazioni e cineclub?
R.G. Esatto. S’ignora totalmente che cosa sia un gruppo di base, le istituzioni ci trattano come dei gruppi che fanno dei lavori sporadici, effimeri, e magari ci danno un piccolo contributo per quel lavoro, ma noi non siamo quello, noi facciamo cineclub, facciamo attività continuativa, abbiamo un percorso culturale da mantenere e siamo totalmente contro l’effimero.
Ti dirò quello che penso: come fondatore e animatore di un cineclub romano che sta per festeggiare il suo nono anno di vita (il detour n.d.r.), e questo è tanto più vero per il Grauco che ha una storia trentennale alle spalle, insomma speravo illudendomi che per una volta almeno, in occasione della cosiddetta festa del cinema, potesse essere l’istituzione culturale a venire a bussare alla nostra porta, ad accorgersi di noi, a riconoscere e saper valutare le attività culturali di base presenti con tanta difficoltà sul territorio, invece d’essere ancora una volta noi a dover andare a chiedere audizione ed elemosina o semplicemente uno spazio di visibilità.
R.G. Ma se non ci hanno mandato nemmeno un invito!
Noi come cineclub detour abbiamo fatto richiesta d’accredito semplicemente per poter assistere alle proiezioni. Non ci hanno neanche risposto!
R.G. Non si può negare che ci sentiamo feriti. Non si può dimenticare che esiste una cultura di base che si è rotta l’anima, che ha dato sangue per ogni cosa che ha conquistato, che a volte ha lottato fino all’esasperazione per non avere niente. E ti dico che parliamo con questa amarezza perché noi non abbiamo fatto soltanto cinema. Siamo nati nel 1972 come gruppo autonomo, extraparlamentare: abbiamo fatto qualcosa per la società. Se loro avessero voluto avrebbero potuto coinvolgere tutti i cineclub, le periferie, ma non le periferie in mano loro, le nostre periferie. Potevano dirci: “Vogliamo che anche voi facciate parte di questa grande festa”. Invece no! Adesso dicono: “Voi il vostro lavoro, noi il nostro. Di che vi lagnate? Ogni tanto vi diamo un piccolo finanziamento per una rassegna”. Ma non è questo che vogliamo, anche perché quando loro ti danno 10 tu hai già speso 30. Noi siamo gruppi che fanno un lavoro di educazione e di crescita della coscienza sociale. Vogliamo avere tutti i diritti e tutto il rispetto che ha una biblioteca oppure una scuola.